Lo spadaccino e la kunoichi dalle iridi ametistaWest Gate e dintorni

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    La Via del Guaritore


    Intro




    Quando pensi che il passato non possa più tornare.
    Quando pensi che i ricordi non possano più ferirti.
    La storia non ammette tregua.
    Il flusso degli eventi è destinato a ripetersi.



    Non saprei dire se fu il fato a guidarmi o una semplice coincidenza. Mi ero ritrovata nelle vicinanze del cancello occidentale, immersa nei miei pensieri.
    Ko mi volava accanto in silenzio, sfruttando il leggero vento che si era alzato da qualche minuto.
    Qualcuno mi oltrepassò di corsa, sembrava avere una certa fretta. Lo seguii con lo sguardo, per poi ridirigerlo in direzione dell'ingresso.
    Feci cenno al cucciolo di seguirmi, mentre acceleravo l'andatura.
    Oltre il cancello, a poca distanza dalla base delle mura, un gruppo di guardie si trovava accanto al corpo di un giovane. Era disteso al suolo, la schiena in contatto con il terreno.
    Che è successo? Domandai loro, avvicinandomi al corpo esanime.
    Uno degli shinobi si voltò nella mia direzione, aveva un'espressione interrogativa sul volto.
    Chi siete? Non è uno spettacolo per voi. Stiamo aspettando la squadra medica, dovrebbe essere qui a momenti. Osservò in tono secco.
    Non me la presi, il tempo trascorso lontano dal villaggio aveva cancellato il mio ricordo. Non potevo pretendere che si ricordasse di me.
    Shinodari Kazekumo... Jaku? Non sembrava sortire alcun effetto Ninja medico di grado chunin, se mi lasciate passare posso controllare le sue condizioni. Aggiunsi, fronteggiando lo sguardo dell'altro.
    Avete un documento che attesti la vostra... Si interruppe. Uno degli altri colleghi gli stava dicendo qualcosa. Sebbene il timbro di voce fosse volutamente basso, non era un ostacolo per chi, come me, aveva un udito sviluppato.
    Shinodari... bla bla... ex... bla bla... ex... bla bla... Decisamente troppi ex, sospirai E' arrivata... bla bla... Il drago... bla bla...
    Ragazza ninja, non è che muore prima te lo lascino curare? Osservò Ko, fissando il giovane.
    In effetti non è che avesse tutti i torti.
    Se non è un problema, io mi occuperei di lui, mentre voi continuate a scambiarvi informazioni sul mio conto. esordii assumendo un'aria angelica, facendomi strada per raggiungere il mio paziente.
    Mi sedetti sui talloni per osservarlo meglio. Chiunque fosse stato il responsabile, non c'era andato leggero. Ad una prima occhiata, sembrava che la maggior parte delle ferite presenti avessero smesso di sanguinare.
    Mi concentrai nel fermare il sanguinamento di quei brutti tagli attorno ai polsi e alle caviglie, lasciando fluire il mio chakra curativo per rimarginare le parti lese.


    Successivamente mi focalizzai sul flusso di chakra e sull'entità dei danni inferti al corpo. Era privo di conoscenza, probabilmente un sonno indotto, da quanto potevo dedurre in base alle mie capacità di analisi. Abrasioni, ematomi, probabili ossa incrinate, ferite di varia profondità e quella scritta, che marchiava la parte corpo dal petto fino a poco sopra l'ombelico.
    Oto no Akuta... Mi sforzai di non pensarci, dovevo mantenere il sangue freddo.
    Fra quanto arriverà la squadra medica? Domandai, senza voltarmi nella loro direzione.
    Supponiamo a breve. Potevo attendere e lavorare in team con gli altri guaritori, probabilmente sarebbe stata la decisione più sensata. Non era in pericolo di vita, ma uno spostamento senza le dovute cautele poteva far precipitare il quadro clinico. D'altra parte quella frase incisa sulle sue carni, non doveva essere motivo di spettacolo. Andava rimosso da quella posizione. Quello che potevo fare per lui, ora, era di togliere il marchio prima che si risvegliasse, prima che quelle parole lo infamassero più del necessario. Purtroppo le notizie si sarebbero sparse fin troppo rapidamente. E io non potevo sapere se lui fosse consapevole di quella scritta. Ai drammi psicologici ci avrei pensato in un secondo momento.
    Non intendo aspettare la squadra medica in questo posto di passaggio. Esordii con un tono di voce, che non ammetteva repliche. Mi servono dei volontari, che mi aiutino a trasportare il ferito in un luogo più riparato. Aggiunsi, mentre riversavo il chakra curativo nelle zone più critiche, assicurando di non causare danni durante lo trasporto.
    Le guardie non sembravano entusiaste all'idea. Non potevo dar loro torto.
    Me ne assumo tutta la responsabilità. Mi alzai in piedi e mi girai, fronteggiandoli. Non intendo lasciarlo qui un istante di più.
    Ma non... Ancora una volta nuovi bisbigli attirarono la mia attenzione.
    Lei è l'allieva di “quella” persona. Quale persona? Che stai dicendo? Come quale...Bla Bla...Non ti dice niente? Non può essere... Un improvviso pallore comparve sul volto dello shinobi reticente, lo vidi indietreggiare, un riflesso condizionato più che vero timore, ma ebbe il sangue freddo di recuperare lucidità nel giro di pochi istanti.
    La mia sensei era solo un nome, una storia che si stava perdendo nel tempo. Un giorno sarebbe stata dimenticata, ma, per chi aveva vissuto il periodo di transizione, non era così facile dimenticare la sua eredità.

    Mi feci aiutare a trasportarlo nella loro guardiola, stando attenta che nessuno facesse movimenti bruschi, mettendo a rischio le cure effettuate per stabilizzarlo. Per il momento l'ospedale non era un'opzione.
    Lo feci adagiare sulla branda e con la massima cautela gli sfilammo le scarpe, che poggiamo sul pavimento ai suoi piedi; successivamente la parte superiore dei vestiti irrimediabilmente compromessi, lasciandolo a torso nudo. L'equipaggiamento lo adagiammo in un angolo. Osservai con un certo disappunto il resto dell'abbigliamento indossato, che violava ogni possibile norma igienica. Le scelte possibili erano solo due, ma rimandai la questione all'arrivo della squadra medica, sperando che avessero un camice sterile da far indossare al giovane.
    Sgombrai il tavolo, poggiandoci sopra la mia attrezzatura. Aprii il contenitore e presi un flacone di disinfettante per sterilizzarmi le mani. Per sicurezza. Poi rovistai alla ricerca del materiale che mi sarebbe servito.
    Glissai sul rispondere al motivo del perché andassi in giro con un kit di pronto soccorso nello zaino. Non avevo esattamente l'aspetto di un medico.
    In altre circostanze si sarebbe trattato di pura casualità. Quel giorno avevo scelto scientemente di portarlo, essendo intenzionata a fare un giro nelle zone più problematiche.

    Le guardie, che mi avevano assistito, tornarono al loro posto, con l'avviso di farmi raggiungere dalla team medico.
    Ko si era acciambellato sopra una delle sedie, il muso reclinato, gli occhi socchiusi.
    Nell'attesa di procedere alla rimozione delle cicatrici, mi riconcentrai sulla cura. Agii sulle zone più critiche, cercando di risanare dove potevo arrivare con le mie sole forze, per evitare che collassasse durante l'operazione. Era stato fortunato, si era spinto al limite e aveva rischiato di non tornare più indietro.
    Non potevo fare l'impossibile, una volta risvegliato, avrebbe dovuto restare a riposo per un po'. Una breve degenza in ospedale poteva essere una soluzione, per rimettersi rapidamente in sesto, sebbene non fossi sicura sul consigliare una tale ipotesi. Ancora dovevo comprendere appieno le dinamiche interne ed esterne della struttura.

    L'incontro con il team medico mi chiarì alcuni dubbi. Il giovane si chiamava Tasaki Moyo, un chunin, otese di adozione, che aveva sfidato a duello il Mizukage.
    Déjà vu... ma questa volta potevo intervenire, questa volta non sarebbe morto nessuno.
    Avevano prestato le prime cure allo shinobi, ma era stato imposto loro di non risvegliarlo. Ed erano stati testimoni impotenti dello sfregio sul corpo esanime dello sconfitto.
    Almeno gli era stata risparmiata quella umiliazione.
    Prima o poi avrebbe saputo: non oggi. Al suo risveglio non avrebbe avrebbe trovato alcuna cicatrice.
    D'accordo non era il luogo ideale, ma il gruppo di supporto aveva l'equipaggiamento necessario per renderlo il più sterile possibile. Dovendo agire in ambienti esterni all'ospedale, dovevano essere abituati a scenari ben peggiori.
    Dopo aver controllato i parametri vitali ed esserci sincerati che il paziente non fosse cosciente, iniziammo l'operazione.
    Procedetti con l'incisione della prima cicatrice. I tessuti sottostanti erano lesi, il taglio era sceso in profondità. Mentre i miei colleghi tenevano sotto controllo la lacerazione utilizzando le arti mediche, iniziai a ricucire gli strati di tessuto con il filo di chakra, partendo da quelli più in profondità risalendo fino alla superficie. Se funzionava per un arto amputato, sarebbe servito allo scopo anche in questo caso. Ogni volta stavo attenta a far combaciare le estremità, che venivano rimarginate con il chakra curativo. Un lavoro lento, scrupoloso, senza margini di errore.
    Esegui la procedura per le restanti scritte.
    Non mi resi conto del tempo che passava.
    L'operazione terminò senza complicazioni. Lavorare in team aveva i suoi vantaggi.
    Mi sentivo esausta e non faticavo a credere che lo fossero anche i miei colleghi.
    Un ultimo sforzo per sistemare tutto e poi ci saremmo potuti concedere qualche attimo di riposo.
    Riempii un bollitore e misi a scaldare l'acqua su un fornelletto, che si trovava su un ripiano del locale. Recuperai dei bicchieri, non mi aspettavo di trovare un servizio di tazze in fine porcellana. Servii il tè a tutto il gruppo: avevamo bisogno di bere qualcosa di caldo.
    Ancora una volta glissai sul perché mi portassi dietro una scatolina con la mia fragranza preferita.
    In realtà la risposta sarebbe stata fin troppo banale: adoravo quell'aroma.
    Sorseggiando la bevanda, compilai la mia parte di rapporto, che consegnai loro.

    Li salutai con un inchino formale. Sarei rimasta io a vegliare sul giovane.
    Una volta che avesse ripreso conoscenza, avrei valutato il trasferimento in ospedale.
    Avvicinai la sedia accanto alla branda. Ko dormiva placidamente.
    Tasaki aveva indosso il camice ospedaliero ed un lenzuolo lo copriva fino al petto.
    Il respiro era regolare, i parametri vitali nella norma. Il riposa l'avrebbe aiutato a riprendersi.
    Il riposo... una parola così allettante.
    Chiusi gli occhi.
    Solo per un istante... o così credetti...






    Off Topic
    Essendo una free, sono andata molto a sentimento.
    Ho sfruttato l'aiuto del team medico, che era stato chiamato per supervisionare lo scontro tra Tasaki e il Mizukage. Ho supposto che fossero preoccupati per le condizioni di salute di Tasaki. Ho semplicemente ritardato il loro arrivo al Gate e ho considerato che il Mizukage non fosse più presente alle mura.
    Tasaki non ha recuperato tutto, ma quello consentito dalle abilità mediche. La scritta è stata rimossa con un'operazione. Non era esattamente il luogo adatto, ma Shinodari ha operato in condizioni peggiori.
    Non penso sia un problema, in quanto la free non pregiudica il suo completo recupero per altre giocate.





     
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    Di ritorno dall'aldilà


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    Dopo aver perso la conoscenza non vidi letteralmente nulla; ci fu il Vuoto, il Nero, il Nulla, il Niente. Tutte le mie preoccupazioni, i pensieri, i desideri... tutto venne meno: un profondo stato di beatitudine, ecco come potrei chiamarlo. Era come cadere in un sonno profondo. Così profondo, da essere privo di sogni: tutti i drammi della mia vita, dal litigio con il mio fratello maggiore, passando per la perdita di mia madre e la scomparsa di Yuki, erano in un attimo spariti. Niente più limiti - niente più desiderio di raggiungerli e sorpassarli. Questa era la morte per me: una specie di sollevazione, una soddisfazione. La scomparsa totale del dolore, sia fisico che spirituale; il Nulla che così tanto desideravo. Davvero c'era qualcuno che voleva diventare Immortale? Evitare la Morte? Povero sciocco: non sapeva di cosa si stava privando. Non sapeva quale gioia poteva portare quella sensazione... La sensazione di morire, di star affogando, di cadere sempre più in basso e di vedere un'unica, lontana, sensazione di luce; era come un raggio, o qualcosa di simile: il fuoco nelle tenebre. Potevo afferrarlo oppure lasciarlo andare e morire per sempre lasciandomi alle spalle tutte le vicende di quel mondo ingiusto, freddo e crudele. Tuttavia... il dolore, la morte... era solo una via di fuga. Era una resa. E io non mi arrendevo: era quella la mia magia, il mio credo ninja. Non arrendersi mai. Non piegarsi. Non inginocchiarsi. Stringere i denti, mordersi il labbro, sputare il sangue; percepire il battito cardiaco a livello 180 batti al minuto nel petto. La vita era fatta di lacrime; bisognava soffrire. La sofferenza era la vita; il sangue lo era. Pregai di morire, ma solo un attimo; poi strinsi i denti, come sempre facevo. Non potevo ancora allontanarmi. Non potevo ancora rifugiami nell'aldilà: dovevo trovare mia sorella, fare pace con il mio fratello, vendicare mia madre. Troppe cose... Troppe cose da fare per un uomo così piccolo. Così piccolo e impotente; così incapace di fare almeno qualcosa. Ero solo un giocatore a scacchi che non conosceva le regole dl gioco. Solo un giocatore frustrato, che capiva la propria situazione, capiva di non poter fare niente, di essere capitato in una partita più grande di lui.
    Una partita che non poteva vincere... ma che doveva vincere.

    Per un attimo mi chiesi quali mosse fare; annegando, cercai di allungare la mano verso quel raggio. Era in una situazione di scaccomatto. Sentivo che or-ora il mio cuore avrebbe smesso di battere e sarei, allora, fuggito preferendo la comodità e il calore del Nulla alle battaglie. No. Non potevo. Immerso nell'oscurità, con una flebile, piccola luce, davanti, strinsi i denti e mi morsi il labbro: avevo scelto io quella strada. - Yu... Yuki... - mormorai in quel stato di mezzo-sonno, in una specie di coma. Poi afferrai quel raggio di luce. Cercai di uscirne, cercai di tornare. Mi morsi il labbro e sentii il sangue, il suo sapore metallico. Volli aggrapparmi, trovare un appoggio; cercai un muro, un appiglio, qualcosa che non mi facesse annegare, che non mi facesse cadere. Sentii l'aria mancare; sentii il cuore fermarsi.

    - Ora... -



    Bisbigliai cercando di aprire almeno un occhio: il mio corpo non mi sentiva, non voleva rispondere ai miei stessi comandi. Perché il mio stesso corpo mi tradiva? Con la coscienza ancora pesantemente annebbiata cercai di muovere un dito, ma non ci riuscii nuovamente. Il colpo che mi ricordavo, quello a mano aperta, era stato troppo forte... Che mi avesse paralizzato? No, non poteva paralizzarmi: avevo assorbito anche dei colpi più tosti di quello. Non potevo essere immobile, io, che amavo la velocità.
    Sospirai, lievemente. Così lievemente, che, forse, difficilmente qualcuno avrebbe sentito il mio sospiro. Poi la vidi.
    La luce.

    Era debole.



    L'immagine era sfocata; sin troppo, ma mi sembrava che io fossi steso da qualche parte. Che fosse la foresta? Faceva freddo, un dannato freddo. Di quello che era successo avevo soltanto alcuni, abbastanza lontani, ricordi. Ci volle qualche secondo affinché il mondo assumesse dei colori e riuscissi a respirare più facilmente. Ogni respiro era per me una maledizione; il dolore lancinante proveniva dal petto: forse avevo qualche costola fratturata. - Non... so... sono... mo... mor... morto... - Bisbigliai a malapena. Su di me avevo un lenzuolo e un camice bianco che non riuscivo a identificare meglio e regnava una grande confusione. Non potevo muovermi; sentivo il dolore ovunque. E c'era una confusione, una grande confusione. - Perché non sono morto? - Mi domandai nei pensieri, ricordandomi di quanto vissi in quella specie di limbo. Quanto tempo era passato dallo scontro con Kensei? Non potevo morire così come non potevo arrendermi: se lo avessi fatto, se fossi stato sconfitto anche nello spirito oltre che nel corpo... Solo allora sarei davvero morto. Fino a quel momento, finché la mia anima non sarebbe stata spezzata, finché io stesso non avrei desiderato di morire per porre fine a tutte le mie sofferenze... beh, fino ad allora dovevo combattere. Perché io ero un combattente e avevo scelto la mia strada: era costantemente in salita ed era piena di ostacoli.

    Mossi l'occhio sinistro di lato, intravedendo la figura di una donna dormiente vicino a me. Mi sorvegliava? - Il mio angelo custode? - pensai cercando di non disturbare il suo sonno. Alla fine dei conti, se era stata lei a sistemarmi, forse si era stancata ed era giusto che si riposasse senza che la disturbassi o le dessi fastidio. Già avevo dato fastidio a troppe persone...

    Nel silenzio, cercai di ricordarmi di cos'era accaduto. Ero veloce, troppo veloce, molto veloce. Ma la sua armatura... Di cosa era fatta? Era impenetrabile. Lui stesso... Cosa diavolo era quell'aura? Quella tecnica? Nonostante tutto, ero riuscito a oltrepassare il mio limite. Ero riuscito a raggiungere la mia massima velocità pur rallentato dal suo odio. Ero riuscito a tagliare il suo fulmine, pur spingendomi al di là dei miei limiti. - Eppure ho perso... - mormorai a mezzavoce guardando all'insù. Quali altri limiti dovevo superare? Perché altri potevano combattere solo grazie al talento e io dovevo costantemente sacrificarmi? Dov'era la giustizia? Alcuni nascevano già bravi nel combattimento; altri tutta la vita si sacrificavano e sputavano sangue per raggiungere il loro livello e comunque non ci riuscivano. - PERCHE' HO SCELTO LA MALEDETTA STRADA IN SALITA?!" - Mormorai percependo l'amarezza salire nell'animo; sentii una lacrima calda nell'occhio sinistro, l'unico aperto. Cercai di trattenermi, di non mostrare la mia amarezza; di mostrarmi forte. Eppure la lacrima scese lungo la mia guancia... La tagliò in 2 parti: era una lacrima calda.
    Avevo perso. Dannazione. Avevo perso.
    "Muori... ma completa la missione." - Mi ricordai delle parole del mio primo sensei. Quella volta ero quasi morto, ma non ero comunque riuscito a superare l'ostacolo. Mi ero mostrato troppo debole; ero troppo debole.

    Esalai un respiro e chiusi l'occhio cercando di calmarmi. La battaglia era ormai alle spalle; l'amarezza andava assorbita in qualche modo. Certo, i segni di quel combattimento sarebbero stati visibili ancora per molto tempo, ma le cicatrici non erano un problema. La consapevolezza di essere debole, di dover aver paura di qualcuno... Ecco qual'era il problema. Se la fonte della Forza era l'assistenza di Paura, quel giorno avevo perso un po' della mia forza. Il pensiero mi rattristì ancora di più e dovetti mordermi il labbro cercando di non dare vita ad altre lacrime. Da sempre combattevo senza paura alcuna, ma da quel giorno... sentivo... Qualcosa di diverso.

    Tasaki Moyo si era rotto.

    "Qualcosa si è spezzato." - Pensai. - "E dovrò lavorare molto per ricostruirlo".

    Poi c'era Lei, che dormiva al mio fianco. Mi aveva salvato, ma tutti a Oto facevano qualcosa in cambio di qualche altra cosa: Kato era diventato mio amico, ma solo perché lo aiutassi a divenire più forte; Febh mi aveva liberato dalle prigioni, ma solo perché avevamo un fine comune e sperava di avere qualcosa in cambio; e Diogene? Per lui ero un'altra pedina da sfruttare. Persino le persone comuni e i mercanti facevano qualcosa in cambio di qualcos'altro. E per lei? Cosa mai avrei potuto fare per lei? Cosa le avrei dato in cambio della mia salvezza? Non avevo niente. Probabilmente ero il più povero a Oto: un villaggio in cui ero visto come estraneo. Che non era il mio villaggio.

    Con quei pensieri sentii una profonda tristezza. - Ho perso. Ho perso. Ho perso. - Volli gridare, lanciare qualcosa contro il muro, sbattere io stesso contro il muro, afferrare una spada e fare il seppuku: la morte sarebbe stata una liberazione dopo la sconfitta. Una morte onorevole, tramite harakiri... ma ero un pessimo spadaccino, tant'è che non sapevo nemmeno dove fosse la mia spada. Aveva senso continuare a vivere in quel stato?

    "No", - mi risposi richiudendo l'occhio. - Ma ho promesso di migliorare questo posto e non posso tirarmi indietro. -

     
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    La Via del Guaritore


    II




    Un flebile mormorio raggiunse il mio udito.
    Non mi ero resa conto di essermi addormentata. La stanchezza aveva preso il sopravvento approfittando del rilascio della tensione.
    Rimasi in quel particolare stato di dormiveglia, cercando di concentrami su quel sussurro.
    Yuki... Chissà a chi apparteneva quel nome. Avrei voluto chiederglielo, aprire gli occhi e fargli capire che ero lì, destata dalle sue parole.
    Non lo feci. Finsi di dormire. Sentivo che non era il momento adatto. Lui aveva bisogno di restare da solo con i suoi pensieri, metabolizzare l'accaduto. Quando sei un passo dalla morte non sempre è facile ritornare.
    Ora... ancora un flebile suono. Ora sei qui, sei vivo, ma non a tutti basta questa verità. Ripensai a Yami, Per lui vivere non aveva avuto più alcun significato dopo quell'ultimo scontro.
    Non potevo fare a meno, per quanto mi sforzassi di non pensare, di tornare a quel ricordo.
    Due shinobi di Oto il cui fato correva parallelo, andando incontro ad un avversario che li aveva sconfitti.
    La morte di qualcuno come si può giustificare?
    A quel tempo se fossi stata lì, l'avrei fermato dal quel gesto autodistruttivo. Eppure non sarebbe stato un atto egoistico decidere per lui? Condannarlo alla prigionia, incatenare il suo spirito, spezzato dalla sconfitta, pur di farlo vivere. Ero un medico, avevo fatto un giuramento, ma ci sono casi in cui quel giuramento avrebbe potuto portare a conseguenze ben più dolorose della morte.
    Ed ora il ciclo si stava ripetendo. Tasaki non era morto. Lentamente ne stava prendendo coscienza. L'avversario non gli aveva inferto il colpo di grazia. I medici erano riusciti ad evitare che morisse per le ferite riportate. Io avevo cancellato l'infamia incisa sulle sue carni. Mi ero arrogata il diritto di decidere per lui, per concedergli un istante di tregua, per non caricarlo di un marchio che avrebbe potuto scarificare il suo spirito.
    Il segreto non poteva essere mantenuto per sempre. La verità riesce sempre ad emergere. L'unica nostra scelta è trovare l'occasione adatta.
    Purtroppo a volte quel momento sembra non arrivare mai. Si ha paura di ferire l'altro con le nostre parole. Un atto di compassione che può rivelarsi una lama a doppio taglio. Una lama in grado di ferire quando si attende troppo. E in quel preciso istante la verità esplode addosso alla persona che si voleva proteggere.
    Fuori da questo riparo sicuro, le voci stavano correndo e presto o tardi sarebbero arrivate anche alle orecchie di Tasaki.
    Era il mio compito fare in modo che quanto successo mentre lui era esanime, potesse essere affrontato in maniera razionale, possibilmente senza causare ulteriori lesioni.
    Non conoscevo il giovane che avevo soccorso.
    Era il momento di scambiare due parole con lui, stando attenta a non farlo affaticare.
    Dovevo apprendere la sua versione dei fatti, conoscere le motivazioni che l'avevano spinto allo scontro, trovare il modo per rivelargli l'esistenza dell'infamia; il marchio che avevo cancellato, quando era ancora privo di conoscenza.
    Aprii gli occhi e diressi il mio sguardo verso di lui. La luce riflesse la parte umida della guancia. Le lacrime della consapevolezza di essere tornati. Solo che non sapevo se era questo il suo desiderio.
    Mi alzai dalla sedia, mi disinfettai le mani ed estrassi dalla confezione una garza sterile.
    Ritornai da Tasaki e con estrema delicatezza tamponai la parte di pelle bagnata.
    Mi dispiace, non posso fare di più per te. Osservai, con una sfumatura di tristezza nel tono della voce. Quando ti sentirai di parlare, posso raccontarti quello che è successo dopo che sei svenuto, però devo sapere se sarai in grado di affrontarlo. Te la senti di raccontarmi le tue motivazioni? Con la mano libera gli spostai una ciocca di capelli per liberare la fronte.
    Io vado a preparare del tè, spero che tu ne gradisca un bicchiere. Le tazze erano un lusso che la guardiola non poteva permettersi.
    Gettai la garza nel contenitore per lo smaltimento, disinfettai ancora una volta le mani e mi diressi verso il fornelletto.
    Ko aveva sollevato il muso e mi stava osservando. Gli sorrisi.
    Aprii il contenitore e versai alcuni cucchiaini di tè, mentre aspettavo che l'acqua si scaldasse.
    Attesi che lui mi parlasse.
    E' vivo, sa di aver perso... C'è speranza che sia in grado di risalire il baratro...

     
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    Il baratro.
    Per un attimo avevo pensato che mi fosse piaciuto... il baratro! La dimenticanza completa, l'assenza delle emozioni, delle mete, degli obiettivi, dello stress, e persino della necessità di rendere Oto un posto migliore. Certo, sarebbero stato più facile lasciarsi cadere e abbandonarsi, ma dove sarebbe stata, a quel punto, la mia volontà? Dopo ogni caduta, dovevo rialzarmi; dopo ogni colpo, dovevo tornare in sé e continuare a camminare. Se mi fossi arreso, avrei tradito non solo me stesso, ma anche tutti gli altri. E la sofferenza? Beh, il Dolore che provavo, per me, non era altro che un altro scalino nella mia scalata verso gli obiettivi che mi ero proposto.
    Dannazione: essere me implicava non conoscere il significato della parola "resa" e per il solo fatto di aver pensato, almeno per un istante, di abbandonarmi al baratro, provai un'immensa vergogna: mi sarei consegnato al baratro solo e soltanto se il mio spirito fosse stato spezzato. Fino ad allora non mi sarei lasciato andare alle mie debolezze, altrimenti non avrei mai ritrovato Yuki.
    Prima ancora che la mia coscienza tornasse, effettivamente, nel mio corpo, vidi la bellissima ragazza che mi assisteva alzarsi dalla sua sedia e asciugarmi la guancia. Non dissi nulla: le lacrime della vergogna, ecco cos'erano quelle. E di certo non mi avrebbero impedito di rialzarsi, un domani, e tornare a combattere, ad allenarmi e prendermi la mia rivincita, prima o poi.
    Strinsi il pugno e serrai e mascelle mentre la sua garza passava, docile, sulla mia guancia; ancora respiravo a fatica, ma ero già pronto ad andare ad allenarmi. Ero strano, no? Forse quei pensieri, la voglia di allenarmi, era proprio quella la luce nelle ombre. Era quella la mia volontà: non arrendersi mai, nemmeno dinnanzi agli avversari più forti e più pericolosi del mondo, come il Mizukage.
    - Tsk, - ghignai percependo come le unghie s'infiltrassero nella carne del palmo della mia mano. Mi ero allenato già tantissimo, quanti sacrifici avevo fatto, eppure niente di tutto quello era bastato. Quante strade avrei ancora dovuto percorrere e cos'altro fare pur di diventare più forte?
    D'istinto, di rabbia, quasi di odio, distolsi la guancia muovendo la testa in direzione contraria alla kunoichi. Era un gesto di rabbia, quasi aggressivo; non mi piaceva perdere, e mi promisi di non farlo, ma immediatamente mi calmai cercando di capire il mio stato e ammirando la kunoichi. - Chi... sei? - domandai con la voce debole. - E... cosa vuoi?.. - "In questo villaggio tutti fanno qualcosa solo per tornaconto personale." - Pensai intuendo che anche lei volesse qualcosa. Del resto, nessuno faceva del bene agli altri giusto per il puro cuore. Forse, solo io avrei potuto farlo in quel maledetto villaggio.
    - Tasaki... Moyo... - mi presentai. Avrei voluto fare un inchino con il capo, ma mi faceva male il collo, motivo per cui evitai. Alla fine mi disse che mi poteva raccontare ciò che era successo dopo la fine dello scontro, ma non ero sicuro di volerlo sapere. Alla fine dei conti, se lei addirittura doveva specificarlo, forse era successo qualcosa di molto grave... Ma cosa? Sembravo anche avere 2 mani e 2 piedi; c'erano entrambi gli occhi e orecchie. Pure il pipino mi sembrava al suo posto, così come tutte le dita.
    Lentamente, girai il capo verso la bella kunoichi e le feci un cenno.
    - Racconta... mi... per favore... tutto... - Le dissi aguzzando le orecchie e dopo, se mi avesse chiesto le mie motivazioni, avrei sorriso, come un idiota.
    - Mo... motivazioni? - Chiesi. "Bella domanda!" - Volli rispondergli. Che motivazioni avevo? - Del tempo... tempo fa... - tossi leggermente, - Kensei... Hito... il Mizukage... ha ucciso... lui... ha ammazzato... un... un prigioniero. - Dissi. - Mio... conterra... neo... - Spiegai. - Ho... vol... voluto... dargli una... lezione... Non potevo.. ignorare... un simile... gesto. I prigio... nieri... non si uccidono! -
    Avrei voluto anche aggiungere che così mi aveva raccontato mia madre ed era una di quelle sue lezioni intrinsecamente legate alla morale e all'etica, ma comunque fosse decisi di risparmiare le energie e mi rilassai espirando fortemente. Poi girai il capo vero di lei.
    - Sei... bella. - Le dissi. - Come un angelo. - "Il mio angelo..." - pensai ancora leggermente frastornato dalla botta che avevo preso in testa (e non solo).
    Quando mi propose del te, cercai di alzarmi per dirle quali erano le mie preferenze, ma alla fine non ci riuscii e balbettai qualcosa sotto il naso:
    - 2... cucchiaini... tè... nero... goccio... latte... intero... a 30°... - un enigma, in pratica. E forse avrei dovuto aggiungere anche una cannuccia, ma tan'è... Quant'era fantastico quando qualcuno si prendeva cura della tua stupida testa! Poi, prima ancora di ottenere il mio tè, bisbigliai altre parole.
    - Rivincita, - fu la prima. - Come... posso... ringrazia... graziarti? - Furono le altre 3.
     
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    III



    Quando ti risvegli da un incubo per scoprire di essere piombato in uno peggiore: la vita.



    Mentre gli stavo asciugando la guancia percepii il suo senso di frustrazione, Mosse la testa per rivolgerla dall'altra parte, per non incrociare il mio sguardo.
    Potevo capirlo? Si. Tasaki era costretto a letto, le sue ferite l'avevano reso indifeso. Non mi offesi per quel gesto istintivo.
    L'istante dopo sembrava essere venuto in parte a patti con la mia presenza, con la consapevolezza che ne derivava.
    Chi... sei?
    Chi sono? Mi sarei dovuta presentare con il mio nome completo o celare una verità che ormai in pochi conoscevano?
    Shinodari Nara Jaku Kazekumo. Mi presentai. Glielo dovevo. Prendersi cura di qualcuno significava non nascondersi dietro facili menzogne.
    E... cosa vuoi?
    Cosa voglio? La domanda mi prese di sorpresa. Ancora mi stupivo? Non avevo imparato a mie spese che ad Oto raramente qualcuno agiva senza esigere un proprio tornaconto?
    Sono un medico. Il mio scopo è curare le persone, evitare che muoiano. Per le cicatrici dello spirito non servivano le mie abilità curative. Cosa desidero da te? Vorrei che non ti riducessi mai più nello stato in cui ti ho trovato. Sei andato molto vicino alla morte. Sospirai. Suppongo che tu non me lo possa promettere, vero?
    Il giovane era ancora molto debole. Sapevo che non doveva sforzarsi, però non tutto poteva essere rimandato a dopo.
    Mi chiese di raccontargli quanto ero successo. In fin dei conti glielo avevo proposto io. Le mie parole avrebbero potuto minare il suo precario equilibrio interiore. In casi estremi potevo sempre sedarlo, se avesse voluto compiere qualche gesto inconsulto.
    Basta! La verità per quanto amara andava affrontata. Rimandando, gli avrei procurato solo un danno maggiore.
    Gli raccontai tutto, senza omettere nulla. Le informazioni riferitemi dal team medico presente sul luogo dello scontro, la testimonianza delle guardie di turno al gate occidentale. Per quanto mi costasse dirglielo, gli rivelai dell'incisione, del marchio dell'infamia. Cicatrici che avevo rimosso mentre lui era ancora in stato di incoscienza.
    Non sarebbe stato facile venire a patti con una verità cruda, violenta. Tasaki aveva tempo per metabolizzare l'accaduto. Il tempo necessario a rimttersi in forma.

    Mi mise al corrente delle sue motivazioni. Mi oscurai in volto. Nessuno aveva il diritto di prendere la vita di un altro... nessuno in un mondo utopico. Mi chiesi se Shiltar avrebbe compiuto le stesse azioni del Mizukage attuale. Non lo credevo, non dopo lo scontro con Yami. L'aveva risparmiato, non era sua la responsabilità se aveva rifiutato di vivere.
    Sei... bella. Come un angelo. Arrossii, pur sapendo che non era ancora del tutto in sé. Non ero un angelo, non nell'accezione che veniva data al termine. Piuttosto un angelo decaduto.
    Balbettai un Grazie in risposta.
    Quel suo commento, non mi avrebbe fermato dal replicare a quanto detto in precedenza.
    Il tuo gesto è stato nobile, ma estremamente impulsivo. Commentai. Avrei dovuto assecondare quel suo desiderio di giustizia? Il tuo conterraneo... Mi avevano messo al corrente che lui non fosse otese di nascita. …aveva messo a rischio la sicurezza di Kiri? Non tutti erano magnanimi nel dispensare le condanne. Non fraintendermi. Per me la vita è al di sopra di tutto o non sarei un guaritore, però il nostro ambiente non permette la clemenza, non sempre. Vendicare qualcuno... sembra che ti faccia sentire bene, in pace con te stesso, ma non è così. Anche se avessi vinto, se gli avessi impartito la lezione che, dal tuo punto di vista, meritava, sei sicuro che il tuo animo si sarebbe placato? La vendetta genera solo una spirale di violenza, il sangue chiama altro sangue. E alla fine resta solo un vuoto nell'anima. Sempre che tu sia ancora in vita. Se il Mizukage ha rispettato le leggi accademiche ci si può fare ben poco, a meno di non andare contro il coprifronte che indossiamo. Se ha ucciso il tuo conterraneo senza giusta causa, allora dovrebbe essere processato per i suoi crimini contro l'Accademia. Noi non siamo nella posizione di arrogarci tale diritto. Mi spiaceva essere così dura, ma avevo paura che avrebbe ritentato. E non era detto che sarebbe sopravvissuto. La carica di Mizukage non si assegna per gioco. E' uno dei ninja più forti del villaggio, se non il più forte. Cosa ti faceva pensare di essere in grado di sconfiggerlo? Perché lui si è accanito contro di te a quel modo? Perché ti ha inciso le carni con quella scritta infamante? Non potevo lasciar correre. Se voleva affrontarlo ancora una volta, doveva mettere la cosa nella giusta prospettiva. Quelle ferite sottolineavano la disparità tra le loro abilità.

    I gusti in fatto di tè del mio paziente erano molto specifici. Sorrisi. Gli feci cenno di restarsene tranquillo al letto.
    Mi dispiace, ma dovrai accontentarti della mia miscela preferita. Replicai, prendendo un paio di bicchieri. Il latte non credo sia una delle priorità qui al gate. La temperatura non sarebbe stata un problema. Avrei atteso che si raffreddasse prima di servirglielo. Lo zucchero... Rabbrividii. Mi voltai nella sua direzione. Sei sicuro? Tu bevi il tè con lo zucchero? Osservai, sottolineando la parola “zucchero”. Sai che ti perdi tutto il gusto? Ogni miscela ha un sapore unico. Probabilmente mia madre l'avrebbe preso come un affronto personale. Ricordavo le estenuanti sessioni riguardanti l'arte della cerimonia del tè. E se aggiungevamo che fosse pure un'abile assassina... No, non sarebbe stato per nulla piacevole. Non credevo sarebbe arrivata all'atto estremo, ma costringerlo a bere a forza la bevanda senza l'aggiunta di ingredienti che ne contaminassero il sapore, quello si. Per fortuna di Tasaki non ero lei.
    Mentre attendevo che l'infuso si raffreddasse, frugai tra il materiale medico alla ricerca di una cannula per le flebo. Non era una cannuccia, ma era sterile e, accorciandola, sarebbe stata una degna sostituta.
    Rivincita... Per poco non mi sfuggì di mano il bicchiere.
    Ci avevo provato.
    Come... posso... ringrazia... graziarti? Lo fissai dritto negli occhi.
    Potresti evitare di suicidarti. La tua vita è preziosa. Vivi e mi avrai ringraziato. La mia espressione si fece seria. O la prossima volta sarò io stessa a tatuarti in fronte con inchiostro indelebile la scritta “BAKA”! Sospirai. Se proprio desideri una rivincita, confrontati con i tuoi limiti. Sii umile. Ci sarà sempre qualcuno più forte di noi per quanto invincibili ci sentiamo. Almeno promettimi che, se lo affronterai di nuovo, sarò io il tuo medico. Non intendo permetterti di morire.
    Mi sedetti accanto a lui sulla branda. Poggiai il bicchiere con la cannuccia improvvisata sulla sedia.
    Ti aiuto io a bere il tè, non sforzarti per metterti seduto. Gli dissi, addolcendo il mio sguardo.
    Il cucciolo scelse quel momento per sollevarsi in volo e aggrapparsi allo schienale.
    Ciao ragazzo ninja. Io sono Ko, drago dei ghiacci. Si presentò.


     
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    Shinodari Nara Jaku Kazekumo? Quanti nomi aveva? E quanti di questi nomi in realtà erano i suoi cognomi? Poi ascoltai la risposta alla mia domanda. Tutti a Oto volevano qualcosa ed era davvero inutile negarlo. Non conoscevo una singola persona di Oto che non aveva desideri e non voleva qualcosa. Semplicemente di persone del genere non ne esistevano. Eppure lei mi sorprese dicendo di non volere niente e di essere semplicemente un medico.

    Non le credetti, salvo poi sorridere un pochino.

    - Beh... ma la mia vita non era... non era... in pericolo... - Bisbigliai percependo le fratture da qualche parte. In realtà quella volta ci ero andato vicino alla morte, ma non lo avrei mai e poi mai ammesso. Così come non le avrei mai e poi mai promesso che non sarei mai più andato così vicino al limite. - Hai... hai ragione... - Risposi. - Non te lo posso promettere. - Alla fine dei conti, nonostante le batoste assorbite contro il Mizukage, sentivo di essere diventato leggermente migliore, ma ci sarebbero voluto ancora molto tempo prima di arrivare al suo livello, al livello del Mizukage. Forse ci sarebbero voluti anni, ma prima o poi sarei arrivato di nuovo al limite e l'avrei sorpassato. Era quella la mia filosofia: andare sempre oltre, sorpassare i limiti, spingersi oltre i confini.
    Quindi, dopo qualche titubanza, iniziò a raccontarmi di com'erano andate le cose. Alla fine dei conti mi aveva trovato praticamente morto, nei pressi delle mura. Sul petto quel cazzone mi aveva ritagliato delle cicatrici, definendomi "Spazzatura". A quel punto strinsi il pugno e ridacchiai: era persino divertente saperlo e non persi tempo per rivolgere lo sguardo verso il petto e vedere delle cicatrici. Il marchio dell'infamia era stato eliminato nel giro di qualche minuto. - Troverò quel bastardo... - dissi, questa volta praticamente tutto d'un fiato. - Lo troverò. - Si era rivelato un buon sfidante, il Mizukage, sopratutto considerando la sua immensa forza. - E a quel punto curerai lui. - Mi sarei senz'altro preso la rivincita prima o poi. Ormai era una questione di puro principio. Cosa mi mancava? L'allenamento continuo e costante. Mi sarei allenato. Ogni secondo, ogni giorno, ogni istante. Tutta la mia vita, tutto il principio della stessa, sarebbe volta verso il miglioramento. - Quanto potrò tornare ad allenarmi? - domandai.
    Poi arrivò la sua replica, dicendomi che ero stato impulsivo. - No, - tagliai secco. - È stato prevedibile. Sapevo che mi avrebbe battuto, ma voglio diventare migliore Shinodari Nara. - Risposi provando ad alzarmi leggermente da quella posizione sdraiata. - Per diventare migliore, devo combattere contro i migliori. E dev'essere sempre una battaglia all'ultimo sangue, piena di rabbia e odio, affinché anche i migliori raggiungano i loro limiti. - Una semplicissima filosofia di vita, la mia. Ed era per quello che avrei sfidato anche altri: Diogene, Febh, Hohenheim, Raizen... Chiunque di loro avrebbe potuto combattermi e permettermi di avere più esperienza, di capire meglio le battaglie, di affinare le mie capacità. Avrei sfidato ognuno di loro e sarei diventato migliore a ogni scontro. - Il mio conterraneo fa parte dello schieramento nemico, - risposi. - Proprio come io non molto tempo fa. - Poi feci spallucce. - Io lo supererò. Io diventerò più forte dei Mizukage. - La fissai. - È solo una questione di tempo. Non mi fermerò, non mi arrenderò, non abbandonerò la mia strada. Diventerò il più forte e se dovrò vendere l'anima al diavolo per riuscirci... Che ben venga! Ogni volta io raggiungerò il mio limite e ogni volta lo supererò. Costi quel costi, andrò oltre a ogni confine e ricercherò il Potere, mettendolo prima di ogni altra cosa. Solo così raggiungerò il mio obiettivo! -

    Alle sue parole sulle leggi accademiche, scossi il capo. - Io non farò niente. Mi ricorderò la battaglia e prenderò spunto da questa per le battaglie a venire. Ho perso, ma cercherò di migliorare e capire quali errori ho fatto e come avrei potuto evitarli. - Dissi girandomi e sdraiandomi sulla pancia. Poi misi le mani per terra, a palmi aperti, e provai a fare le flessioni: 1, 2... Purtroppo non ci riuscii. Ero ancora troppo picchiato per farlo. Mi limitai invece a rispondere alla curatrice. - Il Mizuage è il Mizukage, - feci spallucce. - Semplicemente aggressivo e pieno d'odio. - Nascosi il fatto della lettera. Difficilmente qualcuno sarebbe venuto a conoscenza del papiro che gli avevo scritto. Comunque fosse, non ottenni ciò che volevo in fatto di tè, ma la Nara mi disse che dovevo accontentarmi di una miscela. Non rimasi invece contento per quanto riguarda il latte. - Per me è una priorità, invece. - Affermai. Non che volessi mettere sotto pressione la buona curatrice, ma il tè senza il latte non era ciò che bevevo. Poi disse che non aveva nemmeno lo zucchero. Feci di nuovo spallucce, limitandomi a non dire niente. Avrei bevuto il tè così per quel giorno.

    - Certo che vivo, - ghignai. - Vivo molto più degli altri. - Alla sua richiesta di essere il mio medico durante l'incontro, feci spallucce. - Lui è venuto a Oto per combattermi. La prossima volta io dovrò andare in casa sua per combattere lui. Se vorrai venire con me, sei benvenuta... - - Notai il bicchiere, mi voltai di nuovo sulla schiena e lo presi. Era ancora caldo. - Grazie... - dissi arrossendo leggermente. - Grazie per ciò che hai fatto per me. Sarò tuo debitore. - Sorseggiai il tè: non era male. Poi notai Ko, il drago dei ghiacci. - Ciao Ko, io sono Tasaki Moyo e voglio diventare il ninja più forte del mondo. - Poi aggiunsi: - Posso accarezzarti? - E guardando la Nara, invece, domandai: - Posso fare gli addominali? - Mi misi una mano sul fianco, vicino alle costole. Mi dolevano ancora.
     
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