Lo spadaccino e la kunoichi dalle iridi ametistaWest Gate e dintorni

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  1. leopolis
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    Di ritorno dall'aldilà


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    Il baratro.
    Per un attimo avevo pensato che mi fosse piaciuto... il baratro! La dimenticanza completa, l'assenza delle emozioni, delle mete, degli obiettivi, dello stress, e persino della necessità di rendere Oto un posto migliore. Certo, sarebbero stato più facile lasciarsi cadere e abbandonarsi, ma dove sarebbe stata, a quel punto, la mia volontà? Dopo ogni caduta, dovevo rialzarmi; dopo ogni colpo, dovevo tornare in sé e continuare a camminare. Se mi fossi arreso, avrei tradito non solo me stesso, ma anche tutti gli altri. E la sofferenza? Beh, il Dolore che provavo, per me, non era altro che un altro scalino nella mia scalata verso gli obiettivi che mi ero proposto.
    Dannazione: essere me implicava non conoscere il significato della parola "resa" e per il solo fatto di aver pensato, almeno per un istante, di abbandonarmi al baratro, provai un'immensa vergogna: mi sarei consegnato al baratro solo e soltanto se il mio spirito fosse stato spezzato. Fino ad allora non mi sarei lasciato andare alle mie debolezze, altrimenti non avrei mai ritrovato Yuki.
    Prima ancora che la mia coscienza tornasse, effettivamente, nel mio corpo, vidi la bellissima ragazza che mi assisteva alzarsi dalla sua sedia e asciugarmi la guancia. Non dissi nulla: le lacrime della vergogna, ecco cos'erano quelle. E di certo non mi avrebbero impedito di rialzarsi, un domani, e tornare a combattere, ad allenarmi e prendermi la mia rivincita, prima o poi.
    Strinsi il pugno e serrai e mascelle mentre la sua garza passava, docile, sulla mia guancia; ancora respiravo a fatica, ma ero già pronto ad andare ad allenarmi. Ero strano, no? Forse quei pensieri, la voglia di allenarmi, era proprio quella la luce nelle ombre. Era quella la mia volontà: non arrendersi mai, nemmeno dinnanzi agli avversari più forti e più pericolosi del mondo, come il Mizukage.
    - Tsk, - ghignai percependo come le unghie s'infiltrassero nella carne del palmo della mia mano. Mi ero allenato già tantissimo, quanti sacrifici avevo fatto, eppure niente di tutto quello era bastato. Quante strade avrei ancora dovuto percorrere e cos'altro fare pur di diventare più forte?
    D'istinto, di rabbia, quasi di odio, distolsi la guancia muovendo la testa in direzione contraria alla kunoichi. Era un gesto di rabbia, quasi aggressivo; non mi piaceva perdere, e mi promisi di non farlo, ma immediatamente mi calmai cercando di capire il mio stato e ammirando la kunoichi. - Chi... sei? - domandai con la voce debole. - E... cosa vuoi?.. - "In questo villaggio tutti fanno qualcosa solo per tornaconto personale." - Pensai intuendo che anche lei volesse qualcosa. Del resto, nessuno faceva del bene agli altri giusto per il puro cuore. Forse, solo io avrei potuto farlo in quel maledetto villaggio.
    - Tasaki... Moyo... - mi presentai. Avrei voluto fare un inchino con il capo, ma mi faceva male il collo, motivo per cui evitai. Alla fine mi disse che mi poteva raccontare ciò che era successo dopo la fine dello scontro, ma non ero sicuro di volerlo sapere. Alla fine dei conti, se lei addirittura doveva specificarlo, forse era successo qualcosa di molto grave... Ma cosa? Sembravo anche avere 2 mani e 2 piedi; c'erano entrambi gli occhi e orecchie. Pure il pipino mi sembrava al suo posto, così come tutte le dita.
    Lentamente, girai il capo verso la bella kunoichi e le feci un cenno.
    - Racconta... mi... per favore... tutto... - Le dissi aguzzando le orecchie e dopo, se mi avesse chiesto le mie motivazioni, avrei sorriso, come un idiota.
    - Mo... motivazioni? - Chiesi. "Bella domanda!" - Volli rispondergli. Che motivazioni avevo? - Del tempo... tempo fa... - tossi leggermente, - Kensei... Hito... il Mizukage... ha ucciso... lui... ha ammazzato... un... un prigioniero. - Dissi. - Mio... conterra... neo... - Spiegai. - Ho... vol... voluto... dargli una... lezione... Non potevo.. ignorare... un simile... gesto. I prigio... nieri... non si uccidono! -
    Avrei voluto anche aggiungere che così mi aveva raccontato mia madre ed era una di quelle sue lezioni intrinsecamente legate alla morale e all'etica, ma comunque fosse decisi di risparmiare le energie e mi rilassai espirando fortemente. Poi girai il capo vero di lei.
    - Sei... bella. - Le dissi. - Come un angelo. - "Il mio angelo..." - pensai ancora leggermente frastornato dalla botta che avevo preso in testa (e non solo).
    Quando mi propose del te, cercai di alzarmi per dirle quali erano le mie preferenze, ma alla fine non ci riuscii e balbettai qualcosa sotto il naso:
    - 2... cucchiaini... tè... nero... goccio... latte... intero... a 30°... - un enigma, in pratica. E forse avrei dovuto aggiungere anche una cannuccia, ma tan'è... Quant'era fantastico quando qualcuno si prendeva cura della tua stupida testa! Poi, prima ancora di ottenere il mio tè, bisbigliai altre parole.
    - Rivincita, - fu la prima. - Come... posso... ringrazia... graziarti? - Furono le altre 3.
     
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