Acciaio di ContrabbandoYato e Munisai

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  1. Munisai
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    Acciaio di Contrabbando • Capitolo I

    Nonostante Munisai fosse arrivato a Oto da neanche tre mesi e in quel pur breve periodo si fosse fatto tutto sommato onore, raccogliendo ogni sfida incontrata e portando a termine ogni missione affidatagli, più passava il tempo e più cresceva in lui un senso di inquietudine, quasi di urgenza.
    Il mondo degli shinobi era spietato e non regalava niente a nessuno. Progredire al suo interno era qualcosa di assai arduo, ma c'era indubbiamente chi, rispetto ad altri, partiva da presupposti più promettenti.
    Ad esempio i detentori di Kekkei Genkai, coloro ai quali determinate capacità venivano trasmesse dal patrimonio genetico dei genitori, e quindi in un certo senso nascevano già predestinati a sviluppare doti speciali, ad essere dei vincenti sotto la tutela di casati spesso tra i più rinomati e rispettati.
    Poi c'erano clan che tramandavano i loro segreti non attraverso i geni bensì attraverso l'insegnamento e rigorosi allenamenti, accessibili però solo ai giovani appartenenti alla dinastia in questione per nascita o adozione.
    Infine, chi non rientrava in questi due grandi gruppi, o trovava la forza affidandosi a qualche tecnica proibita, che spesso richiedeva o una moralità molto elastica o fare i conti con seri rischi per la propria salute psicofisica, o ancora stringendo patti dalla dubbia convenienza con entità sovrannaturali disposte a cedere in prestito il proprio potere, caso emblematico rappresentato dai Jinchuuriki.

    Una cosa era certa. Per un completo outsider di quel mondo come lo era il rosso, che non vantava discendenze illustri o utili affiliazioni a clan, e che oltretutto non era affatto cresciuto in quel contesto ma solo da pochi mesi aveva approcciato la carriera ninja, riuscire a farsi strada era davvero un'impresa titanica. Non solo c'era il fatto che alla sua età in molti erano già diventati Chunin, ma anche tra i Genin suoi pari sentiva, nonostante il buon lavoro svolto fino ad allora, che quella sostanziale mancanza nel proprio arsenale si sarebbe fatta presto sentire.
    E lui proprio non era il tipo che avrebbe accettato di farsi lasciare indietro.
    Era dunque corso ai ripari mettendo in piedi un'indagine in piena regola, facendo approfondite ricerche nella biblioteca del Villaggio e chiedendo in giro a ogni collega gli capitasse a tiro, e anche ai superiori.
    Diamine, era così determinato che era arrivato a chiedere aiuto persino a Febh, il quale come al solito non aveva gradito di essere seccato per simili idiozie. L'aveva cacciato in malo modo, minacciando di far arrivare un Jonin apposta, un certo Tenma, e di fargli usare i suoi fili d'acciaio per cucirgli la bocca, le palpebre e appenderlo come un salame a testa in giù sulle mura, con le cornacchie a beccarlo come fosse una carogna e l'ex-Amministratore a divertirsi a lanciargli sassolini a potenze siderali.
    Il giovane se n'era andato con le pive nel sacco, ovviamente, eppure quel "colloquio" gli aveva, in qualche folle maniera, dato un po' di speranza. Durante le sue ricerche, infatti, il ragazzo era venuto a conoscenza dell'esistenza di un'arte magica che consentiva di creare e manipolare i metalli. Se considerata la spiccata propensione del rosso a trafficare con rottami e ingranaggi e la sua ambizione di sviluppare le sue competenze da fabbro fino ai massimi livelli mai visti, era palese che nessuna tecnica sarebbe stata più adatta a lui. Sembrava perfino troppo bello per essere vero, e infatti era arrivato a dubitare dell'esistenza di quell'arte segreta.
    Indagando in giro aveva scoperto davvero pochissimo, nessuno pareva saperne niente o conoscere qualche detentore. Si era capito solo che era una tecnica non appartenente ad alcun clan ma rivendicata dal Suono, dalle origini poco chiare e relativamente recente se paragonata a quelle di grandi clan quali Uchiha o Yakushi. Ma cosa più peculiare, in giro non si trovavano persone che la adoperassero. Si diceva addirittura che, anche nel suo periodo di massima popolarità, ai suoi albori, i detentori si potessero contare sulle dita di una mano. E poi c'era tutta una serie di voci e pettegolezzi, a volte anche contraddittori tra loro, ma il fatto è che a Munisai non fregava un tubo di scoprire vita, morte e miracoli di quel jutsu, o almeno non era la cosa più pressante.
    Gli occorreva trovare un mentore, qualcuno che la padroneggiasse e potesse insegnargliene almeno le basi. E proprio quando cominciava a disperare che non fosse rimasto più nessuno a poter ricoprire quel ruolo per lui, le parole dello Yakushi, per quanto normalmente inaffidabili, avevano aperto un piccolo spiraglio che valeva la pena esaminare.

    Si era dunque recato in Amministrazione e con la scusa di dover cercare delle informazioni su dei ricercati per una missione, si era intrufolato negli archivi dei ninja di Oto. Non ci volle molto a trovare tra i Jonin il nome Tenma.
    Kenzo Tenma, per la precisione, ninja medico e nientemeno che guardia personale del Daimyo del Riso. Il fascicolo non solo confermava che la sua specialità fosse manipolare il metallo, ma includeva anche una foto del ninja che permise a Munisai di riconoscerlo come uno dei pezzi grossi presenti all'elezione del Kokage.
    Lasciò l'edificio sfregandosi le mani. Era tutto quello che gli serviva sapere.

    Quando un messaggero fu incaricato di fare rapporto al Daimyo sugli ultimi accadimenti al Suono, il giovane fece carte false per farsi assegnare alla sua scorta e, una volta giunto al maestoso castello, chiese di conferire privatamente con Tenma. In realtà il rosso aveva già pensato a uno stratagemma per convincere il Jonin a prenderlo come allievo, laddove avesse mostrato riluttanza. Avrebbe detto che si trattava di una richiesta diretta del Mikawa e avrebbe prodotto persino delle prove a sostegno della sua affermazione, ovviamente contraffatte.
    Fortunatamente non ce ne fu bisogno. Il ninja medico gli concesse un'udienza fin troppo breve, essendo in procinto di partire per un incarico affidatogli dal Signore delle Risaie in persona, ma dopo che Munisai gli ebbe spiegato la sua situazione ed il suo desiderio, il superiore cedette alla richiesta senza troppe resistenze. Non appena avesse portato a termine il compito che aveva per le mani, si sarebbe fatto vivo lui con il futuro discepolo.

    L'uomo tenne fede alla parola data e, circa venti giorni più tardi, Munisai fu scelto per una missione molto specifica.

    [ ... ]


    Tra un boccone e l'altro, il ragazzone ascoltò la presentazione dei propri compagni di squadra.
    Erano tutti otesi tranne un ragazzo della Foglia dallo sguardo piuttosto tagliente e dai modi sbrigativi, un esponente del famigerato clan Senju. Poi toccò all'altro Genin del Suono.
    Non era la prima volta che si imbatteva in uno Shimasu ed era a conoscenza del funzionamento delle loro arti illusorie, nonostante non avesse ancora avuto modo di osservarle in azione. Ricordava ancora l'esperienza in missione con Ikku Shimasu, un simpatico cazzone mezzo schizzato che però invece di un flauto usava come medium un kazoo verde pisello. Risaliva a pochi giorni addietro la notizia che lo avessero accoppato dopo essere stato scoperto mentre cercava di infiltrarsi tra le file di Hayate.
    E vabbe', i rischi del mestiere.
    Ero presente quando è stato eletto annuì, confermando le parole del compaesano ma senza approfondire oltre.
    Mi chiamo Munisai Kanashige, anch'io sono un Genin di Oto.
    Ho uno stile abbastanza flessibile, me la cavo nello scontro ravvicinato ma posso anche intralciare e immobilizzare se serve.


    Tenma spiegò sommariamente in cosa consisteva la missione e Yato si sentì di dire la sua su come fosse meglio organizzare l'azione. Il rosso lo osservò con una sorta di pigro interesse, annuendo appena quando finì di parlare.
    Potrebbe funzionare.
    La cosa più importante è tagliare ogni via di fuga ai bersagli e attaccare quando sapremo che non hanno scampo.
    Con le informazioni a disposizione non credo si possa aggiungere molto altro, dovremo valutare sul momento in base alla situazione che ci troveremo davanti.

    Il suo era il tono tranquillo e posato di chi faceva delle osservazioni molto basilari, piuttosto che dettare una linea da seguire.
    Se il caposquadra gli avesse chiesto di elaborare il suo pensiero l'avrebbe fatto. In caso contrario se lo sarebbe tenuto per sé, per il momento.
    Non spettava a lui decidere piani d'attacco, e nemmeno al tizio della Foglia, se è per quello.



     
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