Where everything started

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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    I



    Sapete qual è la peggiore sensazione che un uomo possa provare? Il dolore? Forse. Il dolore atroce, rivoltante, che ti fa pregare la morte. Chi viene scuoiato vivo prega la fine della tortura a qualsiasi costo. Eppure c'è una certa utilità nel dolore. Provare dolore significa che qualcosa non va e che c'è qualcosa da fare per farlo smettere. Bendare la ferita, chiedere aiuto, un farmaco, o una droga. Il dolore è il segno che forse siamo in grado di renderci conto che in noi c'è qualcosa che non va.
    Forse c'è ancora qualcosa di peggiore del dolore. Forse ci sono due cose peggiori del dolore.
    L'impotenza.
    L'apatia.

    [Estate 39 DF]
    L'impotenza.
    L'impotenza di guardare tutta la tua vita andare in pezzi senza poter far nulla per fermarlo. L'inesorabilità degli eventi guardanti dal punto di vista di un uomo che aveva sempre potuto fare qualcosa, costretto a non poter far altro che guardare, spettatore inerme di un destino che si svolgeva davanti ai suoi occhi.
    A cosa serve la tua spada, guerriero, quando il nemico non può essere ucciso con la lama?
    Le mani affondavano tra i capelli, mentre in me cresceva un'inquietudine senza precedenti. La necessità di essere utile e fare qualcosa si scontrava con la realtà che non c'era altro da fare che attendere e sperare. Itai Nara non poteva attendere e sperare. Itai Nara agiva.
    Risolveva problemi.
    Ma come poteva risolvere la malattia?
    A cosa serve il tuo potere, Mizukage, se non puoi ordinare a questo male di andar via?
    Natsu respirava a fatica. Il suo piccolo corpo, magro, era chiazzato. I suoi occhi verdi, come i miei, incavati nel cranio. Sembrava che gli avessero tolto qualsiasi oncia di grasso e muscoli il corpo di un bambino potesse avere. Tossì piano, ed io gli rimisi una mano sulla fronte. Scottava. La febbre non scendeva, non sarebbe scesa. Natsu iniziò a piangere, un lamentio di sofferenza.
    A cosa serve la tua influenza, se nessuno può aiutarti?
    Papà è qui Natsu, dissi, a voce bassa, cercando di essere di conforto al bambino.
    Natsu aprì gli occhi, sofferente. Aveva le sclere arrossate. Papà... Mi fa male... Tutto...
    Avvicinai le labbra alla sua fronte, glie la baciai, quasi ustionandomi.
    Dormi... gli mormorai vicino l'occhio. Quando ti sveglierai starai meglio.

    Poi, all'improvviso, dei colpi di tosse accesi attirarono la mia attenzione. Mi voltai, sapendo esattamente dove guardare. C'erano solo due letti in quella stanzetta sparata, in una casa isolata a Kurohai.
    Nana, che ormai aveva quasi tredici anni, giaceva sul letto vicino quello del fratello. Sua sorella gemella era dall'altra parte rispetto a me, appollaiata su una sedia con entrambi i piedi, con le braccia che cingevano le gambe poco sotto le ginocchia. Guardava sua sorella senza riuscire a dire o far nulla. Nana tossì ancora, più forte, il respiro affannoso, quasi rantolante.
    Le presi la mano.
    Papà... Il tono tremante era uno strazio da ascoltare. Ma peggio ancora erano i suoi occhi. Terrorizzati, carichi di un timore primordiale, di chi sta affrontando la fine senza esserne pronto.
    Sono qui le dissi. Jukyu balzo giù dalla sedia e senza dire una parola andò dal fratello, accarezzandogli la testa. Ultimamente Jukyu non parlava. Non diceva quasi una parola se non il minimo indispensabile e non lo guardava più in faccia. Un altro, ennesimo dolore. Ma non poteva pensare, in quel momento, al risentimento di Jukyu. La verità era che Natsu e Nana stavano morendo. Stavano morendo per colpa sua. Solo sua.
    Ho... Ho paura papà... singhiozzò Nana. Ed io non sapevo come consolarla. Sospirai, le accarezzai il viso asciugandole le poche lacrime che le rigavano le guance.
    Sono qui... era la terza volta che lo ripeteva. Ti prometto che andrà tutto bene...
    Natsu? la voce di Jukyu attirò la mia attenzione. Mi voltai subito, vedendo Jukyu china sul fratello, scuoterlo senza troppa dolcezza. Riuscii a vedere il suo volto, distorto in una smorfia di orrore. Deglutii. Cercai il coraggio.
    C'è riuscita tua figlia... , pensai, abbassando lo sguardo.
    Natsu dormiva.
    Il suo volto, pacifico, non aveva più l'espressione sofferente. Sembrava, per la prima volta da settimane, sereno. Jukyu lo scosse ancora, con vigore, chiamandolo, con una nota di disperazione nella voce.
    Mi avvicinai, consapevole. Avevo visto troppa morte nella mia vita per non riconoscerla quando era davanti ai miei occhi. Presi la mano di Jukyu e la scostai dal corpo del fratello.
    Ferma Jukyu, ti prego... il mio tono era quasi implorante. Lei alzò lo sguardo, guardandomi in viso per la prima volta dopo settimane. Era smarrita. Spaventata. Era poco più che una bambina, non era giusto che fosse lì.
    A vedere suo fratello morire.
    Quello era compito mio.
    Mio e di Ayame.
    Lasciami! scostò la sua mano dalla mia bruscamente e se la portò alla bocca.
    Va' a chiamare tua madre. Il tono della mia voce era neutro. Le emozioni, cancellate con la forza.
    Accarezzai la testa di Natsu. Doveva essere forte. Per Jukyu, per Nana, per Ayame.

    Lei entrò. Era davastata. Si prendeva cura dei due bambini di continuo, anche quando avrebbe dovuto riposare. Avevo dovuto costringerla quasi con la forza a riposare quel pomeriggio, per recuperare un po' di forza. Mi guardò in viso, vi lesse l'assenza di emozioni. Il mio viso, che era stata una maschera di tensione e preoccupazione, aveva perso qualsiasi emozione nello scontato tentativo di cancellarle.
    Lei comprese.
    Una madre lo comprende.No... Il mio bambino... il suo tono mi fece stringere il cuore. Sentii Nana singhiozzare.
    I ricordi si fecero confusi.

    Nana si spense il giorno dopo. Avrei dovuto riportare i loro corpi a Kiri, ma non mettevo piede nel villaggio da mesi. E francamente, non mi importava. No. Loro sarebbero rimasti lì.
    Scavai le fosse con le mie mani, senza usare jutsu o altro. Persino la mia forza sovraumana serviva a poco. Scavare era un lavoro ripetitivo, la pala poteva trasportare solo poca terra.
    E mentre scavavo due fosse troppo piccole, impastavo la terra con lacrime amare, ma scarse.


    A che serve essere vivi, se la vita significava quel dolore?
    A quella domanda, io ed Ayame arrivammo a risposte diverse. Pensai a Jukyu ed a lei. Natsu e Nana erano morti, ci erano stati strappati via troppo presto, ed era ingiusto. Quella ferita non si sarebbe rimarginata mai.
    Ma c'era ancora Jukyu. Lei aveva bisogno di me.
    E per lei ci sarei stato.
    Sempre.
    Ma Ayame no. Lei non resse il dolore. Due giorni dopo il funerale di Natsu e Nana, mentre Jukyu guardava le tombe di sua sorella gemella e si suo fratello con me che osservavo da lontano, sentii un tonfo sordo in casa.
    Ayame? la chiamai. Nessuna risposta. Entrai nella casupola, cercai in cucina, in camera da letto, ma lei non c'era. Così mi diressi in bagno, cercai di aprire la porta, ma era chiusa. Ayame tutto bene?, dissi, con voce accorata e preoccupata. Ma ancora, nessuna risposta. Diedi una botta secca in corrispondenza della serratura che non resse al colpo. La porta si aprì di schianto.
    Ayame era nella vasca da bagno, vestita. Il tumore che avevo sentito era il Kunai che le era scivolato dalle dita finendo sul tappetino. Lei riposava, le braccia distese in avanti, fiumi rossi di sangue che sgorgavano da due tagli longitudinali.
    Mi fiondai su di lei.
    La sollevai, ma non respirava più. Mi voltai, inorridito e solo allora mi resi conto che Jukyu mi aveva seguito.
    Ci guardammo.
    Le gambe mi cedettero, ma riuscii a posare Ayame distesa sul pavimento.
    Mamma... Jukyu non la stava chiamando interrogativa. Era sveglia, ben più matura dei suoi tredici anni scarsi. Sembrava le stesse chiedendo "perché lo hai fatto?".

    [Due settimane dopo]
    Hanako aprì la porta, trovandovi sua nipote Jukyuu. La ragazzina aveva con se un bagaglio leggero ed una lettera in mano. Hanako vide che il suo viso era distrutto dal dolore, da un dolore profondo ed inaccettabile.
    ...Jukyu? Era confusa. Che ci faceva Jukyuu da sola lì? Perché non c'erano né Itai né Ayame. E cosa ancora più strana, dov'era Nana?
    Lei le porse la lettera. Ciao zia. Hanako prese la lettera, sapendo che ci sarebbero state brutte notizie.

    Ciao Hanako,

    Natsu e Nana sono morti. Una malattia, è stata colpa mia.
    Ayame si è uccisa.
    Io non posso prendermi cura di Jukyu. Perdonami. Non riesco a spiegare.
    Tornerò, ti spiegherò.

    Itai


    Hanako cadde sulle ginocchia, piangendo, ed abbracciando Jukyu che però non cambiò la sua espressione, né ricambiò l'abbraccio.

    [...]

    L'apatia.
    C'è un motivo per cui, nonostante alcuni eventi, Itai Nara (creduto disperso) non è mai tornato a Kiri.
    Non poteva più essere il Mizukage. Non poteva più essere un ninja. Non potevo essere più alcunché. Chomei era silente. Non avevo coraggio di evocare Yogan e non tornai a Kurohai. Partii, sentendo dentro di me null'altro che il profondo vuoto esistenziale.
    Non potevo essere più il padre di Jukyu, per il suo bene.
    Potevo solo essere l'ombra di me stesso, che camminava sulle mie gambe, perdendo pezzi di me ogni giorno che passava. Viaggiavo da solo, camminando, col volto coperto ed incappucciato per non farmi riconoscere, la mia presenza occultata. Garyuuka era rimasta nella casa di Kurohai assieme a Nishigikoi. Non mi fermavo per più di un paio di notti nello stesso posto, e mai in terre accademiche. Sempre lontano dall'acqua.
    Dopo alcuni mesi mi accorsi che non mi chiedevo se il villaggio fosse sprofondato o meno. Non mi importava più di nulla. Solo di Jukyu. Ma persino l'amore per mia figlia non era abbastanza. Ero consumato dal dolore. Totalmente annullato.
    Ogni giorno ambivo la morte, ma solo l'immagine del volto di Jukyu di fronte al cadavere di sua madre mi fermava.
    Itai Nara era un uomo finito.

    [Al giorno d'oggi]
    La luce più tenue brilla come un sole nella notte più buia. I miei passi mi condussero, quasi senza che me ne rendessi conto, dove la mia storia era iniziata, sedici anni prima.
    Le mura di Konoha, alte ed imponenti, mi fissavano con aria di monito ed io ricambiavo il loro sguardo.
    Non guardatemi così dissi a bassa voce. Lo so che ci ho fregato tanti anni fa, ma dovrebbe esservi passata.
    Mi avviai verso l'ingresso principale.
    Mi fermai. Se qualche guardano si fosse rivolto a me chiedendomi qualcosa, avrei risposto con semplicità.
    Chiamate l'Hokage, ditegli che... sospirai. Abbassai il cappuccio, rivelando il mio volto. Non era rimasto molto di Itai Nara. I capelli biondi, gli occhi verdi, ma l'espressione era matura e dura, infintamente triste. Il mento era coperto da una corta barba. A volte si vedeva allo specchio e quando non provava disgusto verso sé stesso a stento si riconosceva,


    Ditegli che un suo vecchio amico è tornato dalla nebbia.


     
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    Più Mosso: Stage tra i guardiani



    L'Accademia non si faceva mancare proprio nulla, nemmeno mandare noi genin a fare lavori non pagati con la scusa di imparare qualcosa di nuovo. Proprio qualche giorno prima mi era stata recapitata una lettera in cui venivo informato del periodo, sette giorni suddivisi in varie settimane, che avrei dovuto passare insieme ad un guardiano delle mura di Konoha, un certo Yasuke Nara, uno dei guardiani più scansafatiche che esistessero in tutto il villaggio, la sua nomea ormai era ben conosciuta e un po' sulla bocca di tutti. Ma proprio a me doveva capitare sta seccatura, sprecherò tutti questi giorni a pulirgli il culo senza progredire di neanche un millimetro. Da buon lavoratore mi ero comunque presentato all'ora prestabilita, un pomeriggio tranquillo, dove il calore del sole del mezzogiorno era in divenire. L'uomo in questione mi stava già aspettando, seduto a terra in corrispondenza del grande cancello di legno aperto in modo da far fluire le mercanzie che i più disparati venditori stavano portando all'interno del villaggio. Tu devi essere Kyojuro. Bene, seguimi e non ti staccare più di dieci centimetri dal mio culo. E' chiaro? Si partiva proprio bene, sarebbero state le ventiquattro ore più infernali della settimana..se non del mese o dell'anno. Avete capito bene, ventiquattro ore di fila..gli stage della foglia non scherzavano, ti buttavano subito in uno dei turni più odiati da tutti. Ebbene, come immaginavo, la giornata si rivelò completamente infruttuosa, tra partite a scopa e briscola tra i suoi amici guardiani e la lettura di un giornale sportivo. Io intanto, obbligato a stare al suo fianco mentre bighellonava, ero costretto a sorbirmi ore e ore di noia in cui non mi era nemmeno stato detto cosa avrei dovuto fare nelle varie situazioni. Signor Yasuke.. non dovremmo prestare attenzione a chi entra nel villaggio? controllare se è tutto a posto e le generalità di persone prese a campione o simili? Chiesi in un momento in cui sembrava minimamente interessato alla gente che stava passando dall'entrata. Ma si, ci penseranno gli altri guardiani, tu riposati e cerca qualche divertimento. Era questa la vita che doveva fare un guardiano? non sembrava proprio giusto che questo continuasse a campare sulle spalle del lavoro di altre persone. Io però non ero ancora nessuno per dirgli qualcosa, l'unica sarebbe stata farlo beccare da qualcuno di più importante..anche solo un Jonin di passaggio, anche se sembrava che tutti se ne fregassero. Il resto del pomeriggio e della serata passarono molto lentamente, nelle ore tarde in realtà il traffico si era fermato completamente e solo più il rumore degli insetti e degli animali accompagnavano il nostro lavoro. fu proprio in quella situazione di apparente calma che un uomo incappucciato si avvicinò alle mura. sembrava molto calmo per un momento sembrò rimanere li fermo a guardare le bianche pareti che proteggevano il villaggio dai pericoli esterni. Dopo poco si diresse verso una delle grandi arcate intagliate direttamente nella roccia, dove nessun guardiano al momento era presente se non per me e Yasuke. Yasuke! esclamai sottovoce. C'è qualcuno alla porta.. Lui scazzato si alzò dalla sedia su cui si stava rilassando. Impossibile, a quest'ora non c'è mai ness.. Quando vide l'uomo camminare la sua voce si ruppe in mille pezzi. C-c-cazzo, chi è mo questo? ci toccherà lavorare stasera. Sembrava visibilmente strano, spaventato forse? non riuscivo a capirlo con sicurezza, alla fine l'uomo poteva essere un semplice vagabondo o un mercante un po' in ritardi, c'era veramente da doversi spaventare?

    Ci spostammo in modo da raggiungere prima dello sconosciuto l'entrata e arrivati alla porta, sotto volere di Yasuke, avrei fatto io le veci del guardiano, sui sarebbe rimasto dietro di me..Pensava fosse il momento adatto per vedere di cosa ero capace..se certo, se la stava facendo nei pantaloni. Quando l'uomo fu a portata di orecchio e vista mi feci semplicemente avanti portando una mano in alto facendogli segno di fermarsi. Buon'uomo, è alle porte del villaggio della foglia, si identifichi in modo da poterla far passare. Sinceramente non ero mai stato nella situazione di dover chiedere delle generalità a qualcuno e il tutto mi faceva strano.. Cercai di sfoggiare il mio solito sorriso tranquillo e pacato in modo da non dare l'intenzione di essere aggressivo o dubbioso, un semplice controllo di routine. Lo sconosciuto si fermò davanti a noi, abbassando il cappuccio e lasciando travedere le sue fattezze e disse di essere un vecchio conoscente dell'Hokage e di andare a chiamarlo. Kyojuro, tu resta con lui, andrò a chiamare io l'Hokage. A quelle parole, pronunciate alle mie spalle, una fulmine saettò attraverso la mia spina dorsale, dovevo rimanere da solo, il primo giorno di stage, con uno sconosciuto? Il guardiano sparì nel giro di un instante, lasciandomi quindi a fissare quell'individuo che ancora non si era presentato. Come immagina non posso..permettere che lei entri nel villaggio senza averla identificata.. il suo nome e il motivo della sua visita? Sicuramente un ninja di alto calibro si sarebbe subito accorto della mia inesperienza, le parole faticavano a venir fuori e il rimanere soli non mi aveva messo molta sicurezza in me stesso anche se cercavo di ostentarla con tutto me stessoVedi di tornare in fretta Yasuke

    Intanto Yasuke raggiungeva l'abitazione dell'Hokage, ci arrivò velocemente ma mostrando ai presenti un grosso fiatone. Signore, una persona alle mura chiede di lei, un suo vecchio amico tornato dalla nebbia! Se Raizen avesse chiesto qualche informazione in più, Yasuke non avrebbe saputo rispondere altro che fatti molto concreti come il vestiario che portava e il fatto che fosse arrivato con il cappuccio alzato, in più ad una prima occhiata non sembrava armato, ma sicuramente non ne era sicuro al cento per cento.


     
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    II


    Non avevo idea se qualcuno mi avrebbe potuto riconoscere. Il mio viso non era, fino a qualche tempo fa, esattamente sconosciuto. Per un momento pensai che l'apparente concitazione di uno dei due guardiani significasse che mi avesse riconosciuto, ma poi ricordai il mio viso e pensai che forse non era così. Non ne sarei stato certo e forse, dopotutto, mi importava? Non ero lì per tenere la mia identità segreta. Mi ero curato di non farmi vedere non perché mi interessasse nascondere i miei movimenti, ma per essere lasciato in pace. Nessuno avrebbe lasciato camminare Itai Nara senza meta, in un viaggio volto alla guarigione.
    Guardai il giovane uomo che mi aveva chiesto le generalità. Istintivamente analizzai il suo chakra [Abilità] e la sua riserva esigua mi fece comprendere quanto fosse inesperto. Poveretto. Lasciato lì da solo dal suo superiore, di fronte ad un uomo che sebbene disarmato, se solo avesse voluto, avrebbe potuto ucciderlo con fin troppa disinvoltura.
    Avrebbe potuto.
    Itai Nara non lo avrebbe mai fatto. Per principio. Quel principio che però non sentiva più suo. A volte si ritrovava a guardare il suo essere come dall'esterno. Non si riconosceva più nel suo corpo. Per qualche istante pensai di sbarazzarmi del giovane genin ed entrare senza attendere quella tediosa procedura, poi, tornai ai miei sensi. No. Non potevo farlo. Era sbagliato, ed il solo pensiero mi affaticava più di quanto fossi disposto ad ammettere.
    Trascinarmi fino a Konoha era stata dura, più dura di quanto volessi ammettere persino a me stesso. Era stato facile girovagare senza meta, ma ero lì con uno scopo ben preciso.
    Sono Itai Nara. Sono... Mi fermai, non ero più nessuno. Ero il Nono Mizkuage. Sono qui per parlare con l'Hokage e per vedere mia figlia.

    Era la verità.
    Non ero certo che avrei potuto fare una qualsiasi di queste due cose. Avevo abbandonato Jukyu alle cure di Hanako poiché nel mio stato mentale le avrei solo fatto del male. Non era stata una scelta facile. Separarmi da lei, seppur per il suo bene, era stato l'ennesimo dolore inferto a Jukyu che già provava un risentimento senza fine verso di me.
    Era del tutto possibile che a lei non interessasse parlare con me.
    E Raizen? Probabilmente anche lui ce l'aveva con me per la mia scomparsa. Di certo se avesse saputo cos'era successo avrebbe potuto provare a comprendere.
    Ero vagamente preoccupato per la prospettiva del rifiuto di Jukyu. Tuttavia, qualcosa in me era rotto.
    L'apatia.
    Non sentivo altro che quel vuoto orrendo. Se Raizen mi avesse insultato, non avrebbe ottenuto alcuna reazione. Non mi importava. Però razionalmente sapevo di dover provare a ricollegarmi al mondo. O non sarei mai guarito.
    Itai Nara forse, in qualche modo, sarebbe potuto tornare.
     
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    Adagio: Un Kage decaduto



    Lo straniero appena arrivato alle mura a prima vista, una volta tolto il cappuccio, sembrò un semplice uomo, nulla più di un quarantenne ma nelle sue parole c'era qualcosa di strano. Perchè l'Hokage avrebbe dovuto riceverlo, chi era lui per presentarsi alle porte di uno dei più grandi villaggi presenti sul globo e richiedere dal nulla di vedere la più alta carica che esisteva? Persino io ancora non avevo avuto l'occasione di parlarci e un forestiero poteva da subito andare da lui? Fu quando rispose che tutto sembrò essere più chiaro. Si presentò a me come il nono Mizukage, Itai Nara..sul mio viso si stampò un'espressione stupita e quasi incredula, avevo visto alcune foto del nono Mizukage, una figura di spicco come quella era rimasta sui giornali per molto tempo, soprattutto anche alla sua scomparsa. L'unico problema era che l'immagine che ricordavo di lui era completamente diversa da ciò che mi si era parato davanti. Vero era che qualche somiglianza effettivamente c'era.. i capelli erano acconciati in maniera diversa ma il colore sembrava proprio quello..così come il colore degli occhi. La barba incolta però spezzava veramente ciò che ricordavo..quello che avevo davanti doveva essere un Itai maturo, cresciuto e ormai consapevole di quanto la vita fosse dura. Esatto, lo capii per un semplicissimo motivo, sul suo volto era stampata un'espressione che avevo già visto moltissime volte, un'espressione di qualcuno che nell'arco degli anni doveva aver perso quanto di più caro esistesse nella sua vita, la stessa espressione che ogni giorno potevo vedere sul viso di mio padre. Non posso sapere se le sue parole siano veramente la verità.. Sinceramente dalle mie conoscenze lei potrebbe anche non essere chi dice di essere.. Ma sicuramente non posso lasciare un uomo nelle sue condizioni qui a rimuginare sulla sua vita. Lei.. sa.. ha la stessa espressione che mio padre ormai porta con se da fin troppi anni. Feci una pausa guardando nuovamente quell'espressione senza vita e completamente apatica prima di decidere il da farsi. Voglio fidarmi di lei.. la sua vita non è stata sicuramente facile, lo si può vedere dal suo sguardo.. e non penso sia lei sia qui per far del male a qualcuno, è alla ricerca di un posto dove riposare dico bene? Accennai un sorriso e portai la mano verso l'interno del villaggio. Non potevo sapere cosa lo avesse spinto a presentarsi li quella sera ma sicuramente non doveva essere l'intento omicida verso il Kage, ne verso altre figure di spicco. La sua apaticità era portata da qualcosa, come per mio padre era portata dalla morte della sua amata moglie. La foglia accetterà sempre person come voi, prego.. seguitemi, aspetteremo il Kage all'interno del villaggio, conosco un Izakaya qua vicino, sarà sicuramente felice di prepararci un ramen ed offrirci un sakè nel mentre che aspettiamo Raizen-sama Se l'uomo avesse deciso di seguirmi lo avrei portato in un locale molto vicino alle mura, era uno dei posti dove i mercanti per tutto il giorno facevano festa ma che, nelle ore notturne, si calmava e diventava un piccolo posto dopo scambiare due chiacchiere e bersi qualcosa di caldo. Se invece avesse deciso di non venire con me avrei aspettato li con lui e, dopo qualche minuto, alcuni altri guardiani, probabilmente dei sensitivi, si sarebbero radunati sulle mura a guardare cosa stesse succedendo mentre io, solo, cercavo di districarmi da questa situazione.

    Nel caso avessimo raggiunto l'Izakaia ci saremmo trovati davanti un piccolo locale posizionato in un conglomerato di altre attività chiuse per il tardo orario, una semplice porta in legno ci divideva dall'interno e, sulla destra, una finestra lasciava intravedere gli interni di un accogliente luogo informale. Una volta entrati da subito ci avrebbero fatti sedere al bancone, e ci sarebbe stato servito del sakè, senza neanche ci fosse stato bisogno di chiederlo. Gli interni si sarebbero presentati molto neutri. Il bancone, di legno color ciliegio, era abbastanza grande per ospitare almeno dieci persone e dietro di esso si trovava la persona che ci aveva servito, un uomo silenzioso di una sessantina di anni. Signor Itai, non vorrei offenderla ma.. feci una pausa di riflessione per capire come pormi in quella situazione. Anche lei a perso qualcuno di importante nella sua vita vero?



     
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    I Cancelli del Ritorno


    I




    Tante cose prendevano tempo a Raizen durante la giornata, definendo una routine che spezzava spessissimo con gli imprevisti dovuti al suo ruolo, cosa che ormai era così comune da averlo reso estremamente bravo nel passare da una mansione all’altra in men che non si dica, muovendosi tra i compartimenti della sua mente come uno scoiattolo.

    ...Chi è che c’è alle mura?

    O quasi.

    Adesso mi disturbate per ogni sedicente vecchio amico?

    Generalmente in quel momento della giornata avrebbe avuto indosso una canottiera così zuppa da necessitare di una strizzata in quando era solito dedicarsi agli esercizi fisici ed in particolar modo quelli necessari a rendere la sua mano dominante leggermente meno dominante, esercitando la mano sinistra in qualsiasi tipo di forma di spada che padroneggiava con la destra. Per quanto fosse abile infatti non era semplice opporsi ad una vita di abitudini che vedevano la mano destra avvezza a qualsiasi tipo di incarico e sufficientemente allenata in ogni sua parte da non affaticarsi nemmeno dopo qualche ora passata ad impugnare Garyu, cosa che non si poteva dire per la sinistra ed a cui voleva porre rimedio.
    Tuttavia era qualche tempo che alternava quegli esercizi a qualcosa di più leggero: aveva contattato lo stesso team che aveva ricostruito il palazzo del daimyo per assegnarli una grande opera, seppur non grande quanto quella del daimyo sicuramente più impegnativa in quanto il luogo scelto dalla Montagna era decisamente più impervio, soprattutto considerando le dimensioni dell’intervento.
    Uno dei luoghi più belli che avesse mai visto in realtà, forse perché, ripescando dalle sue memorie più vecchie gli ricordava le montagne di Kumo e come i suoi abitanti vi costruissero a ridosso, ed al contempo mantenesse intatta l’identità di Konoha, con un imponente costone roccioso attorniato da alberi secolari su cui svettava.
    Lì, in quel costone, affacciato su una vallata di cui a stento si vedeva il fondo voleva stabilirsi, libero, persino dal pensiero della terra, così lontana sotto i suoi piedi.
    Qualcosa di spazioso ma non esagerato, che potesse al contempo ospitare lui ed eventuali ospiti ma anche tenere vicino i suoi affetti e che se mai avesse radunato i draghi sarebbe stato ben vicino al tempio centrale.
    All’insistenza del messaggero però si accigliò, costringendosi a distogliere l’attenzione dalla camera più alta, la zona notte a pieno panorama che avrebbe condiviso con Hebiko

    Va bene.

    Sospirò pesantemente.

    Se non altro posso interrompere ciò che stavo facendo.

    Non indossò niente di particolare per quell’incontro, se non il kimono col simbolo della casata di cui lui era al momento l’unico esponente, mentre attraversava la via principale, un asse diretto dall’amministrazione fino alla porta di ingresso, si ritrovò a pensare che l’ultima volta che era stato convocato ai cancelli inaspettatamente era per il ritorno di Sho, una notizia che ancora rievocava nei momenti di sconforto per tirarsi su di morale.
    Il messo gli comunicò che al momento era presente una delle leve ad intrattenerlo ragione per la quale giunto alle mura avrebbe rallentato il passo, concedendosi con la sua andatura di ascoltare le parole che i due scambiavano, inconsapevole di ciò che stava per sentire.




    … tu sei chi?

     
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    Where everything started


    III

    Parole. Solo un fiume di parole in piena, fastidioso e tediante, che non avevo voglia di ascoltare. Povero ragazzo, non aveva idea di quanto poco volessi essere disturbato e forse in un momento diverso avrei potuto ritenere apprezzabile la sua empatia, ma ci volle uno sforzo notevole di volontà per non rispondergli "taci" senza troppi complimenti.
    Se avessi voluto far del male a qualcuno, sareste tutti morti e non mi sarei presentato all'ingresso bussando con cordialità dissi con voce atona, quasi se il fatto di non averli attaccati fosse un qualcosa di poco conto, non la normalità. In realtà il tono non era ben decifabrile, perché quasi privo di ogni possibile inclincazione, così come il mio viso, ormai privo delle più basiche emozioni. Non voglio parlare di cosa èsuccesso. Aggiunsi alla fine, secco. Ed era vero. Forse ero stato rude, ma del resto non mi importava poco. Ero impaziente, volevo solo entrare. Volevo vedere Jukyu. Forse così, con lei, sarei potuto iniziare a guarire.

    La voce di Raizen mi colse di sorpresa. Ero voltato a parlare verso il giovane shinobi quando la voce profonda e famigliare dell'amico gli arrivò alle orecchie. Un tempo avrebbe sorriso. Non c'era più nulla che potesse farlo sorridere.
    Mi voltai, con lentezza non deliberata. Persino i miei movimenti sembravano essere bloccati, impediti da un macigno mentale che mi prosciugava di qualsiasi forza.
    Sono Itai, Raizen dissi allora, con lo stesso tono privo di reali emozioni. Il mio viso era cambiato, ad opera del tempo e della sofferenza. Un tempo leggermente più pieno, sempre ben rasato, ed espressivo. Adesso sembrava che avessero seccato i muscoli sopra al mio teschio, lasciando solo quanto bastava per non apparire del tutto denutrito. I capelli erano del solito biondo chiaro e gli occhi verdi erano due pozze prive di qualsiasi vita, o gioia. Ero io, ero innegabilmente Itai Nara, chiunque mi avesse conosciuto avrebbe potuto capirlo sebbene il cambiamento fosse sostanziale. Ne ero certo.
    Avrei dovuto aggiungere "è bello rivederti", "come va vecchio mio", ma non riuscii a dire nulla. Guardavo Raizen, ma il mio sguardo era fisso più avanti, verso casa di Hanako. Jukyu. Dovevo tornare da Jukyu. Ero stato assente dalla sua vita per troppo tempo.


    [A Kurohai]
    Un enorme drago, lungo quaranta metri, sorvolava da grande distanza il vulcano. Dopo breve la sua forma parve contrarsi su se stessa, rimpicciolendo, fino a che non assunse l'aspetto di una ragazza dai lunghi capelli rossi, di bell'aspetto.
    Scese con grazia nella bocca del cratere del vulcano, non infastidita minimamente dal calore e dal fumo. Anzi, ne era confortata.
    Si diresse in anfratto nella roccia sulla parete verticale del cratere, fissando con occhi spenti il magma che ribolliva.
    Fa male pensò, portandosi una mano al petto.Fa sempre male. Oh Itai... Quel pensiero era macchiato da disperazione. Il suo collegamento con Itai non era mai stato disattivato. Erano ancora Drago e Ryuukishi, sebbene lui non la cercasse da due anni. Capiva anche il perché, ma ciononostante, quel legame vivo faceva sì che tutto il dolore di Itai fluisse in lei. Poi, un momento, parve attenuarsi appena. Forse era successo qualcosa di bello. O forse, era la calma prima della tempesta.


     
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    Adagio: L'Arrivo dell'Hokage



    Forse era stato troppo.. andare subito a toccare gli argomenti spinosi appena incontrato un uomo non era la cosa migliore da fare. Le sue risposte non tardarono ad arrivare, fredde come il ghiaccio del luogo da cui arrivava, la fredda e nebbiosa Kiri. Non mi feci tangere da ciò che disse, non ero il primo ragazzino che si spaventava perchè un quarantenne intimava che ci avrebbe ucciso tutte se solo avesse voluto. Certo era che se fosse stato davvero l'Itai Nara che tutti conoscevano forse..e dico forse..nemmeno l'Hokage avrebbe trovato facile il bloccare quello shinobi, e sicuramente io non avrei potuto aiutare molto in quel frangente. Sentenziò alla fine di non voler proprio parlare di quelle cose e non potevo fare altro che soddisfare i suoi desideri, continuare per quella strada non avrebbe giovato ne a me ne a lui. Fu proprio in quel momento che arrivò finalmente la persona che tutti e due stavamo aspettando. Si presentò alle nostre spalle nella sua magnificenza, un uomo di alta statura che torreggiava sopra di me di molti centimetri e, con la sua imponente stazza, sembrava portare dietro di se l'intera forza del villaggio. sul suo volto si era stampato uno sguardo talmente stupito che non era difficile capire cosa stava accadendo in quel momento.. Itai Nara era davvero davanti a noi, ma era qui in quale veste? Signore! è un onore vedervi qui, quest'uomo si è presentato come Itai Nara..chiedeva di lei Accennai un piccolo inchino prima di farmi da parte in modo che i due potessero stare faccia a faccia. Dovrei congedarmi? ora che è arrivato potrei essere di troppo.. e dov'è Yasuke? Effettivamente il guardiano ancora non era tornato..o almeno non si era ancora fatto vedere..cosa sarebbe potuto succedere di li in poi? distruzione e paura o comprensione e dolcezza? solo loro potevano sapere le intenzioni gli uni degli altri. Nel caso comunque l'Hokage mi avesse congedato, con un veloce inchino avrei salutato le due figure e mi sarei spostato all'interno del villaggio, in modo da dare il giusto spazio ai due per discutere.

     
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    Tentativo di Contatto


    II




    Avrebbe voluto essere felice il colosso, avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto fare tante cose, ma si soffermò sul viso di Itai i secondi necessari e tutto divenne inopportuno.
    Itai era sempre stato un perenne ragazzino, un viso gentile, una zazzera di capelli colo paglia e dei tratti gentili, sempre con il volto liscio.
    Ora vedeva un uomo invecchiato da chissà cosa, una barba lunga e dietro di lei delle guance più scavate di quanto non avrebbe voluto per lui e negli occhi una luce lontana.
    Furono lunghi istanti di valutazione dopo i quali fece qualche passo in avanti per vedere il vecchio amico ancora meglio.
    Non potè evitare un tiepido ma sincero sorriso dopo il quale gli avrebbe poggiato le mani sulle spalle, pesanti e nerborute come le ricordava.

    Bentornato, Itai.

    Non poteva sottrargli ulteriori energie, non poteva calcare la mano sullo sciame che sicuramente gli ronzava per la testa senza lasciargli pace durante la notte, ma poteva invadere il suo spazio personale, un approccio che nessuno aveva tentato da chissà quanto.
    La positività di Raizen era palpabile, ma contenuta e per quanto avesse voluto essere più caloroso si limito a quello.
    C’erano una marea di domande da fare, letteralmente milioni ma tutte puntavano inesorabilmente a qualcosa che aveva ridotto il ninja in quello stato per cui non avrebbe chiesto non ancora.
    Tutto sarebbe andato per gradi.
    Qualcosa nello spirito di Raizen risplendeva, e probabilmente lo faceva anche nei suoi occhi, l’egoistica speranza che quell’uomo potesse essere d’aiuto in quei tempi così tesi, ma la cacciò nella profondità delle sue viscere imponendosi di dare precedenza a quell’uomo in pezzi.

    Hai la faccia di uno che ha mangiato poco e male.
    Ti va qualcosa?


    Attese una risposta e se fosse stata negativa avrebbe storto la bocca.

    Un panino per la strada allora.

    Si rivolse poi al genin.

    Tu mi sembri nuovo delle mura, sono certo di non averti mandato io qui, stai facendo un apprendistato immagino.

    Si guardò attorno, e si poteva notare come il suo sguardo si fece più nervoso.

    Non vedo il tuo superiore.
    Perchè?


    Quel tono non preannunciava niente di buono.
    Ed appena giunta risposta i sospetti si sarebbero concretizzati.

    Ah era lui il tuo superiore?

    Disse riferendosi all’uomo che l’aveva chiamato lì lasciando un genin impreparato al suo posto.

    Si guardò intorno per vedere se lo scorgeva, ma ne sentiva solo la paura.

    Bene.
    Vieni tra qualche giorno nel mio ufficio, il mio segretario saprà darti un appuntamento ci faremo una chiacchierata e vedremo di assegnarti a qualcuno di più esperto e più responsabile.
    Per ora forniscimi il suo nome, sarò io ad occuparmi di lui.


    Era un ordine, ed era evidente che sarebbe arrivata in qualche modo una punizione, il giovane dal sangue Uchiha avrebbe ubbidito a cuor leggero?
    Risolta quella situazione diede una pacca ad Itai.

    Andiamo, credo tu abbia un sacco di cose da dirmi.

    Salutò il genin con un cenno, imprimendolo nella sua memoria come elemento su cui investire. In pochi minuti furono comunque lontani dalle mura e Raizen potè ricercare contatto visivo con Itai.

    Itai, ho notato che nemmeno yogan è con te...
     
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    Where everything Started


    IV


    L'isolamento, forse, non era stata la migliore delle idee. Avevo reagito alla perdita ed al dolore tagliando i ponti con qualsiasi cosa. Con Yogan, che era compagna fedele, un pezzo della mia stessa anima. Con Sojobo, saggio, caro, vecchissimo Sojobo, compagno di mille battaglie. Con Chomei, che pure era ancora lì, dentro di me, connessi ma divisi dalla mia volontà di isolarmi da tutto e tutti. Con Raizen, con cui avevo condiviso il percorso di essere Kage di un grande villaggio in un periodo in cui tutti e tutto volevano distruggere l'alleanza che univa le nostre terre.
    E con Jukyu.
    La mia Jukyu. L'ultimo pezzo della famiglia devastata. Era lì, a Konoha, dove l'avevo abbandonata perché non più in grado di badare a lei come un padre dovrebbe fare. Per il suo stesso bene. Non ero certo che però avrebbe mai compreso.

    Ora però avevo scelto di porre fine a quell'isolamento. Avevo girovagato, camminando migliaia di chilometri con i miei piedi, mai rivelando chi fossi, effettivamente scomparso, o morto per tutti coloro che mi avevano conosciuto a parte chi, con la certezza di un legame profondo con la mia stessa anima o con il mio chakra, avrebbe potuto capirlo. Yogan sapeva che ero vivo, ovunque fosse.
    Ora che ero lì, davanti a Raizen, con le sue mani poggiate sulle spalle, pensai che forse avevo fatto la scelta giusta a tornare. A provare, con difficoltà, a ricominciare a vivere. Con Jukyu. Per Jukyu.
    Grazie Raizen, risposi al suo bentornato con sincerità, ma le emozioni erano sempre poco evidenti, soffocate da qualcosa di rotto dentro di me, che mi impediva di provarle a fondo. Forse la sofferenza estrema, o forse qualcosa era cambiato nel mio cervello a seguito dei traumi. Era da... da tanto che mancavo. Nel mondo. Quell'ultima aggiunta forse avrebbe rivelato all'Hokage più di qualcosa.
    Quando lui propose di andare a mangiare un boccone, scossi piano il capo. Non avevo fame, né il cibo mi dava più lo stesso piaccere di un tempo. I primi tempi, dopo la morte di Ayame, mi ero scoperto a non aver mangiato per due giorni e mezzo prima di ingurgitare controvoglia una ciotola di riso preparata da Jukyu.
    Non risposi all'idea di un panino, avrei rifiutato dopo. Lui si rivolse al giovane Shinobi che mi aveva accolto. Non commentai la stupidità del superiore di grado che aveva lasciato il Genin solo con me per recapitare un messaggio all'Hokage. Non che avrebbe fatto una reale differenza, non ero lì per la violenza, del resto.
    Ci inoltrammo oltre il cancello. Come sempre, di fianco all'amico mi sentivo incredibilmente basso. Come quasi tutti, in tutto il continente, del reso.
    Andiamo nel quartiere Nara, a casa di mia sorella. Dissi semplicemente. Non avrei camminato più senza una meta. Ti dirò strada facendo. No, non volevo parlarne, ma con difficoltà mi rendevo conto che lui meritava una spiegazione di cosa fosse successo. Così come la meritava Kiri, quando avrei trovato le forze di tornare nella mia patria. Un passo alla volta. Dovevo recuperare mia figlia, prima di tutto. Dirle che ero tornato. Due anni fa sono stato attaccato. Non so da chi, non credo di volerlo sapere. Ma erano in molti. Mi hanno ferito, ma non sono morto. Volevano... Chomei. Non sono riusciti, o non hanno voluto separarmi da lui. Mi hanno fatto qualcosa per indebolirmi, non so cosa. Sono stato male, molto, e poi, non so come... sono fuggito. O mi hanno lasciato andare. I miei ricordi sono confusi. Feci una pausa. Quella era la parte bella e piacevole del racconto. Nel timore potessero usare Ayame ed i bambini per attaccarmi ancora, ho mandato i tengu a prenderli. Siamo andati a Kurohai. Ho una casetta lì, lontana dal villaggio, alle pendici del vulcano. Sono guarito, poi, dopo qualche giorno, Natsu e Nana si sono ammalati. Mi fermai, non ero certo di poter camminare mentre raccontavo quei giorni, sebbene stessi stringendo molto, troppo, per potercela fare. Tuttavia i ricordi intrusivi erano difficili da scacciare e concentrarmi sul presente poteva essere un'impresa titanica.
    Sono stati male. Una malattia, non so cosa. Non potevo trasportarli, a Kurohai nessuno poteva far nulla. Sono morti, entrambi. Prima Natsu, due giorni dopo, Nana. Feci un'altra pausa. Avevo perso due figli, nel giro di due giorni. Non era ancora finito. Ayame... non ha retto. Si è uccisa. Mi è rimasta solo Jukyu. Lei... Lei ha visto sua madre ed i suoi fratelli morire, avrei dovuto dire, ma non riuscii a finire la frase.Alzai lo sguardo verso l'Hokage. Poteva leggere nei miei occhi quanto quegli eventi avessero cancellato ciò che un tempo era stato Itai Nara.
    Io ero... io sono distrutto. Vivevo a malapena e non potevo prendermi cura di Jukyu. L'ho portata da Hanako, di nascosto. Non ho lasciato specifiche riguardo la segretezza, ma conoscendo mia sorella... Ha tenuto tutto nascosto. Mi avevano già attaccato una volta, per il bene di Jukyu, nessuno doveva sapere dove fosse. Ripresi a camminare, seppur più lentamente, guardando fisso davanti a me, con sguardo e voce prive di emozioni. Da allora... Yogan... Chomei... Io non ho più parlato con loro. Non posso. Mi guardai la mano, incapace di evocare su di essa le Fiamme Dorate. Ho paura di contaminare la Hono Masshiro. Ho paura che Chomei torni ad essere Kaku. Per questo non la vedi con me, Raizen... Io non posso... Mi bloccai per un altro lungo istante. Non ho fame, voglio andare da Jukyu. E provare a riprendere in mano la mia vita, in qualche modo, ma non potevo piombare qui a Konoha senza darti spiegazioni. Lanciai una rapida occhiata all'Hokage. Ho abbandonato tutti, anche te, a vedertela con il mondo. Perdonami, se mai potrai farlo.
    Era la prima volta che parlavo di quello che era successo con qualcuno. La prima volta che verbalizzavo gli eventi. Lo avevo fatto con distacco quasi disumano, quasi senza modificare la deflessione nella voce. Un uomo che perde la propria famiglia così avrebbe dovuto essere disperato. Ma la realtà, la cruda realtà, che quel vuoto di emozioni era il vero, tremendo volto della disperazione più cupa.

     
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    Adagio: Scelte Difficili



    Una nottata come quella era un evento quasi leggendario e io mi ero proprio trovato al centro del ciclone. Si trattava di una fortuna o di sfortuna? Di sicuro conoscere due delle figure più importanti del mondo in cui era nato ero degno di nota! Per quanto riguardava invece il mio magnifico sensei..beh, se ne stava ancora nei paraggi a constatare la situazione. Non che lo avessi visto con i miei occhi eh, semplicemente mi fu detto in un secondo momento. Aveva detto che sarebbe andato a chiamare il Kage ed effettivamente almeno quello era stato capace di farlo.. chissà se si era accorto fin da subito della vera identità dell'avventuriero che si era palesato agli alti e perlati cancelli di Konoha. Sta di fatto che il mio comportamento, forse, non era stato molto rispettoso verso quella figura e non potevo certo esimermi da delle scuse. Mi dispiace molto per come la ho trattata signor Itai-sama, spero capisca la situazione e non prenda il mio essere stato sospettoso verso di lei. E' un piacere conoscere l'Itai Nara di cui hanno parlato libri e giornali. Accennai un inchino verso l'uomo e successivamente mi feci da parte, lasciando che i due continuassero il loro discorso. Fu peculiare che Raizen, fin da subito, opto per prendere il suo vecchio amico per lo stomaco con la proposta di un panozzo di mezzanotte. Mi venne l'acquolina, non riuscii a controllarla visto che ormai era qualche ora che non mangiavo. A quel punto l'attenzione dell'Hokage si rivolse verso di me, un giovane ninja inesperto che si era trovato in quella situazione inusuale. E' arrivata l'ora della strigliata. beh, me la merito..Non capire che si trattasse di un ninja del calibro del signor Itai è un bello sbaglio. Chissà cosa avrebbe fatto se stuzzicato a dovere.. Avrebbe potuto probabilmente spazzare via un quarto del villaggio semplicemente muovendo un braccio e io mi ero messo a parlare con lui dei suoi problemi..il modo più facile per farlo arrabbiare. Complimenti, Kyojuro. Contro le mie aspettative non venni punito dal Kage, anzi, da subito notò che non ero un guardiano e, sagacemente, capì che ero li per un apprendistato - forse per quello non mi aveva fulminato sul posto per lo scarso lavoro che avevo eseguito - e dall'alto della sua stazza mi chiese del mio superiore. Hokage-sama, il mio superiore dovrebbe essere venuto a chiamarla, è partito immediatamente appena abbiamo accolto il signor Itai.. A quel punto senza troppi giri di parole venni invitato da Rizen a presentarmi in amministrazione di li a pochi giorni in modo da venir collocato sotto un nuovo responsabile. Non potei trattenere un leggero sorriso, alla fine ero contento di poter finire sotto un altro ninja con magari più voglia di insegnarmi qualcosa di utile e non come rubare soldi a poker. La domanda che arrivò successivamente però oscurò questa mia felicità. Mi era stato richiesto di fornire il nome del mio attuale responsabile, in modo che si potessero prendere le adeguate azioni. Cosa sarebbe successo a Yasuke? in cuor mio mi sarebbe dispiaciuto molto far finire nei guai quell'uomo..Non era una cattiva persona, forse un po' nullafacente, ma sicuramente nel suo cuore non c'erano macchie di grossa entità. Il suo nome è.. Mi fermai un momento per poi proseguire a voce poco più alta Il suo nome è Yasuke Nara, voglio però assumermi la colpa di quello che è successo. Se il signor Itai fosse stato veramente un pericolo per il villaggio il signor Yasuke sarebbe sicuramente stato più veloce di me a raggiungerla e avvertirla. Penso sia per questo motivo che ha lasciato la sua posizione di guardiano per raggiungerla! abbassai il capo inchinandomi nuovamente. chissà se Yasuke, che nascosto stavo guardando la scena, avrebbe preso quel mio gesto come un monito per il futuro, un aiuto che doveva servire a cercare di decurtare una parte della colpa da lui e evitare una più grande punizione. L'Hokage avrebbe creduto alle mie parole o avrebbe letto che sotto sotto stavo mentendo per proteggere la persona che mi aveva messo in quella spinosa situazione?

     
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    Disperata Solitudine


    III




    Raizen si accigliò quando il genin dimostrò di volersi accollare le colpe del suo superiore.

    Un guardiano deve stare di guardia, ragazzo, una manciata di secondi di stacco non salveranno nessuno, una buona linea difensiva si invece.
    E se manca l’esperto chi la prima linea di difesa?
    Un apprendista inesperto che non sa neanche dove sta il perno di sblocco dei cancelli?
    Abbiamo le mura per un motivo, non per far vedere che sappiamo fare grosse assi di legno lisce.
    Ma credo che per un po' Yasuke crederà che sia quella la ragione.
    Il caso ha voluto che fosse Itai a bussare, ma le regole son regole.


    I suoi piani infatti erano di impiegarlo in una lunga e abbastanza tediosa ristrutturazione della cinta, con un serrato piano di lavoro che non gli avrebbe permesso di poltrire.
    Avrebbe dato un ultima occhiata a Kyoujiro per poi congedarsi.

    Mi raccomando allora, l’appuntamento.

    Incamminatosi con Itai la discussione si fece inevitabilmente più pesante.

    Dimentico sempre che appartieni ad uno dei clan, nonostante il cognome.
    L’essere stato Mizukage l’ha reso un’ appendice del tuo nome del tutto estranea alle tue origini.
    Considerazione strettamente personale ovviamente, immagino che come io abbia inevitabilmente qualche lunga radice che ancora tocca i terreni di Kumo tu ne abbia qui a Konoha.


    La storia dell’attacco ad Itai lo fece riflettere, ma malgrado tutto non riusciva a identificare un possibile colpevole.

    A Kiri ti stanno cercando da un po', ma non so se abbiano risposte in merito.

    La malattia delle bambine fu invece un dolore che riusciva a malapena ad immaginare ed a cui annuì gravemente, ma quando persino Ayame sparì non potè che poggiare una mano sulla sua spalla.

    Che diavolo è successo Itai?
    Perché?


    Era evidentemente disorientato.

    Potevi chiamare!
    Per un kage l’accademia sa muoversi, dove non sarebbero arrivati i medici avrebbero messo una pezza gli Yakushi!
    E se non si fossero scomodati loro qualcuno con l'arte del quinto Hokage!


    C’era un leggero misto di colpevolezza e al contempo impotenza in quelle parole, aveva una certa quantità di responsabilità in quella storia, per non essere stato presente quando necessario, come si richiedeva ad un amico, non essere stato contattato però lo feriva in una maniera particolare e per quanto potessero essere sconfinate le ragioni dietro ad una tale chiusura ne era deluso, seppure questo non toccasse minimamente le vette del dispiacere empatico che provava per Itai.

    Vuoi vedere Jukyu?
    E allora che ci facciamo al clan?
    Non ho avuto notizie del suo…. Ahhhhhh, capisco.


    Aveva riportato alla memoria una vecchia conversazione, il capoclan era arrivato parecchio tempo prima a chiedergli un favore, l’ingresso al villaggio di un loro protetto, non avevano richiesto niente di particolare se non che venisse fatto entrare senza alcun tipo di domanda sulla sua identità, sarebbe stato solo qualche tempo al villaggio, entro i confini delle terre del clan e sotto la loro responsabilità, qualsiasi danno derivante sarebbe stato interamente coperto da loro.
    Ora comprendeva quella richiesta, che avrebbe comunque accettato, e comprendeva anche il perché di tanta segretezza.

    Non trovo le parole Itai.
    E io parlo parecchio, ma questa volta non ne ho nemmeno per parlare a sproposito.
    Mi dispiace, dal profondo del cuore, mi sei mancato come amico e sostegno nelle battaglie che abbiamo condiviso… ma la mia assenza nella tua vita è qualcosa di cui io dovrei scusarmi con ancora più forza.
    Ma sopra a tutto questo, sono convinto oltre ogni ragionevole dubbio che, ne il demone ne Yogan ne saranno influenzati, sai già che sono tuoi alleati, non devo dirtelo io, e sai che sottovalutarli fa male ad entrambi.


    La discussione li aveva però portati in un punto assai delicato.

    L’accademia è cambiata Itai.
    Kiri è cambiata, e non in meglio.
    Ma affrontiamo una cosa per volta.


    Erano giunti davanti alla residenza principale del clan, senza cibo, ormai decisamente superfluo visto che non solo la fame di Itai era sparita ma persino quella di Raizen.
     
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    Where everything started


    V


    La scelta di escludere Raizen e chiunque altro dalla mia vita, non era stata colpa loro. Bensì mia. O meglio, di quel mio stato alterato di mente che mi portava, senza quasi rendermene conto, all'isolamento nei confronti di tutti. Non riuscivo a tollerare la presenza di altri per troppo tempo, mi ritrovavo ad annaspare, alla ricerca di aria che chiunque mi parlasse mi sottraeva con le sue parole.
    Raizen..., sospirai nel pronunciare il nome dell'Hokage. Ciò che è successo era... Inevitabile. Una volta che si sono ammalati, i bambini non potevano guarire se non da soli. Come è successo a me. La strada era ancora lunga e non stavamo accelerando il passo. Fremevo dalla voglia di ritrovare Jukyu, ma più mi avvicinavo alla casa di Hanako più il timore aumentava. Mi aveva perdonato? Così, per riempire il tempo della camminata, raccontai.




    [39 DF]
    Cosa significa che non puoi fare nulla? Il mio tono di voce, per quanto cercasse di mantenere un briciolo di forza e dignità era pericolosamente vicino alla disperazione. Ero fuori dalla piccola casa di Kurohai, lontano dalle orecchie di chiunque, assieme a Kazuo Hai, vecchio ninja in pensione, un tempo medico fuorilegge della banda di Itai Kizu. La sua esperienza era innegabile, le sue conoscenze quasi sconfinate. Quante volte avevo cercato di portarlo a Kiri? Lui però era inamovibile. Aveva finito i suoi giorni di servizio ed ora, voleva solo morire lì a Kurohai, dopo essere sfuggito dalla legge così a lundo da aver fatto perdere totalmente le sue tracce.
    Ascoltami Itai... se potessi fare qualcosa, l'avrei fatta, l'uomo strinse il bastone tra le dita. Purtroppo ciò che ha colpito i bambini e è... infame, a dir poco. Infame. Era triste ed abbattuto per il suo fallimento. Potevo leggerglielo in viso, ello sguardo abbassato in un atto di vergogna. Purtroppo questo... agente con cui ti hanno infettato, ha un effetto davvero orribile. Indebolisce il collegamento tra il corpo ed il chakra. Non è una malattia del fisico Itai, è una malattia del chakra.
    Ma certo..., dissi quasi a dentri stritti, mettendo le mani sul viso, maledicendomi per la disgrazia che avevo portato sui miei figli. Volevano separarmi da Chomei, volevano indebolire la mia connessione con il demone. Ma non sono riusciti a spezzarla... Tuttavia erano riusciti a ferirla. Chomei era stato prosciugato di quasi tutto il suo chakra ed erano giorni che lo stava recuperando, assorbendolo piano dall'ambiente circostante. Era troppo debole persino per parlare.

    Hai probabilmente ragione Itai... lui sospirò. Avrebbe voluto fare qualcosa per le pronipoti del suo vecchio amico, del vecchio compagno di mille battaglie. Il problema è che una volta che il chakra viene separato dal corpo, per quanto esiguo nella sua forza come per i bambini... Il corpo deperisce. E continuerà a farlo, finché questa malattia non viene debellata. Devi sperare Itai, e pregare. Non c'è arte ninja che possa salvarli.


    A quel punto, Raizen, mandare messaggi è stata la mia ultima preoccupazione. Ho fatto tutto ciò che potevo per loro, ma non è stato abbastanza Dissi, ultimando il racconto. Ayame... Avrei voluto accorgermi prima, avrei dovuto accorgermi prima delle sue intenzioni. Ma ero accecato dal dolore anch'io. Una volta messi in moto quegli eventi, purtroppo, non c'era nulla che avrei potuto fare. Se fossi rimasto a Kiri... forse... Non lo so. Ma ero a Kurohai, ed una volta seppellita quasi tutta la mia famiglia, non ho più pensato a tornare al Villaggio. Non commentai subito ciò che stava succedendo a Kiri, o all'Accademia. Non ero ancora pronto ad affrontare quel discorso. A combattere. Ero tornato per Jukyu, ma Itai Nara, quell'Itai Nara pronto a tutto pur di difendere i suoi principi e ciò in cui credeva, pronto a tutto pur di consentire alla pace di regnare al posto della guerra più atroce... Non c'era. Non era ancora tornato. Forse, non sarebbe tornato mai.

    Il quartiere dei Nara era per me più sconosciuto di quanto il mio cognome potesse lasciar intendere. Non vi avevo mai vissuto durante l'infanzia. Mio padre era stato cacciato da lì quando aveva deciso di sposare mia madre, la figlia di un nukenin originario di Kiri ed in un Uchiha. Uchiha. Quasi dimenticavo di avere anche sangue Uchiha nelle vene. Ero un miscuglio informe di clan diversi senza un reale senso pratico, il figlio rinnegato di due clan che aveva finito per diventare Kage di un altro Villaggio dopo aver abbandonato Konoha, quindici anni fa, nascosto nel doppio fondo di un carro.
    La casa di Hanako era una modesta abitazione in legno su due piani. Un piccolo giardino ben curato di fronte all'ingresso, attraversato da un viottolo di ciottoli.
    Siamo arrivati, dissi, lasciando per un attimo trasparire un'emozione dalla mia voce. La trepidazione era così forte che nemmeno quel velo di pesante apatia che mi oscurava l'animo poteva nasconderla del tutto. Mi avvicinai alla porta, silenziosamente ed attesi quasi dieci secondi prima di riuscire a bussare.

    Hanako.
    La mia sorella maggiore mai conosciuta, cresciuta a Kurohai dal nonno nukenin quando una frangia troppo pura del Clan Uchiha aveva deciso di uccidere la mezzosangue. Per fortuna che nei due anni tra la sua nascita e quella dei due gemelli (Itai e Maku) qualcosa doveva averli calmati. Non avevo mai scoperto cosa. Non avevo mai realmente capito cosa avesse impedito a quella gente di cercare di far male a me ed al mio gemello. Tutte le persone che avrebbero potuto saperlo erano morte, del resto. Come quasi tutti nella mia vita.
    Sentii un lieve fruscio di passi e poi la porta si aprì, rivelando Hanako. Era più bassa di me di dieci centimetri, una donna che aveva superato i trent'anni, di bell'aspetto ma che, a differenza mia, aveva lunghi capelli neri. Ma gli occhi erano gli stessi. Due grandi occhi verdi.
    Ci guardammo per un lungo istante, Lei parve strabuzzare gli occhi, quasi stentasse a riconoscermi. Era fin troppo normale, del resto, che non riuscisse ad associare la mia faccia ad un nome. Ma i segni erano lì e dopo qualche secondo, parve comprendere.
    Itai... Non era una domanda. Era assolutamente certa di aver risconosciuto suo fratello. Sentii il peso della vergogna per la responsabilità che le avevo affibbiato senza chiederle nulla, il peso del senso di colpa per essere sparito e lasciarla sola ad elaborare un lutto che non era solo io. Pesavano come macigni sul mio cuore, eppure, in qualche modo, riuscii a pronunciare qualche parola.
    Ciao Hanako, le dissi semplicemente. Sono tornato... Allora abbassai lo sguardo. Lei non disse nulla, fece un passo verso di me e mi abbraccio. La stretta era salda. Il suo corpo esile si strinse con tutto l'affetto che una sorella poteva trasmettere ad un fratello in quella situazione. Quasi esitante alzai un braccio da sotto il mantello che indossavo e lo passai attorno alle sue spalle. Scusami le sussurrai, sicché solo lei potesse udire quell'unica parola, così breve, ma carica di tutto il dolore che provavo.
    Non devi disse infine, sciogliendo l'abbraccio ed asciugandosi le lacrime dagli occhi. Jukyu mi ha spiegato, Itai. Mi ha raccontato tutto. Ho capito perché sei dovuto andare via. Poi sospirò, rialzò lo sguardo e solo allora parve notare (come se fosse piccolo) l'Hokage dietro il fratello. Ho... Hokage-sama! Fece un inchino frettoloso ed imbarazzato. Entrate, entrambi, vi preparo del tè.

    Del tè non era propriamente ciò che volevo in quel momento, ma immaginavo che se lei non aveva chiamato Jukyu era perché non fosse in casa. Così entrai, togliendo il mantello da viaggio che indossavo. I miei abiti, per quanto non sporchi (del resto, li indossavo da ieri), erano comunque logori. Era chiaro che non stessi prendendomi una gran cura di me. Inoltre, per quanto fosse stato sempre magro, senza mantello si poté notare la perdita di almeno un'altra decina di chilogrammi, il che mi inseriva ufficialmente nella categoria dei sottopeso.
    Hanako parve notarlo, me ne accorsi dal suo sguardo che indugiò sugli abiti troppo cadenti.
    Hanako.... Jukyu... dov'è? Hanako stava mettendo il bollitore sul fuoco. e parve non avere alcuna fretta di velocizzare quell'operazione. Accese la fiamma e si voltò a guardarmi, sedendosi al tavolo, di fronte a me. Non mi piaceva quell'atteggiamento, non c'erano buone notizie. Sta bene, vero?
    Sì Itai, sta bene. Ma è... è arrabbiata con te. Quelle ultime parole le dovettero costare una fatica notevole, ma non mi sorpresero, né mi ferirono particolarmente. Sapevo che Jukyu lo era. Non sarebbe stata mia figlia altrimenti. Aveva un carattere passionale, provava emozioni forti e non aveva ancora l'esperienza per controllarle. Sospirai, passandomi una mano sul viso.
    Anche io sarei arrabbiato con me, poi lei è... iniziai a dire, ma Hanako alzò una mano, interrompendo quelle parole. Il suo viso era triste, una tristezza profonda e sincera.
    Lei non è più la bambina di dieci anni che hai lasciato da me Itai, è cresciuta... Si è sentita... abbandonata da te. Anche quelle cose non mi sorprendevano. Io l'avevo abbandonata, sebbene a ragion veduta. Un uomo vivo a malapena non poteva occuparsi di una bambina in lutto. Portarla da Hanako era stata la soluzione migliore per Jukyu, anche se lei, sicuramente, non la vedeva in quel modo. Non è qui, Itai, è tornata a Kiri. A casa sua. Dopo che ha compiuto tredici anni.

    Quindi non era più lì. Aveva deciso di prendere in mano la sua vita a soli tredici anni, la stessa età che avevo fissato come età minima per essere una Kunoichi a tutti gli effetti, come lei desiderava ardentemente. Quel lungo viaggio verso Konoha era stato inutile. Avrei dovuto camminare fino a Kiri. Il mio Villaggio. La mia casa dalla quale fuggivo. Un posto che, stando alle poche informazioni datemi da Raizen, non era lo stesso che avevo lasciato.
    Dovrò andare a Kiri allora dissi semplicemente. Il bollitore iniziò a fischiare ed Hanko si alzò, preparado un grosso infusore che mise nella teiera dopo avervi versato l'acqua. Parve indecisa sul da farsi per qualche istante, poi scosse il capo.
    Non serve tenertelo nascosto.... Aspettami... Così uscì dalla stanza, lasciandomi solo con Raizen, ma non feci in tempo a formulare una frase che lei rientrò, stringendo tra le mani un pezzo di carta. Me lo porse, ed io lo lessi velocemente. Era di Jukyu. Non aveva più la scrittura larga ed infantile che ricordavo.


    Torno a Kiri. Questa non è la mia casa. Grazie per esserti presa cura di me.
    Se mai mio padre dovesse tornare, digli che non ho più bisogno di lui. So già che gli dirai dove sono andata, non importa.

    Jukyu


    Fissai quelle poche righe scritte dalla mano di mia figlia con sgomento. Non ho più bisogno di lui. Strinsi quelle parole tra le dita, dimenticando del Tè. Mi alzai.
    Devo andare Hanako, scusami dissi solo, voltandomi per uscire. Lei non fece nulla per fermarmi ma fece cenno all'Hokage di attendere un attimo.
    Hokage-sama... so di cheiderle molto, ma ad ora, Itai è in un momento di estrema fragilità e sua figlia non vuole più saperne di lui. Ora ha perso tutto, ed una sorella che non ha conosciuto per vent'anni non può fare un granché abbassò lo sguardo, e feci un inchino, più profondo. Gli stia vicino. Lei che può. Lui... per qualche ragione... Forse perché siete entrambi Jinchuuriki...So che con lei parlerà, in qualche modo.


    Raizen mi avrebbe trovato immobile, fermo al ciglio della strada, a fissare un punto lontano in cielo. Mi sentivo svuotato di quel briciolo di emozione che mi rimaneva dentro. Ero totalmente annientato. Avevo avuto tre figli. Due erano morti, portati via da un male che io stesso avevo trasmesso loro. La terza, che sapevo essere furiosa con me, aveva detto di non avere più bisogno di me. Sapevo bene cosa c'era dietro quelle parole. Un'immenso disprezza, la ferrea volontà di non avere più nulla a che fare con lui. Era molto peggio rispetto a ciò a cui mio ero preparato. Avevo immaginato silenzi, rabbia, ma un lento riavvicinamento. Qualcosa che potevo gestire.
    Ma quello... era troppo.
    Semplicemente troppo.
    Ehi Raizen chiesi, senza voltarmi a guardarlo. Conosci un posto tranquillo dove passare la notte?


     
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    Jukyu


    IV




    Non avrebbe aggiunto niente quando Itai puntualizzò che non c’erano soluzioni a quella malattia, era evidente che in tal proposito non c’erano strade percorribili per l’ex mizukage, ne allora ne ora.
    Il suo dolore era insormontabile e gli precludeva qualsiasi strada differente da quelle che aveva valutato, giusto o meno che fosse.
    Giunti sulla soglia dell’abitazione Raizen si spostò lateralmente, cedendo il passo e permettendo ad Itai di entrare e presentarsi, senza esigere il benchè minimo saluto da parte di Hanako, ma rispondendo con garbo quando l’emozione gli concesse di vederlo dietro a Itai.
    Tese la mano.

    Piacere mio Hanako, non preoccuparti.

    Avrebbe quindi annuito alla proposta, seguendo i due all’interno dei duri problemi che quella famiglia stava affrontando.
    Era diviso, era certo di essere uno dei migliori amici di Itai, ma cosa poteva effettivamente fare più della sua stessa sorella?
    Cercare di empatizzare gli sembrava quasi una violazione, ma dopotutto, se tutti avessero agito a quel modo, restando sull’uscio, come sarebbe stato possibile sfruttare l’umana capacità di unirsi nelle difficoltà?
    Rimase in silenzio, ascoltando e cercando di capire, notando che insieme a quel the non era giunto neanche un biscotto.
    Piegò la bocca in segno di preoccupazione, era evidente che la calda bevanda fosse poco più di un modo per diluire quel momento di cui entrambi portavano il peso e di cui mostravano lo strazio mentre cercavano di nasconderlo.

    Non mi stai chiedendo niente Hanako, stai tranquilla.
    La prossima volta, se possibile, chiamami ancora prima.


    Si sarebbe affiancato ad Itai, un solo momento, prima di poggiargli una mano sulla spalla.

    Prima prendiamo un po' d’aria.

    Una folata di vento, un turbinio, una marea di colori e l’orizzonte cambiò, ampio, ampissimo davanti a loro, allargando le prospettive su un futuro che per Itai era sempre più piccolo.
    Erano in cima alla montagna dei kage, e qualcuno avrebbe potuto dire che quel luogo piaceva fin troppo a Raizen, ma lo aiutava a pulire la mente, il vento soffiava sempre e la voce della foresta intorpidiva qualsiasi male.
    Avrebbe lasciato passare qualche minuto osservando l’ultimo spicchio di sole che trafiggeva i due con le lame di luce che filtravano dagli alberi più alti.

    Il fondo Itai…

    Disse mentre ancora cercava le parole.

    ...è la peggior cosa che si possa mai sperimentare, e sorprende sempre, ogni nuovo male sembra che non potrà portarci più in basso, eppure ogni volta il destino si logora le mani per scavare ancora più in basso.
    Non so neanche immaginare quanto tu sia sceso affondo, ma privarti di Yogan e Chomei… temo che l’unica luce a portata dei tuoi occhi sia grande come la capocchia di uno spillo.
    Eppure qualcosa resta.
    A me restò un villaggio e un amico, che capendo quello che succedeva riuscì a dire che pensare al fallimento rende più difficile la risalita.


    Gli diede il tempo per ricordarsi che parlava esattamente di lui, quando lo aveva affiancato nel suo letto di ospedale dopo l’attacco di Cantha.

    Solo alla morte non si può rimediare, Itai, e anche su quella credo che qualcuno possa dissentire.
    Ciò che hai perso è irrecuperabile… ma le parole più dure che io posso dirti sono anche le più vere… se sono irrecuperabili, ha ancora senso ferirti per esse?
    Non fraintendermi, il dolore non si può combattere, sarà un silenzioso compagno per tanto tempo ma ti aiuterà ad espiare quelle che senti come colpe, ma il senso di colpa è un verme che avvelena la mente.
    E non ti permette di vedere che non hai perso tutto.


    A quel punto serviva un altra pausa perché venisse prima in mente ad Itai dove Raizen volesse andare a parare.

    Jukyu potrà sembrarti grande, il tempo che vi ha separato potrà farti sembrare che lontano da te la sua crescita sia stata repentina e incontrollabile.
    Ma non è così.
    Jukyu è quasi una bambina, e merita di avere accanto la figura paterna che hai mancato di essere per lei, e quelle non sono le parole di qualcuno che ha lasciato il padre alle spalle, ma di qualcuno che aspetta il giusto segnale.
    Potrà rifiutarti, ma solo quando avrai il coraggio di metterti a nudo e spiegargli i tuoi errori e le tue ragioni, dopo aver compreso cosa hai passato tu, dopo aver capito che non sei un dio, ma un essere umano ferito tanto quanto lei e senza il vantaggio che ha lei di poter dare la colpa a qualcuno.
    E dovrai avere il coraggio di affrontare questa eventualità.
    Credo che tu non sia scappato dalle tue responsabilità, bensì dalla possibilità di scaricare su Jukyu tutto ciò che fino a quel momento ti eri messo sulle spalle.
    Devi iniziare a scalare, sarà lungo e difficile, ma magari ogni tanto posso darti una pedata di incoraggiamento.


    Non avrebbe sorriso ma la sua espressione amichevole avrebbe fatto il possibile per sostituire la felicità di quell’espressione con la speranza di un volto sicuro delle sue parole.
    Questa volta la mano sulla spalla di Itai avrebbe avuto tutto un altro peso.
    Non fu il corpo di Itai a venir invaso da una colossale pressione, bensì la sua mente, Raizen spingeva la propria coscienza con così tanta forza dentro quella di Itai che tentare di resistergli l’avrebbe disorientato, creando lo spiraglio necessario a sfondare quella porta, uno dei due non aveva smesso un singolo istante di allenare quella capacità, mentre l’altro si era volontariamente isolato e non era certo preparato a quella spallata.
    L’orizzonte si allontanò ed entrambi si calarono nel mondo interiore di Itai, ora condiviso con Raizen e con la volpe, non più minacciosa se non per le sue dimensioni e per apparire alle spalle della Montagna come l’alleata quale era per lui.

    Direi che possiamo iniziare con l’invitare Chomei al party.



    Ti lascio spazio per la descrizione del mondo interiore
     
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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Where everything ended


    A last fly



    Il post tratta e descrive temi delicati come la depressione ed il suicidio, che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni.



    Non ho più bisogno di lui.
    Tutto ciò che mi rimaneva era Jukyu. Tutto ciò che potevo fare ancora nella mia vita, era per lei. Solo per lei. Ma lei aveva deciso di rifuggire da me. Quei lunghi mesi di separazione non avevano placato la rabbia ma l'avevano inasprita al punto da rasentare l'odio. Lo comprendevo da quelle poche, semplici parole che aveva scritto con quella fredda decisione su quella carta che tenevo tra le dita.
    Mi accorsi che, sebbene la mia vista fosse perfettamente funzionante, una nera nebbia stringeva ai lati del mio campo visivo, riducendo tutto ciò che potevo vedere ad un puntino bianco. Era lì, lontano, potevo vedere la via davanti a me, ma era remota, irraggiungibile ed io non avevo più forze.
    Mi accorsi di essere cieco. Cieco di fronte alla speranza, incapace di comprendere che forse qualcosa che potevo fare c'era, che la vita sarebbe continuata, che avrei potuto riappacificarmi con Jukyu. Jukyu, la mia bambina, ancora troppo inesperta per stare al mondo totalmente sola, in balia di chi avrebbe potuto manipolarla, sfruttarla, ferirla. Ma non avevo forze, non avevo forze per tornare a Kiri, affrontare i Kiriani che avevo abbandonato, per affrontare lei ora che sapevo quanto mi odiasse.
    No, era più facile fare altro. Era più facile dormire, lasciarsi andare nel caldo abbraccio eterno di una morte rapida, dimenticare tutti quei problemi che mi affliggevano e spedirli nell'oblio garantitomi della morte, che tutto distruggeva, azzerava e cancellava, lasciando ai vivi il problema di affrontare le conseguenze dei gesti di chi aveva deciso di abbandonare il mondo.
    Sì, una strada semplice. Semplice da raggiungere, semplice da percorrere. Lo aveva fatto Ayame, con fredda decisione dettata dalla disperazione. Lei, sempre così buona, gentile, che non avrebbe fatto male ad una mosca aveva trovato in sé la determinazione assassina di compiere quel gesto estremo. Il suicidio era un atto violento. Non era semplicemente porre fine alla vite di sé stessi, dove l'ostacolo principale era l'ignoto oltre la morte, la spinta contraria all'atto determinata dall'istinto di autoconservazione. Il suicidio era omicidio di sé stessi, era l'atto violento supremo, il freddo delitto che richiedeva premeditazione, sangue freddo e la consapevolezza che peggio di quello non si sarebbe mai stati in grado di fare. Ayame non aveva mai ucciso nessuno in vita sua, ma io avevo ucciso molte persone. Garyuuka aveva preso un numero non noto di vite con il suo filo micidiale, così come le mie stesse mani. Io ero già un assassino. Io sapevo già uccidere. Sarebbe stato solo un altro, ennesimo omicidio.
    No, non era vero. Non ero un assassino. Itai Nara probabilmente non aveva mai ucciso in maniera premeditata, ma solo in una lotta, dove l'altro vuole uccidere te con feroce convinzione. Quello sarebbe stato diverso, persino per me. Però avevo ucciso, conoscevo il peso della responsabilità di porre fine ad un'altra vita umana, sarebbe stato semplice. Mi sarebbe bastato poco, ad Ayame era bastato un kunai e stare zitta. Nel freddo buio di una stanza, di notte, nessuno avrebbe pensato di salvarmi.
    Nessuno poteva salvarmi.
    Nessuno.

    La voce di Raizen giunse remota. La nebbia attorno ai miei occhi si diradò per farmi rendere conto che Raizen ci aveva teletrasportati lontani, sulla sommità del monte dei Kage. Sopra i capelli di quale Kage eravamo? Non importava veramente saperlo. Era una futile curiosità che non avrebbe modificato i miei pensieri.
    Il fondo. Una memoria riaffiorò dalla mente. Il ricordo di me che mi catapultavo a Konoha, raggiungendo un Raizen ferito, privato di Kurama da un nemico estremamente potente, distrutto nel fisico e nella mente. All'epoca gli avevo detto qualcosa, ma non ricordavo cosa. Che fossero quelle le parole che avevo pronunciato per cercare di aiutarlo?
    Sì, era vero, continuare a pensare ai propri fallimenti sarebbe stata una zavorra per chiunque. Il problema che Raizen non vedeva era che la sua empatia non arrivava a comprendere la vastità del nero che mi si era aperto dentro. Fragilmente avevo cercato di ricucire i pazzi infranti della mia anima usando per colla la speranza di tornare da mia figlia, ma quando quella stessa speranza era stata infranta la voragine che avevo dentro si era allargata al punto da essere insostenibile.
    Lui continuò a parlare e le parole giunsero, ma non giunsero allo stesso tempo. L'ottundimento mentale che provavo mi impediva di comprenderle a pieno, di saggiare fino in fondo le giuste implicazioni delle stesse e lo scenario di speranza che mi prospettava. Lui aveva ragione, qualcosa di salvabile nella mia vita c'era. Jukyu poteva odiarmi, ma nonostante tutto sarebbe rimasta mia figlia, ed io suo padre. Avrei potuto ricostruire quel rapporto, tornare da lei, ed essere la famiglia che eravamo realmente. Sarebbe stato stupendo se fossi riuscito a concentrarmi anche solo cinque secondi su quelle parole, ad interiorizzarle, ma farle mie e tirarne fuori un pensiero coerente, ma tutto ciò che purtroppo Raizen ottenere fu un duro silenzio apatico. Non avevo nemmeno più la forza per piangere. No, le lacrime non servivano. La disperazione era finita. In me si era svegliato il pensiero sopito che aveva accompagnato la morte di Ayame, la fredda e nera compagna con la quale combattevo da anni e che marciava silenziosa al mio fianco avvolta in un manto nero, armata di falce, sempre puntata alla mia gola. Uno shinigami mi attendeva ed era la sola determinazione che provavo.
    Sarebbe accaduto.
    Sarebbe accaduto perché nulla mi avrebbe potuto fermare. Nulla avrebbe potuto salvarmi.

    Parte della mia coscienza fu sparata da Raizen nella dimensione condivisa di Chomei, senza preavviso. Erano anni che non scendevo nella parte della mia mente attraverso cui comunicavo con il Bijuu, ed era diversa da quella che ricordavo. Il cielo era sparito, ma non vi era nemmeno terra. Chomei non era tornato ad essere Kaku, fortunatamente, tuttavia era sbagliato. Forse persino Kurama avrebbe provato disagio in quel momento, rendendosi conto che c'era qualcosa che non andava in me. Era tutto nero, non c'era luce. Non si poteva vedere nulla, nemmeno le proprie mani e Raizen mi avrebbe perduto di vista, salvo poi rivedermi, per un istante, quando una luce abbagliante contemporaneo ad un urlo atroce avrebbe illuminato la scena per una frazione di secondo. Un altro urlo, altra luce. Erano urla femminili, infantili. Poi, un tuono, così forte, da far tremare i denti dei presenti. Un nuovo lampo, un nuovo tuono, altre urla. Urla, luce, tuoni. E poi, pioggia. Pioggia torrenziale, gelata, ostile.
    Chomei non era da alcuna parte. O meglio, era , da qualche parte, solo che Raizen non poteva vederlo, né comprendere cosa stesse accadendo. Altra luce. Se Raizen avesse visto attorno si sarebbe accorto che ai limiti di quella scena, ovunque, sia sotto, che sopra, che tutto attorno c'erano fitte nubi spesse, una coltre possente, che bloccava la visuale di qualsiasi cosa ci fosse attorno. Ed erano vicine. Non c'era traccia della vastità del mondo interiore di Chomei, un cielo infinito e privo di nubi, con un sole caldo ad illuminare tutto e forti venti che ululavano senza sosta. Una sfera, un centinaio di metri di diametro, e lì dentro, solo noi due.
    Parlai allora, per la prima volta, cercando di sovrastare col tono della voce i tuoni che si stavano facendo sempre più presenti.
    Non c'è più Chomei, Raizen. Si nasconde, per paura di ciò che provo. Per paura di tornare ad essere Kaku.Quella era una sonora sciocchezza, ma non potevo comprenderlo nel mio stato alterato. Erano state vendetta ed odio a trasformare Chomei in Kaku, ma io non odiavo nessuno, se non me stesso e non desideravo vendetta. Volevo solo pace, la fine di quel dolore così profondo e vasto da essere indescrivibile, come trovarsi in un cratere così da grande da confonderlo per una larga vallata.
    Poi ancora tuoni. Lampi. Urla. E pioggia.
    Pioggia senza fine.

    Nessuno dei due perse consapevolezza all'esterno. La vista mi si schiarì abbastanza da farmi rendere conto di dove mi trovassi, farmi rendere conto che ero vicino ad un precipizio fisico, oltre che figurativo. Non pronunciai una parola. Chissà, forse lui si era distratto nel tentativo di entrare nel mio mondo interno. Aveva solo poggiato una mano sulla mia spalla. Niente di più che quello.
    Povero Raizen. Pensai che forse si sarebbe potuto sentire in colpa per ciò che sarebbe successo. Avrei voluto dirgli che quella non sarebbe stata colpa sua, che la decisione era presa e che sarebbe andata in quel modo in ogni scenario possibile. Sarebbe cambiato solo il mondo in cui avrei deciso di porre fine a quell'inutile, tormentata esistenza.
    Richiamai tutto il chakra che potei, quasi fino a farmi dolere le gambe, bruciando i muscoli fino a bloccarli. Che importanza aveva ormai, il dolore? Quello era l'atto finale. Il posto dove tutto finiva.
    Preservare il mio corpo dagli abusi del mio chakra non aveva importanza alcuna, e persino senza Chomei scattai, un unico balzo, quanto bastava per librarmi nel vuoto e poi, soggetto all'ineluttabile gravità, tirato verso il basso, diretto verso una caduta da cui nessuno poteva sopravvivere [Statistiche salto]Velocità: 775 + Medioalto + Sovraimpasto + OverCAP->1000. La connessione con il mondo interno si sarebbe interrotta all'improvviso e forse quell'attimo di disorientamento sarebbe stato abbastanza.
    Ed eccola lì, la fine della storia di Itai Nara. Nel posto in cui tutto era iniziato. Una fine ingloriosa, forse non all'altezza delle vette della propria vita, ma certamente bassa ed infima quanto i peggiori dei suoi fallimenti.

    Kiete yuku
    no mo uragare no
    hotoke kana

    Prati morenti
    Il sottobosco gela
    è la mia ora

    (Gokei)







    Edited by -Max - 6/10/2021, 20:37
     
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    L'ultimo Passo


    IV




    Conosceva quei silenzi intorpiditi, quell’immobilità lasciva che avveniva quando mente e corpo venivano scollegati da qualcosa di insormontabile, era un po' come svenire ad occhi aperti, ma svenire non era un agio che qualcuno con l’esperienza di un mizukage poteva permettersi, così Itai restò in piedi, sveglio e svenuto al contempo.
    La spallata psichica servì, e quell’invasione da parte di Raizen riuscì a trasportare entrambi nel mondo interiore di Itai, l’interno di una persona sull’orlo della fine.
    L’oscurità era densa ed impenetrabile e la pioggia batteva quasi come fosse grandine, gocce grandi come monete gelate che sembravano provenire direttamente dall’ultimo girone dell’inferno.
    Raizen inspirò, non c’era niente che lo sorprendesse lì dentro, ma neanche che potesse farlo sperare, ogni barlume di luce era solo un graffio di tristi ricordi che rigavano quella tempesta come crepe.

    No Itai.
    Chomei è sempre qui.
    Ma sei tu che lo chiudi dietro le tue paure, che lo costringi dietro questo mare di tristezza.
    Ne vuoi un’altra dose?


    Allinearsi con quel metodo di comunicazione non era mai difficile, quando si conoscevano le meccaniche di quei luoghi diventava solo una questione di volontà e di empatia.
    Tese la mano di fronte a se e dalle sue dita, come fulmini, eruppe la sua storia un bambino solo, un ragazzo solo, un uomo solo che esclusivamente grazie alla sua resistenza era riuscito a farsi voler bene da una stretta cerchia di persone e di concittadini.
    Un percorso lunghissimo, costellato di fallimenti giganteschi, di pesi insostenibili, ma tra tutte quelle difficoltà ad una venne data maggior energia, non per volontà di Raizen, ma perché la possedeva: Itai.
    La tempesta infuriava e ora c’erano due punti su cui i fulmini potevano scatenarsi e Raize non avrebbe ceduto, la vita privata di Itai era quasi sconosciuta a Raizen, ma aveva ben stampata nella mente la piccola Jukyu che si allenava con un kunai nell’ufficio del padre e gli diede la potenza che quel ricordo meritava, perché era attorno a quello scricciolo che tutto ruotava.
    Sapeva che nella mente di Itai avrebbe trovato un appiglio da nutrire , su cui farlo concentrare e riflettere.
    Ma così come era iniziato finì, la coscienza di Itai gli sfuggì insieme al suo corpo.

    Era ora.

    Credeva che Itai sarebbe arrivato a compiere quel gesto?
    No.
    Ne era sorpreso?
    No.
    Se avesse dovuto raccontarlo a qualcuno avrebbe detto che la vita era ciclica, e purtroppo non era la prima volta che i volti degli Hokage assistevano ad una scena simile, forse quella volta era diverso, forse nell'arrendevolezza di Itai c'era il segno di volersi affidare agli scossoni di Raizen, da lui molto difficilmente ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa di differente dopotutto.
    Avrebbe quindi fatto a sua volta un passo verso il baratro, ma non avrebbe seguito Itai, aveva un vantaggio di qualche metro e non avrebbe rischiato, malgrado i molteplici modi in cui poteva agire scelse il più rapido ed in un certo senso distintivo.
    Avrebbe incrociato due rapidi sigilli e praticamente sotto il muso di Itai, sferzato dalla brezza della soluzione più semplice sarebbe comparsa un aquila colossale, in realtà un clone che attraverso l’abilità di Raizen comparve già trasfigurato ed in grado di volare perfettamente.
    D’improvviso la gravità si fece risentire nelle sue spalle e nelle viscere concludendo quella mortale picchiata con un arresto così improvviso da togliere il fiato, come nella fine di un sogno.
    Esattamente in quel momento Raizen avrebbe parlato.

    Semplice, vero, Itai?
    Un salto e tutto svanisce.
    E così, l’ultimo errore è compiuto.


    Malgrado la natura di pennuto era possibile vederlo scuotere la testa.

    Hai fatto un primo passo, ma non ti lascerò sprecare la tua vita e per quanto dirlo sia scontato e smielato in questo momento solo dalle difficoltà nascono le cose più belle, come può esserlo ciò che verrà tra di voi... e giuro su questo villaggio che non permetterò a Jukyuu di perdere anche suo padre
    Se non altro hai deciso di muoverti, anche se dalla parte sbagliata.


    L’avrebbe lasciato cadere a terra malamente, sarebbe stato il suo unico modo per riprenderlo di quel gesto così stupido.
    Ma come tale avrebbe continuato a trattarlo, punzecchiandolo in maniera gentile fino a fargli capire che poteva reagire, che la sua non era apatia.

    Tu stai scappando Itai, e non sono dal dolore, ma anche dalle tue azioni e da ciò a cui queste potrebbero portarti.
    Restare in bilico ti sta uccidendo, che ti piaccia o meno andrai avanti.
    Consigliarti non è stato utile, quindi adesso ti spingerò.


    L’ultima frase arrivò alle sue spalle, Raizen era atterrato così pesantemente da crepare la nuda terra sotto i suoi piedi, e mentre avanzava venne ricoperto dal manto della volpe, ma questa volta sarebbe stato più difficile sottrarsi a quella connessione.
    Anche perché, per quanto fosse minaccioso il Raizen originale fu il clone a toccarlo riportandolo nel suo subconscio prima di lasciare il posto alle code dell’Hokage.
    Furono nuovamente dentro la tempesta, forse ora un po' diversa, forse leggermente più rabbiosa.

    Ho imparato sputando sangue che l’unica ancora di salvezza quando si è a pezzi è tutto ciò che resta di integro attorno a noi.
    Accetta. Il. Tuo. RUOLO!
    Di vedovo… ma soprattutto di padre.


    La voce di Raizen poteva risuonare più forte di quei tuoni, più luminosa di quei lampi, ma non gli avrebbe sovrastati, mai, non avrebbe semplificato la vita ad Itai concedendogli di farsi cullare dalla sua voce possente verso il passo successivo, la sua armatura doveva crollare sotto quei fulmini, solo così li avrebbe accettati, solo arrendendosi realmente a quell’evento sarebbe riuscito a passare oltre, per questo le ultime parole furono nuovamente gentili, lente, dolci nel tono ma amare come il fiele al palato, tanto quanto lo era la migliore delle medicine.

    Portaci più in fondo Kurama, volevo risolverla nel suo mondo, ma se non si aprirà a se stesso vuol dire che proprio lui è l’ostacolo più grande, allora condivideremo quello di voi demoni, e vedrà con i suoi occhi quanto sono grandi le sue paure.
    Quanto le sta ingrassando voltandogli le spalle, e quante catene gli stiano mettendo addosso.


    E lo erano.
    Grandi e corazzate, con un maestoso elmo a nasconderne gli occhi ma al contempo a definirne l’identità.
    Solo una fila di spesse sbarre dividevano gli occhi di Itai da quelli di Chomei, quelle del suo elmo.


    Edited by F e n i x - 10/10/2021, 19:22
     
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