Ospedale della Foglia

[Gestionale]

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    Y Danone
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    LEARNING TO WALK

    Tell me and I forget. Teach me and I remember. Involve me and I learn.




    «Ancora tu?»

    Il Jonin dal volto bendato si appoggiò al grosso bancone di legno che sembrava aver ricevuto una sola lucidata dacché era stato creato, e questa risaliva a molti anni prima. I suoi lunghi e ispidi capelli biondi caddero malamente sulla spalla sinistra quando lui, senza celare la sua solita perplessità, reclinò leggermente la testa di lato. I suoi occhi, per un istante, tradirono irritazione quando un mazzo di chiavi d'ottone gli furono fatte tintinnare sotto il mento.

    «...Ci sono problemi?»

    Aveva smesso di contare quante volte fosse già venuta lì quando si era reso conto che sarebbe stato solo l'inizio di una lunga, lunghissima processione.
    Eccola lì: Shizuka Kobayashi. Il primario dell'Ospedale di Konoha.
    L'unica allieva dell'Hokage.
    [...] Era tutto iniziato cinque mesi prima, quando lei era arrivata con un mazzo di chiavi che solo il Kage avrebbe dovuto avere, e ostentando un permesso scritto da “Raizen” –così lo chiamava lei, piccola spudorata– aveva annunciato di volere l'accesso a tutta la biblioteca biomedica, compresi gli archivi proibiti. A nulla erano valse le sue proteste, basate per lo più sull'osservazione che non vi erano possibilità che una Chunin potesse avere la preparazione utile a comprendere la maggioranza dei testi presenti nella sezione speciale che lui custodiva da quindici anni, e che non era mai riuscito a leggere tutta...
    ...ma lei aveva annientato ogni sua incredulità e malizia, e lo aveva fatto andando lì ogni giorno che gli Dei avevano messo in terra. Ogni giorno. Per ore.
    Gli orari cambiavano sempre, a seconda dei suoi turni in ospedale pensava, ma che fosse all'alba oppure di sera, e che lei fosse ristorata da uno splendido sonno oppure con i capelli sporchi e le occhiaie, colei che era conosciuta come la Principessa del Fuoco –unica erede di un Impero Economico che avrebbe dovuto tenerla ben lontana da un luogo come quello– non mancava mai i suoi studi.
    Di lei poteva dire poche cose. Quelle che la sua riservatezza estremizzata lasciava trasparire, almeno.
    Era intelligente. Molto più di quanto una donna avrebbe dovuto esserlo, credeva lui.
    Ed era affamata di Sapere. E la sua fame faceva paura.
    ...Non sembrava mai averne abbastanza, mai essere contenta di quanto imparava, con quella sua velocità di comprensione fuori dalla norma e una capacità mnemonica che rasentava chissà quale idilliaca forma di autismo intellettivo.
    Eppure non si definiva mai “brava”, ma ignorante sì, spesso. Ed odiava esserlo.
    C'erano milioni di cose che voleva sapere, voleva provare, sperimentare, ottenere... e poco tempo, a sua detta. Troppo poco tempo.
    Ma avrebbe ovviato anche a quel problema, in qualche modo. Ne era certo.
    Ogni tanto appariva spaventata, come se improvvisamente ciò che capiva o ideava la turbasse. Non aveva mai capito perché, lei era gelosa dei suoi appunti e della sua abilità creazionista come pochi altri Shinobi nella storia di Konoha lo erano stati, ma ai suoi occhi era evidente che la sua fame di sapere superasse la paura. Non aveva mai smesso di andare avanti, dopotutto.
    E lui, un giorno, si era accorto di temerla.
    Temeva il suo sguardo, troppo simile a quello di un affamato in un tempo di carestia.
    “Questa donna farà grandi cose” aveva pensato più volte. Ma non era stranamente stato convinto che potessero essere anche cose “buone”.

    «Non avete una vita sociale, Kobayashi-sama?» Chiese il guardiano dell'archivio, ponendo il palmo della mano destra su una grossa parete di pietra, da cui si dipanò subito un labirinto di Fuuinjutsu color dell'oro, il quale esplose in una circonferenza di combinazioni in rapido mutamento. «Vivete praticamente qui dentro, negli ultimi periodi.» E non stava esagerando. Una volta era stato costretto a tirarla fuori dagli archivi dopo che aveva trascorso due giorni a dormire per terra.
    «Ho trovato qualcosa di interessante, Banri.» Disse per tutta risposta la piccola Chunin, sorridendo. «Non ho ben capito cosa sia, però.» Ammise, imbarazzata.
    «Archivi Proibiti?» Chiese il Jonin, e l'altra annuì tranquilla, come se nulla fosse. «Non ho idea di cosa stia facendo l'Hokage-sama...affidare il sapere medico proibito ad una Chunin... la Quinta Hokage sarebbe impazzita!»
    «La Quinta Hokage iniziò una Chunin, la sua unica erede, a questa stessa biblioteca, mi risulta.»
    Osservò la ragazza, tagliente. La sua lingua scattava sempre troppo velocemente, e lui odiava quella cosa.
    «Aveva una maestra!» Ringhiò Banri, furioso.
    «Io ho me stessa.» Replicò la Principessa della Foglia, sorridendo elegantemente mentre la parete di pietra si scomponeva in una serie di mattoni oblunghi, che si incastrarono poi perfettamente aprendo così un varco da cui sarebbe potuta passare una sola persona per volta. «E questo mi basta.» Aggiunse, entrando nell'apertura che cominciò subito a richiudersi dietro di lei. «Ci vediamo domani mattina, Banri. Buonanotte.» E lui non ebbe nemmeno il tempo di ruggire circa la sua maleducazione, che la porta si sigillò dietro le sue spalle, chiudendola dentro il Tempio del Sapere di Konoha.

    [...]



    Shizuka Kobayashi era sfacciata. Ma non stupida.
    Sapeva perfettamente che avrebbe avuto bisogno di un maestro per poter quantomeno sapere una lista di cose che era giusto o sbagliato imparare... ma a chi avrebbe dovuto chiedere?
    Esistevano molti Shinobi medico, nel continente conosciuto... ma nessun ricercatore.
    L'evoluzione della medicina, come pure la ricerca in senso stretto, erano pressoché state abbandonate dopo l'ultima Grande Guerra. I ninja medico dell'Accademia, forti della sicurezza che da quel momento in poi la Pace avrebbe regnato incontrastata in ogni dove, si erano fossilizzati nell'arte della cura, con virtuosismi più o meno pregevoli ma mai azzardati, trascurando così l'ispirazione voluta dalla scienza.
    ...Lei era l'unica scienziata, in tutta Konoha. Forse in tutto il continente.
    A chi avrebbe dovuto chiedere consiglio, dunque? Non ne aveva idea, ma era consapevole che se c'era qualcuno ancora vivo e ben disposto a seguirla, forse avrebbe potuto capirlo studiando i volumi che si trovavano lì dentro.

    In verità aveva le idee piuttosto confuse.
    Quel posto –un corridoio lungo e dai soffitti alti, in cui librerie chiuse in gabbie di ottone lucente resistenti a tecniche di qualsiasi natura, troneggiavano le une accanto alle altre, sotto a lanterne che si accedevano come per magia al passaggio di qualsiasi creatura dotata di Chakra– era un vero Eden del Sapere.
    Si era resa conto della vastità del materiale contenuto lì dentro, una delle tante Ale ad Accesso Limitato della più comune Biblioteca di Konoha, già al suo primo mese di assidua frequentazione.
    C'era di tutto: dalla nozionistica base, alle tecniche di cura superiore, fino ai suoi agognati tomi Proibiti. Questi, posti in fondo alla sezione di consultazione e chiusi in gabbie con quattro mandate di due diverse chiavi, erano il vero calice che dissetava la sua sete.
    Ma erano incomprensibili. Difficili da capire, spesso addirittura da leggere.
    Nonostante si fosse resa conto che la metà di quei libri li aveva già letti prima di arrivare lì, aveva comunque impiegato i primi tre mesi a consultare quelli rimanenti che non conosceva e che le interessavano, e gli ultimi due mesi aveva invece dovuto trascorrerli sugli archivi proibiti solo per rendersi conto che quello che capiva era qualcosa che non sapeva come attuare.
    Ciò a cui si riferiva erano per lo più rotoli tanto vecchi da suggerire la paura ad aprirli. Registri scritti a mano, firmati o anonimi. Tomi sigillati con Fuuinjutsu che solo Shorinku aveva dimostrato di conoscere –quando lei gli aveva riportato il disegno, durante una loro sessione di addestramento– e che si era detto riluttante a spiegare.
    E fogli. Tanti, tanti, tantissimi fogli.
    Chiusi e protetti da raccoglitori di sughero e legati da spaghi sfilacciati, i fogli erano la questione più spinosa di tutte. Alcuni sembravano appunti e resoconti, bilanci e stime persino delle Grandi Guerre, altri invece apparivano come annotazioni di esperimenti falliti e taluni altri addirittura descrizioni di osservazioni lunghe anni. Con suo sommo stupore Shizuka si era resa conto che molti erano firmati dalla Quinta Hokage in persona, e altri persino da Mito Uzumaki, che non era necessario essere una storiografa per saperla essere la Prima Forza portante di Konoha e una delle capostipiti della medicina come oggi la si conosceva.
    Molti altri fogli, invece, custoditi in cartelle dagli angoli smussati e reclusi in un affollato ripiano angusto, non avevano firma. Sembravano i documenti più rovinati di tutti, come se nel corso del tempo fossero stati consultati milioni di volte, insistentemente.
    All'apparenza compilati di fretta, pieni di scarabocchi illustrativi dalla quasi agghiacciante perfezione anatomica, erano però anche stranamente i più affini al suo modo di pensare. Benché dunque la calligrafia fosse affilata e incomprensibile come le spire di un serpente che si arriccia su se stesso, la Principessa della Foglia lesse con voracità il loro contenuto e colmando mano a mano le lacune della sua preparazione, aveva cercato di dare un senso al materiale segnato con date sbalzate di settimane o mesi, provando a capire il significato nascosto dietro quelle frasi spezzate, quegli accenni ad ambizioni che non erano mai palesemente espresse...
    Aveva suo malgrado compreso che tutti gli Shinobi che avevano avuto accesso in quella Biblioteca erano senza dubbio stati più colti e potenti di lei, e non si era pertanto stupita di rendersi conto che era incapace di applicare il 98% delle tecniche lì riportate. Per non parlare della teoria bella e buona, che impegnava ogni nanomillimetro della sua mente.
    Consapevole che non si poteva spiccare il volo senza prima aver imparato a battere le ali, aveva perciò iniziato con qualcosa di “semplice”: far riprendere a battere il cuore di un pesce morto da meno di ventiquattro ore.

    Ci aveva impiegato sei giorni, venti ore, undici minuti e trentasei secondi per farlo. Più centosette pesci della pescheria di Villaggio, ordinati vivi e ammazzati lì dentro per l'occasione.
    Era svenuta due volte. Soccorsa da Banri per mancanza di segnali di vita ben quattro.
    La tecnica utilizzata le era esplosa nel viso tre volte e aveva rischiato di staccarle di netto le mani una, renderla cieca due e stordirla quattro.
    Nel complesso era finita al pronto soccorso solo una volta, un risultato niente male considerando che era riuscita a rimettersi in piedi solo dopo mezza giornata di convalescenza.
    E così, dopo molti sforzi, era dunque riuscita a padroneggiare una tecnica di guarigione superiore proibita. Quasi uccidendosi, certo, ma era comunque meraviglioso!
    Fu così felice che pianse la sua inettitudine per due giorni. E in quei due giorni non uscì da dentro la biblioteca, continuando a leggere giorno e notte.

    «Come faccio ad ottenere il potere sconfinato?» Chiese un giorno, distesa nel campo Addestramento n.4 della Foglia. Al suo fianco, Shorinku Yamanaka, Capo della divisione Sigilli e suo attuale maestro, la guardò apparentemente stupito.
    «Ancora con questa storia, signorina Kobayashi?» Aveva domandato, guardando l'allieva con attenzione. «Dovete domandarvi che uso fare del “potere sconfinato”. Non come ottenerlo. Quello potrebbe venire con il tempo.»
    ...Ma lei non aveva abbastanza tempo. Quell'anno avrebbe compiuto ventuno anni e le sembrava ieri che ne aveva sedici e prendeva il suo coprifronte per la prima volta. Di quel passo si sarebbe svegliata una mattina e avrebbe scoperto di avere quarantacinque anni e non aver fatto niente di quello che voleva.
    «Finché le vostre intenzioni sono protese alla gentilezza, signorina Kobayashi, non dovete temere il fallimento.» Aveva detto il biondo Yamanaka, pazientemente, quando si era infine reso conto che la sua allieva non si sarebbe accontentata di quella frase semplicistica. Necessitava di motivazione, per andare avanti, e giacché quella che le era peculiare si dimostrava fuori controllo –senza limiti, etica o morale, sempre affamata e desiderosa di miglioramento– aveva sempre creduto che avrebbe dovuto essere lui a dargliene nel giusto modo. Per la sicurezza di lei. E di chi le stava intorno. «Provate, provate e provate. Impegnatevi come nessun altro. Continuate a guardare di fronte a voi. E sicuramente un giorno otterrete qualcosa che nessun altro ha mai ottenuto.»

    ...E così lei aveva provato, provato e provato ancora una volta.
    Ma quello che ne era uscito, andò molto oltre le sue aspettative.
    E mai come in quel momento, Shizuka Kobayashi sentì di aver appena aperto una porta che era meglio –molto meglio– lasciare chiusa...
     
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    Al principio era immerso negli abissi di un mondo vuoto, asettico, privo di colori o di qualsiasi altro stimolo visivo, uditivo o olfattivo. Come se si trovasse in un torpore profondo, senza un inizio o una fine.
    Sarebbe stato difficile per chiunque descrivere un simile luogo, se di un vero e proprio posto si trattava.
    Tutto ebbe inizio in maniera improvvisa e inaspettata, con una sensazione di formicolio estesa a tutto ciò, che poi avrebbe capito, essere il suo corpo. E velocemente sopraggiunse un leggero senso di compressione, come se fosse interamente avvolto da qualcosa di non ben definito. Era un'esperienza nuova e sconosciuta, come, del resto, tutte quelle che seguirono.
    Aveva sviluppato la coscienza e la chiara consapevolezza di essere sveglio, vivo.

    Sprovvisto di una qualsiasi cognizione temporale, non sarebbe mai stato in grado di quantificare il tempo che trascorse in quella condizione, prima che mutasse, che si evolvesse. Percepì come una forte vibrazione prolungata, e poi un ronzio discontinuo, quasi fastidioso. E per la prima volta sentì qualcosa di diverso dalla solita pressione a cui ormai era abituato: captò i suoni del mondo che lo circondavano.
    Ad essere onesti, essi sostanzialmente si potevano riassumere in un'unico fenomeno fonetico: una voce.
    A volte debole e quasi fugace come un mormorio, altre volte chiassosa e straripante di energia, e altre volte ancora sembrava intonare una piacevole melodia. Aveva imparato a comprendere quella voce, a prestarle ascolto e ad attenderla con ansia, fino a provare una spiacevole sensazione di solitudine, di vuoto, quando essa mancava.
    Era per lui come un richiamo, una componente fondamentale della sua quotidianità.

    Infine, in maniera inaspettata come lo erano stati i precedenti, giunse un nuovo stimolo: luci e ombre assunsero per lui un significato concreto e letteralmente visibile.
    D'istinto, e forse inconsapevolmente, alzò lentamente le palpebre e ai suoi occhi una mescolanza confusa di colori si rivelò. Da prima in maniera tenue, con una chiarezza crescente, fino quasi ad essere accecante quando una serie di luci iniziarono ad accendersi in lontananza e ad avvicinarsi, accompagnate da suoni regolari, che ormai sapeva ben riconoscere e che preannunciavano il suo arrivo.
    Per la prima volta la vide, l'origine di quella voce, la osservò con estrema attenzione.
    I suoi colori, da prima opachi, divennero nitidi così come i lineamenti del suo volto e le forme del suo corpo in movimento. Seppur fosse la prima volta che la vide, sembrava riconoscerla perfettamente, come se non avesse dubbi al riguardo della sua identità.
    La seguiva con gli occhi con leggera fatica, la sua vista dinamica era in pieno sviluppo, e passarono una manciata di secondi prima che Lei se ne accorgesse, di essere fissata.
    Rimasero lì, a guardarsi reciprocamente.
    Fu il loro primo contatto.

    Senza rendersene conto, allungò un suo braccio verso di lei, attivando per la prima volta quelli che erano i suoi muscoli e le sue inesplorate capacità motorie. Non la raggiunse, c'era troppa distanza e se anche avesse avuto arti più lunghi avrebbe trovato ad ostacolarlo un qualcosa di solido e trasparente.
    Rimase a guardarla, ancora, mentre la sua piccola ed esile mano tentava di raggiungerla, afferrando il nulla.
    In quel momento intravide qualcosa, aldilà della mano: un riflesso, il suo riflesso, e non poté far a meno di notare la somiglianza tra lui e la creatura che aveva davanti. Erano simili, così tanto da suscitargli una sensazione di appartenenza.
    Non conosceva nulla, ma aveva l'incrollabile certezza di essere, in qualche modo, un tutt'uno con quella creatura.
    Indissolubilmente legati, così come lo erano i loro sguardi in quell'intenso momento.

    Alcuni sarebbero arrivati a descrivere la sua sola presenza come un'offesa alla vita stessa, altri avrebbero potuto gridare al miracolo, ma in entrambi i casi di certo si trattava di qualcosa di incredibile, innovativo, aberrante, qualcosa che nessun altro era mai riuscito a raggiungere. Che fosse il risultato di una casualità o il frutto di un genio, questo non era dato saperlo, non ancora.
    Eppure, era lì.
    La creatura di Shizuka Kobayashi, era nata.

     
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    STOP AND STARE

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    Il vantaggio di conoscersi da molto tempo era quello di capire ciò che l’altro pensava anche senza chiederlo.
    Fu per questa ragione che Shizuka Kobayashi comprese che l’interrogatorio era arrivato alla sua fine. Per farlo le bastò guardare per un istante Raizen e leggere nei suoi occhi l’emozione che lo coglieva sempre al termine di qualcosa che lo aveva compiaciuto e, in qualche modo, anche stimolato.
    Chiudendo gli occhi ed inspirando profondamente, trattenendo poi il fiato per un attimo, la Shinobi annuì più a se stessa che agli altri due presenti. E prendendo in mano un tonico, lo tenne pronto per metterlo in bocca, sicura che le sarebbe presto servito.
    ...Sapeva che quello era probabilmente solo il primo di una serie di passi che l'avrebbero condotta forse un pò troppo lontano rispetto a dove era lecito che qualcuno, con il suo grado e la sua preparazione, potesse dirigersi. Ma avrebbe fatto di tutto per supportare la sua Volpe e, soprattutto, per ottenere ciò che ambiva. E quello che voleva era sempre stato troppo chiaro.
    Posando l'altra mano sul registro pieno di appunti, possibilità ed elaborazioni senza alcun freno, annuì stringendone grettamente la copertina.
    «Avrò delle domande anche io, Shorinku-san.» Fece presente la piccola Principessa, portando i suoi occhi verdi sul biondo. «Ti prego di supportarmi anche in queste.» Aggiunse semplicemente, accennando ad un inchino con la testa.

    Non mentiva.
    Inaspettatamente, e contro ogni piano originale, sembrava infatti che la Chunin avesse deciso di avere qualcosa di personale da chiedere al prigioniero. Di qualsiasi genere fossero le domande che avrebbe fatto ad Eiatsu, comunque, parve volerci pensare con attenzione. Dopo aver effettuato quelle fornite da Raizen, difatti, e averne appreso le risposte, la ragazza si prese qualche minuto di concentrazione prima di cominciare il suo piccolo e rapido susseguirsi di domande. In verità molto poche. E soprattutto, molto specifiche.

    - Tu o Diogenes siete in possesso di conoscenze mediche non convenzionali?
    - Quali sono?
    - Oto possiede abilità mediche o scientifiche non approvate dall’Accademia?
    - Quali sono?
    - Tu o Diogenes conoscete la collocazione, certa o presunta, di laboratori scientifici o covi nascosti?
    - Dove si trovano?
    - Cosa sapete di Orochimaru?
    - Qual è il tuo sapere in merito a tutto ciò che concerne medicina?
    - Quale in merito a scienza e ricerca?
    - Chi ha operato il tuo volto e che conoscenze possiede?
    - Dove posso trovare tecniche proibite di Oto o di altri Villaggi?
    - Cosa contiene il tuo obitorio?


    Quando ebbe terminato, si sarebbe limitata a guardare i due Jonin in silenzio.
    Non avrebbe fornito spiegazioni probabilmente neanche se gliele avessero chieste, limitandosi piuttosto ad inchinarsi leggermente, sorridendo con educazione. Non era tenuta a farlo, non più di quanto entrambi avrebbero dopotutto dovuto farlo con lei, e lo sapevano tutti e tre.
    Ci sarebbe stato il momento, e soprattutto il modo. Ciò che voleva costruire e ottenere richiedeva organizzazione e una buona rete di compagni e alleati. E al punto in cui era arrivata, supponeva di poter cominciare a dare una forma al suo desiderio anche nei confronti di Raizen.
    Del resto non poteva ignorare i Fuuinjutsu su Eiatsu, nè l'operazione che aveva mutato i suoi lineamenti. Aveva riflettuto abbastanza su quei dettagli da cominciare a chiedersi chi si trovasse intorno a Diogenes e soprattutto che genere di abilità avesse.
    ...Ma del resto chi avrebbe potuto dubitare di Shizuka Kobayashi?

    Non esistevano Shinobi più fedeli di lei, a Konoha.
    Desiderava solo entrare in possesso di un potere illimitato e precluso.
    Era sempre stato solo quello, il problema.


    Edited by Arashi Hime - 6/1/2016, 23:09
     
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    Eiatsu non avrebbe risposto a quelle domande,infatti il chakra copioso sarebbe andato ad opporsi all'interrogatorio. Raizen era riuscito ad arrivare dove voleva e ed era ora chiaro all'eliminatore che aveva un modo concreto per indagare sulle risposte più scomode, come se qualcuno dall'interno potesse leggere la verità, o meglio i suoi ricordi.

    Ma il volere dell'otese contava veramente poco in quella circostanza. Resistere all'affiorare dei propri ricordi non era possibile e così Arashi avrebbe infine scoperto che:

    La mente di Hoshikuzu era stata riscritta, sebbene non stravolta. Un intervento lunghissimo ed estenuante nel quale il giovane Sunese aveva rivissuto tutti i suoi ricordi ma modificati in modo che Diogenes risultasse il punto di riferimento, una figura di estrema considerazione e fiducia nelle vita del Sunese. Oltre le tecniche di protezione che i fogliosi erano riusciti ad aggirare, al promettente Jonin era stato inoltre donato un altro regalo: ovvero l'acceso desiderio di diventare Kage del suo villaggio, in maniera tale di assumerne al più presto possibile le redini!

    Questi erano i fatti, le considerazioni in merito alle altre domande ideate dall'Hokage avrebbero potuto farle i fogliosi in gruppo. Che il Mikawa avesse puntato un occhio sulle lande sabbiose a sud era ormai palese, ma cosa voleva dal Sunese con precisione era ignoto anche ad Eiatsu. Dopotutto ad Oto il Colosso non aveva il dominio: c'erano il Nidaime e Febh, per i quali l'adesione ai piani del Garth era tutt'altro che scontata. O no?

    Poi le domande cambiarono, come se fosse stata un'altra persona a formularle. Era fin troppo palese che quei quesiti fossero figli di un'avida mente scientifica: un medico, forse proprio quello che gli aveva fatto tutto quello, che era riuscito a superare le sue difese, voleva saperne di più sulla sua arte. Chiaramente Eiatsu non avrebbe risposto a nulla e il gruppo di ninja avrebbe dovuto salvarlo un'altra volta dal suicidio indotto dal continuo utilizzo di chakra...Ma erano medici quindi, utilizzando i giusti mezzi e aspettando il tempo necessario a stabilizzarlo, lo stupro mentale sarebbe continuato e altre informazioni uscirono dalla mente di quell'inerme ninja:

    Eiatsu sapeva resuscitare i morti, questo era ormai palese a tutti in quella stanza. L'Edo Tensei era un'arte segreta e proibita ma che ogni appassionato di storia ninja poteva conoscere, almeno di fama. La tecnica perfetta, la tecnica senza punti deboli...così aveva detto Orochimaru. Ma se ora il leggendario Sennin era divenuto uno dei cadaveri del Nidaime probabilmente c'era qualcosa di sbagliato nella sua idea di immortalità. La Kobayashi avrebbe visto chiaramente il cadavere animato del ninja che molti anni prima aveva scosso le fondamenta del continente. I suoi obitori nascosti erano sparsi per tutto il territorio di Oto: in primis il Palazzo del Serpente stesso, il laboratorio segreto in cui Diogenes aveva perso la fanciullezza collocato dentro villa Mikawa...ma Eiatsu ne conosceva anche un altro ubicato nei meandri del bosco dei Sussurri e rimasto attivo durante l'egemonia di Kabuto, dell'ex primario di Oto e di Sayaka Okamikumo. Conoscitore di arti scientifiche non canoniche c'era poi Ledah, che per un breve periodo era stato anche a capo dell'ospedale di Oto, ma Eiatsu sapeva solo che il chunin operasse con "tatuaggi" e innesti meccanici. Detto ciò, in confronto a quei luoghi (e a molti altri che in quei ricordi non comparvero) il suo obitorio era poca cosa: una sala operatoria accessoriata, provette di sangue, conserve di organi, antiche pergamene e tanti, tanti cadaveri. Proprio lì era avvenuta l'operazione necessaria a modificare le caratteristiche fisiche del corpo dell'eliminatore. Shizuka avrebbe potuto vedere i volti di Sayaka (che aveva eseguito l'intervento insieme allo stesso evocatore), Yashimata e del foglioso Keita Kitase. Eiatsu di medicina in realtà ben poco, aveva passato la sua vita ad indagare il mondo dei morti, nel conservarli e nell'esaminarli.

    Quanta carne sul fuoco...se la giovane chunin era interessata agli esperimenti di cui Oto era da sempre leader indiscusso, ora aveva sufficienti informazioni per essere motivata a spingersi nei territorio del Riso e indagare di persona su cosa contenessero quelle ampolle, su come erano realizzati quei macchinari e su cosa vi fosse scritto in quelle arcaiche pergamene.

    Anche senza considerare quest'ultimo gruppo di domande, Razien ora era in possesso di informazioni tali da poter mettere ledere non poco la strategia di conquista del suo mentore. Era anche vero che anche il Mikawa sapeva che qualcosa di non convenzionale era accaduto in quei giorni e se avesse dovuto mettere nel mirino Konoha per ottenere il suo Impero, non si sarebbe di certo tirato indietro.
    La data dell'incontro era fissata. L'Hokage si sarebbe presentato nel luogo designato? Ed Eiatsu invece che fine avrebbe fatto?


    CITAZIONE
    OT / Dovrei aver risposto a tutto; se pensate che su qualche domanda manchi adeguata risposta vedrò di editare ;) / OT
     
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    Contraffazione







    Battè le mani spandendo nell’aria un suono fragoroso.

    Eccellente.

    Eccellente un cazzo.

    Aggiunse tra se e se. Quelle informazioni erano preziose ma al contempo pericolose, fin troppo pericolose. Qualsiasi interrogatorio, qualsiasi spiffero che sfuggisse dal cervello di quelle tre persone poteva comportare un disastro, e come se non bastasse la morte dello stesso.
    Sospirò pesantemente.

    Abbiamo tra le mani delle informazioni delicate e dall’alto potenziale esplosivo, sono i preparativi ad una guerra e noi non possiamo permetterci il minimo errore.
    Shizuka, cancella tutti ricordi a Shorinku che riguardano l’interrogatorio, non preoccuparti di trovare situazioni troppo concordanti, conosce il suo lavoro e ciò che questo può comportare, perdere la memoria non sarà uno stress incomprensibile per lui.
    Appena concluso fallo attendere in una sala dell’ospedale, ci servirà un’ultima volta.


    Sorrise allo Yamanaka prima che uscissero.
    Quando i due si chiusero la porta della stanza Raizen la percorse più volte in lungo e in largo, cercando un ordine tra i pensieri mentre li accompagnava col suono ritmico delle scarpe che battevano sul pavimento.

    Che stupido errore.
    Che pessimo, affrettato errore.


    Scuoteva la testa come se stesse rimproverando qualcuno.

    Ma perché questa folle accelerata nei suoi piani?
    Credeva davvero che Hoshi sarebbe stato una pedina così blindata?
    Col carattere che ha poi!


    Continuava a camminare e parlottare tra se e se, pensando a quanto inutili potessero essere i sigilli di controllo imposti a Hoshi considerando il carattere che lo contraddistingueva e soprattutto i ninja di alto livello che lo circondavano.
    Un sensitivo, seppur per caso, quanto tempo avrebbe impiegato a farsi insospettire da quel chakra?
    Quando Shizuka entrò nuovamente Raizen levò il capo, ancora parzialmente annebbiato dai pensieri.

    Shizuka.
    Necessitiamo di un lavoro certosino.
    Innanzitutto la memoria va nuovamente resettata, come al solito fino al momento dell’incidente, per così dire.
    Una volta eseguito, lasciandolo in coma, voglio che simuli un trauma cranico nella nuca, devi rompere qualche osso, so che puoi farlo con la giusta attenzione, una volta fatto in fase di cura sii poco accurata, deve leggersi qualche piccolo segno di una guarigione lenta e sofferta, dopotutto il trauma gli ha fatto perdere la memoria.
    Voglio anche una cartella falsa riguardo il suo caso, riporta che è stata necessaria la rimozione dei sigilli e del genjutsu per valutare lo status di salute del cervello, il cui risultato è stato perdita momentanea della memoria a breve termine, o comunque di quella subitaneamente successiva all’incidente.
    Probabilità di recupero: medie.
    E di tutto questo non si verrà mai a sapere niente.
    Una volta terminato prendi i tuoi ricordi inerenti a questo interrogatorio e rimuovili, tuttavia non voglio farti perdere le lezioni di Shorinku, per cui metti tutto su un rotolo e poi consegnamelo, te lo renderò appena tutto questo terminerà.


    Si sedette aspettando che tutte le operazioni venissero concluse.
     
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    PENDOLUM

    Balance, peace, and joy are the fruit of a successful life. It starts with recognizing your talents and finding ways to serve others by using them.




    «Eccellente un cazzo.»



    Shizuka Kobayashi era sempre stata una ragazza graziosa, e crescendo era diventata una donna attraente.
    Ma dalla lingua biforcuta.
    Come ci si poteva aspettare da una Principessa che sedeva su un trono da centinaia di migliaia di Ryo e più nello specifico dal braccio destro dell’Hokage del suo Villaggio, raramente tratteneva per sé le sue opinioni. Soprattutto se queste serbavavano la maturità di verità troppo grandi per essere semplicemente taciute. Inarcando un sopracciglio la Chunin non esitò infatti a denotare il suo disappunto nel far schioccare la lingua. Le sue carnose labbra rubiconde si piegarono in una smorfia mentre lei alzava una mano per accarezzare il vuoto, gesticolando.
    «Questo va molto oltre quanto chiunque dovrebbe sapere, Raizen. Io non dovrei nemmeno essere qui, te ne rendi conto?» Chiese, guardando il suo interlocutore con un sorriso. «Abbiamo in mano i piani del Signore del Sangue di Otogakure. La matassa di equilibri che potrebbero rovesciare l’Alleanza o addirittura il Continente è nostra, ora. Capirai che questo va oltre un semplice “Eccellente”.» Fece presente. Calcolare percentuali e possibilità, manipolare la realtà, pianificare per ottenere il massimo profitto, erano le sue doti primarie. Ma in quel caso non era necessario impegnarsi tanto per capire che la situazione era piuttosto compromessa. Quella della loro sicurezza, e di Konoha stessa, lo era di certo, almeno. «Mi servirà del tempo per ripulire tutto, stavolta.» Concluse infine, prima che il Kage le ordinasse ciò che aveva già immaginato di dover fare.

    […]



    La mente di Shorinku Yamanaka fu duttile al suo volere come burro nelle mani calde di un bambino.
    Quando la Primario lo fece accomodare in uno degli ambulatori del primo piano dell’Ospedale per attuare su di lui quanto era logico fare per proteggerlo, il Jonin non sembrava temere l’operato a cui stava per abbandonarsi. Ma non si fidava. E Shizuka lo capì con un semplice sguardo.
    «Verrò a trovarti.» Disse la piccola kunoichi, sorridendo rammaricata. Nessun manipolatore poteva fidarsi di un altro, lo comprendeva, ma come sempre quel genere di circostanza la ferì, appianando un muro del suo cuore sempre più protetto. Quante volte si era presentata alla stessa persona? Quante volte aveva dovuto ricominciare da capo sperando in un esito diverso? Le solite domande. Le solite espressioni. Una, due, mille volte. Era l’arte dell’ombra quella, rara persino in un mondo di ninja, e benché supponesse di potersi dunque definire “privilegiata” per potervisi destreggiare, sopportarne il peso era sempre piuttosto complicato. «Spero che quando ci incontreremo di nuovo per la prima volta accetterai di diventare il mio maestro. Ci sono molte cose che sono certa di poter imparare da te, Shorinku-san.» Aggiunse dopo quell’attimo di silenzio, riaprendo lentamente gli occhi e apponendo poi le mani alle tempie del biondo, sorridendo.
    Una decina di minuti dopo usciva dalla camera visite e attirava a sé con un movimento allegro della mano una giovane ragazza dai voluminosi capelli corvini e i grandi occhioni bianchi, la quale si inchinò con rispetto appena le fu di fronte.
    «Semplice stanchezza, come potevamo immaginare da un membro della squadra Sigillatori.» Si limitò a dire, e la Hyuuga annuì. «Sta riposando, ora. Vorrei che rimanesse in osservazione almeno un altro paio di ore, comunque. Quando si sveglia, perciò, sii così gentile da portarlo nel mio ufficio, ci sono delle pratiche che deve in ogni caso compilare prima di andarsene. E’ possibile che ricorderà poco o nulla di cos’è successo, gli svenimenti fanno schifo, lo sai Junko.» Bofonchiò, mettendosi a braccia conserte, e l’altra si mise a ridere, scuotendo la testa. I ritmi in ospedale erano tali che entrambe erano cadute in quella trappola diverse volte, dopotutto. «Lo affido a te. Il suo nome è Shorinku Yamanaka-sama.» E così dicendo si voltò, sbadigliando sonoramente.
    «Avete finito il vostro turno per oggi, Sensei?» Chiese all’improvviso la timida bianca, prendendo al volo la cartella clinica che la Primario le lanciò in braccio.
    «Ovviamente no. Ho idea di aver finito la fortuna, in compenso!» Borbottò per tutta risposta Shizuka, e l’altra scoppiò di nuovo a ridere, scuotendo la testa e imboccando la direzione opposta.

    Purtroppo però non mentiva: a quanto pareva aveva proprio esaurito tutta la fortuna che poteva avere a disposizione, ormai.

    «L’Alleanza rischia di finire in guerra.»
    Quando si richiuse la porta del laboratorio alle spalle la Principessa dei Kobayashi appariva elegante e marmorea come una statua destinata a non incrinarsi mai. Per un attimo infatti, con quel suo sguardo fermo e imperturbabile e i movimenti posati del suo corpo sinuoso, sembrava esser capace di sopportare il peso di centinaia di decisioni e pericoli senza rimanerne schiacciata. «Quelli che abbiamo visto non sono preparativi, Raizen. Sono semi. E possono tutti potenzialmente mettere radici in modo autonomo.» Le possibilità erano ancora abbastanza primitive da non potersi nemmeno definire tali, ma esistevano. E per lei era già abbastanza.
    Chiudendo gli occhi, la donna esitò un attimo sulla maniglia arrugginita di quel luogo dimenticato dagli Dei che lei aveva riscoperto e reso suo, com’era solita fare con tutto ciò che voleva. Perché non c’era niente che non potesse creare, plasmare e dunque ottenere, la Principessa dell’Airone.
    Lei che era Erede della Volontà del Fuoco, e dello stesso ardeva come nessun altro. Lei che si consumava eternamente nella creazione senza fine.
    «Non possiamo permetterci una guerra. Suna verrebbe spazzata via. Il Fuoco si è ripreso da troppo poco tempo, siamo molti, ma non ancora potenti come in passato. E Kiri ha equilibri che sembrano riassestarsi solo ora, non resisterebbe nemmeno una settimana.» Non sapeva se era lei a vedere tutto in modo così pessimistico o se, agli effetti, la situazione fosse davvero così compromessa.
    …Chi aveva deciso che l’Alleanza era la più forte?
    Da quando gli Shinobi del mondo conosciuto, di quella parte considerata “buona” e “giusta” almeno, avevano deciso di essere superiori a qualsiasi organizzazione, complotto o aspirazione “cattiva”?

    Precisamente, da quando si era fossilizzato tutto?

    «Ho già fatto iniziato a fare quello che dici, con chi credi di parlare?» Si limitò a dire la ragazza quando Raizen iniziò a snocciolarle ordini su ordini, e solo a quel punto iniziò ad avanzare verso di lui. Sotto un braccio teneva un raccoglitore di carta senza intestazione, che non esitò a mettere lui in mano. «Ho imparato a falsificare documenti da prima di diventare Genin, grazie a te.» Lo ammonì severamente. In effetti quei due ne avevano combinate di tutti i colori da quando erano molto meno di quello che erano ormai. «Le mie cartelle non hanno mai avuto una pecca. Ma avrò bisogno di tempo per occuparmi di lui.» Mormorò guardando Eiatsu. Chiuse gli occhi, contratta. «Credo che sia giusto occuparci di questa faccenda in modo cauto. Ma nel mio cauto, non nel tuo E così dicendo porse all’Hokage il registro su cui aveva scarabocchiato per tutto il tempo dell’interrogatorio. «Posso pianificare quello che ti – ci– serve…in meno di due giorni.» Fece presente, ragionando rapidamente. «Ma avrò bisogno di aiuto. E sì, toglierò i miei ricordi. E anche i tuoi, se per questo. Quando sarà il momento, ovviamente.» Sorrise, non sembrava un granché intenzionata a trattare. «Non perderò niente di questa esperienza. Questo registro mi basta. Non c’è scritto niente se non appunti e correzioni, ma credi davvero che anche sotto amnesia non mi emozionerei come una bambina auspicando a queste possibilità?» Scoppiò a ridere, quell'idea era abbastanza ridicola da stimolare ironia in chiunque. «Rilassati, grande Hokage. Concludo io.» Come sempre.

    Shizuka Kobayashi non era la shinobi più potente in circolazione. Anzi.
    Piena di carenze. Un tumulto caotico in continua evoluzione. Un vulcano di potenzialità e idee senza forma né sostanza che continuava a crescere, mutare e ingrandirsi senza sosta.
    Avrebbe potuto diventare tutto e niente. In modo quasi offensivo, avrebbe potuto creare e distruggere. Era ancora un’infante in un mondo di Giganti.
    Ma non si era mai tirata indietro.
    Mai.

    «Perdonami, Eiatsu.» Sussurrò Shizuka, abbassandosi sul corpo dell’Otese, che cinse in una sorta di abbraccio mentre portava le sue labbra dipinte di rosso sull’orecchio di lui. Chiuse gli occhi. «Nessun ninja merita ciò che hai subito tu. Ti prego di capire, però: tu agisci con uno scopo e proteggi ciò che reputi essenziale. E anche io.» Accarezzò piano la fronte al suo paziente, con gentilezza, mentre continuava a controllare le sue costanti sui monitor medici che avrebbero poi valutato un trauma cranico, ma senza apprezzabili emorragie letali, quanto piuttosto qualche piccolo ematoma da impatto che probabilmente avrebbe lasciato alcune cicatrizzazioni, ciò che serviva a loro, dunque.
    Era tutto sotto controllo. Ogni variabile era valutata. Avrebbe seguito le indicazioni con scrupolo e accuratezza, senza esagerare, senza sbagliare. Era una perfezionista, una valutatrice, raramente eccedeva laddove non poteva.
    Per chi viveva sul filo del rasoio, del resto, l’equilibrio era importante. E lei ne aveva un controllo perfetto.
    Stringendo la mano a pugno, la kunoichi sorrise, alzando poi il braccio verso l’alto. E la sua dolcezza, adesso, illuminata dalle lampade sconquassate del suo laboratorio molto segreto e molto poco piacevole, avrebbe potuto dare i brividi.
    «Grazie del lavoro svolto.»

    …E abbassò di scatto il braccio sulla nuca.

     
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    RUSE

    Nature hides her secrets because of her essential loftiness, but not by means of ruse.



    Al principio, fu l’errore.

    Non uscì dal suo laboratorio per sette giorni e sette notti.

    Nessuno seppe dove si trovava.

    Fu il caos.



    In ginocchio nel suo laboratorio, con le mani sul pavimento disseminato di fogli, alcuni vecchi e altri nuovi, Shizuka Kobayashi trattenne il fiato. Il suo volto, contratto in un’espressione di rabbia furiosa, frustrazione ed eccitazione, si tese più di quanto già non fosse. La sua fronte imperlata lasciò precipitare a terra una goccia di sudore, che impattò con rumore intollerabile sul pavimento dopo aver roteato nel vuoto per qualche secondo saturo d’attesa, finendo così con il mescolarsi a macchie rubiconde e congestionate di quello che sarebbe forse parso sangue, se non fosse stato tanto sporco e polveroso.
    Non se ne curò.
    Era stanca. Esausta. La sua mente, lo sentiva, sul bilico della follia.
    Non aveva tempo per curarsi di se stessa.

    […]



    Non aveva mai davvero capito cosa stesse studiando.



    Affamata di sapere, accecata dal desiderio di diventare abbastanza potente da rendersi la Difesa Totale della Konoha che desiderava proteggere, la giovane Chunin aveva semplicemente divorato un tomo dopo l’altro nei mesi che si erano susseguiti dal giorno in cui Raizen le aveva concesso il permesso di avvicinarsi alle Arti Proibite del loro Villaggio.
    …Uno dopo l’altro, senza sosta né pietà, aveva letto libri, rotoli, raccoglitori. Aveva imparato a memoria. Ripetuto. Applicato. Sperimentato.
    E così, in meno di tre mesi, aveva imparato a rianimare organi interni in corpi senza vita. A riprodurre tessuti in vitro che erano divenuti arti. A clonare porzioni corporee di quei cadaveri ancora non troppo avvizziti che lei continuava a rubare dall’obitorio ogni qualvolta le veniva comunicata la triste notizia per la quale nessuno avrebbe potuto reclamare un povero deceduto. E che allora era lei a prendere, decidendo che sarebbe stata la scienza la sua giusta bara. L’ultimo grande sacrificio che un vero Shinobi avrebbe dovuto fare per il proprio Villaggio.

    Ben presto comprese che probabilmente si stava spingendo molto oltre quello che qualsiasi altro ninja medico della Foglia avesse mai fatto. Qualsiasi altro.

    Tranne lui.

    Non aveva idea di chi fosse. Del resto i suoi appunti, come anche le recensioni e le osservazioni che forniva, o gli esperimenti sapientemente mirati e soppesati nel corso di mesi e anni di date che risalivano a quasi cento anni prima, non recavano mai una firma. Mai.

    Eppure era un genio.

    Le sue osservazioni superavano quelle di qualsiasi tomo considerato legale, di qualsiasi insegnamento che il più illuminato dei medici poteva impartire. Le annotazioni a lato di ciascuna pagina avrebbero stuzzicato l’eccitazione intellettuale di ogni studioso. Come poteva essere altrimenti? Le sue supposizioni dipingevano un futuro superiore e incredibile in cui non esistevano malattie. Né morte.
    Dove la sofferenza era appannaggio solo di uno stadio successivo. Perfetto.
    Immacolato.

    Molte pagine però erano strappate.

    Dilaniate in raptus tali da scardinare persino le rilegature di quelli che forse, un tempo, erano stati quaderni o registri; tante pagine di quel Giardino del Sapere erano state distrutte. Per sempre.
    Attentato alla Conoscenza. Furto di Intelletto. Omicidio di Menti.
    Ecco come lo aveva chiamato, strillando di una rabbia cieca e sorda.
    …Quale stolto avrebbe mai tentato di distruggere Archivi come quelli? E perché?
    Non avevano capito, forse?!
    Era la genialità, quella.
    E mai come in quel momento si era sentita tanto affine al modo di pensare di uno storico. Finalmente qualcuno che come lei condivideva la sua curiosità, la sua fame di sapere, il suo insaziabile desiderio a migliorare sempre di più…

    Capì la ragione al suo primo esperimento in vitro.
    E quando si rese conto cosa fosse ciò che oscillava nel fluido del cilindro di conservazione del suo laboratorio, non poté fare a meno di sentire tutto il sangue del suo corpo defluire verso i piedi, drenandola di energie, vita e anche di tutto l’entusiasmo che fino ad un istante prima ne aveva ottenebrato la mente resa stolta dalla voglia di sapere.

    Aveva riempito lei i buchi delle pagine di appunti.
    Aveva riscritto lei le porzioni di osservazioni mancanti.
    Aveva sanato lei i calcoli matematici e le misurazioni chimiche cancellate di forza.
    Lei.

    Indietreggiando di un passo, a cui ne seguì un altro, e poi un altro ancora, Shizuka Kobayashi aprì lentamente la bocca nel vuoto. Ma dalle sue labbra schiuse e tremanti non uscì neanche un lamento.
    Nemmeno quando urtò un mobiletto del suo laboratorio, rovesciandolo a terra in un’orchestra di fiale in frantumi, liquidi dall’odore pungente e attrezzi medici di metallo immacolato; la Principessa della Foglia riuscì a fare altro che rimanere con gli occhi immobili sul cilindro di contenimento.
    Le sue mani oscillavano quando si alzarono a stringere con puro terrore il suo viso perfetto. Ma anche in quel momento nessun filo di voce sfuggì dalla sua bocca ricurva.
    Non aveva diritto. Non aveva diritto neanche di pentirsi.
    Non lei.

    […]



    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne marciume.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne abominio. E poi feccia.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne infante. L’infante divenne abominio.
    L’abominio divenne carne purulenta. Marciume.
    Latrati e unghie di corvo su vetri creptati.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne infante. L’infante divenne mostro.
    Il mostro divenne gorgoglii di dolore. Ringhi gutturali. Suoni rigurgitati.
    Piaghe purulente di grumi nodosi e osceni.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne infante. L’infante bambino.
    E poi ragazzo. E poi adulto. E poi vecchio.
    Sciolto su se stesso in un’accelerazione di vita e di morte.
    Spirale di peccato. Croce della presunzione.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Pianse di ciò che aveva fatto.
    “Perdonatemi, Dei” disse la più promettente Medico di Konohagakure no Sato. “Perdonatemi, ho guardato oltre. Oltre ciò che è giusto.”

    Ed era vero. Lo aveva fatto.

    Il cimitero del Villaggio della Foglia non vantò mai tante lapidi di legno prive di nome.
    E mai tanti fiori freschi.


    Non si fermò.




     
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    È colpa tua. Ratty

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    Preludio al Caos
    I
    Ospedale di Konoha


    Il rientro dalla Corte di Kusa non era stato particolarmente movimentato. Febh aveva nuovamente proposto di usare Ssalshape come mezzo di locomozione e dopo poche ore le mura di Konoha erano nuovamente in vista. Devo giusto passare a fare una commissione per il clan e poi me ne torno dritto filato a Oto. Aveva detto, dopo aver passato i controlli (non senza pesanti occhiate supponenti al Guardiano Atasuke) per poi dirigersi verso una delle zone vitali del villaggio, lasciandosi alle spalle sia Raizen che Kiyomi con appena un saluto accennato. Aveva una missione precisa, impostagli dalla vecchia Ogen con una certa urgenza: trovare la giovane Kobayashi (chiunque fosse) e sostanzialmente portarla ad Oto con un campionario per permettere alla capoclan di rifarsi il guardaroba, andato distrutto in uno sfortunato incidente con la vernice rossa ad opera di ignori (entrambi, Febh e Ogen, sapevano che era stato lui a compiere il fattaccio volontariamente come segno di protesta per aver cercato di sedurlo con le moine del Daimyo...ma per amor di tranquillità nessuno dei due aveva mai più anche solo accennato alla faccenda).

    Ospedale. Quel tizio agitato delle poste ha detto che la avrei trovata da queste parti...magari è una simpatica anziana infermiera, dopotutto la vecchia dice che l'ultima volta che ha fatto spese sarà stato una cinquantina di anni fa, se non di più. Guadagnato l'ingresso la prima cosa da fare per trovare il suo bersaglio era andare verso la reception, con una copia della lettera della vecchia (magari la Kobayashi non la aveva mai ricevuta, in fondo), e domandare, col suo solito ammaliante modo di fare. Ehilà, gente! Battè una mano sul bancone, decisamente sguaiato. Allora, come butta qua in ospedale? Feriti gravi? Budella da reinfilare come al solito, eh? Ahahahah. Sapete, saranno una decina d'anni che non metto più piede in ospedale e onestamente non mi mancava per niente. Poi si accigliò. Ah, no, ci sono andato qualche mese fa per parlare con quel beccamorto di Eiatsu. Scosse il capo. Cooomunque. Sapete mica dove trovo una certa Kobayashi che lavora qui? Dovrebbe avere a che fare con quella compagnia commerciale o roba simile. A naso immagino sia una vecchina un pò cadente, ma non so proprio che aspetto potrebbe avere.

    Il problema di fondo era che si era completamente scordato di levarsi la maschera che aveva indossato alla Corte.

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    DUCK AND EAGLE

    Don't quack like a duck, soar like an eagle.




    Kokoro Tabigusa era una bella infermiera di diciotto anni.
    Aveva superato l’esame di abilitazione alla professione appena due settimane prima, e con grandi speranze aveva fatto domanda all’Ospedale di Konoha, dove sognava da sempre di aiutare persone bisognose. Ricordava ancora la grande gioia che aveva provato quando le era stata recapitata la lettera con cui veniva assunta, e quanta emozione nel vedere che era firmata direttamente da Shizuka Kobayashi, la Primario dell’Ospedale…!
    Di quella donna aveva sempre sentito cose splendide. Un genio, sembrava. Così di buon cuore. Una persona tanto modesta nonostante i natali illustri. E altruista. Gentile, misericordiosa, con uno spiccato senso dell’etica e della morale. Un esempio per tutti quanti alla Foglia…!

    «E-emh…»

    Non avrebbe esagerato dicendo che il suo sogno era quello di diventare elegante, raffinata e premurosa come la Principessa dell’Airone. Lei -proprio lei!- che era la perfetta incarnazione di ciò che doveva essere una vera Yamato Nadeshiko.
    La più splendida dei fiori di magnolia.

    «S-s-s-sensei…»

    Ritenne dunque che quella fosse una brutta giornata.
    A tutti capitavano brutte giornate, del resto.
    A tutti.

    «DANNATO VECCHIO, SMETTILA DI MANGIARE SNACK AL WASABI! NON FA BENE AL TUO STOMACO, QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE?!»
      «SE MI TOGLI L’ALCOOL E IL CIBO, COSA MI RESTA SHIZUKA?! EH?!»
    «MA CHISSENEFREGA?! NON SONO LA TUA PSICOLOGA, SONO IL TUO MEDICO CURANTE! NON VOGLIO PIU’ VEDERTI NEL MIO OSPEDALE PER LE TUE COLICHE, MALEDETTO PARASSITA! È QUESTA LA FINE CHE FANNO I JONIN IN PENSIONE, AH?!?!»


    Ferma sull’uscio della sala delle visite, Kokoro Tabigusa si chiese chi fosse la donna che aveva appena battuto in testa ad un attempato uomo di mezza età il suo stesso bastone da passeggio, dopo aver usato lo stesso per lanciare fuori dalla finestra aperta un pacchetto di patatine piccanti.
    Si chiese anche come fosse possibile che l’uomo –un gigante dal ventre prominente e le pasciute gote rosse– pur apparendo ovviamente contrariato da quel trattamento, non osasse ribellarsi. La risposta le arrivò immediatamente quando alla fine, stanco, il grosso ninja si alzò in piedi tuonando un potente: «Io mangio quello che mi pare.»

    Tre secondi dopo qualcosa impattava al suolo.
    E un buco comparve dove il piede della dottoressa sostava.

    «Tu mangi quello che dico io, Saburo.» Sussurrò la donna, che si alzò lentamente dalla sedia. Benché non arrivasse che allo sterno dell’uomo, questo parve impallidire quando il suo sguardo incontrò quello di lei. «Ingoia un’altra schifezza e io ti troverò. Non importa dove sarai: ti prenderò.» Sorrise. «E ti sventrerò.»

    «All’inizio ci rimaniamo tutti male, ma passerà presto, posso garantirtelo.»
    La voce maschile che solleticò le orecchie dell’infermiera arrivò proprio quando la Primario serrava le dita attorno alla gola dell’Akimichi, e non prima di aver dato lui anche due ceffoni che sarebbero echeggiati come tuoni all’interno dei corridoi dell’ospedale. Accanto a lei un alto e snello ragazzo dai capelli biondi e lo sguardo accigliato che sembrava prendere per il culo tutto il creato, sorrise ironico.
    «Sei quella nuova, eh?» La povera Kokoro di belle speranze annuì. «Tranquilla, adesso te la porto via.» E così dicendo si piantò due dita in bocca, fischiando. Non ebbe nemmeno il tempo di allontanare la mano dal viso che un registro dalla copertina in cuoio lo colpì dritto in fronte.
    «SMETTILA DI FARE CASINO ATSUSHI! TI SEMBRA IL CASO DI FISCHIARE IN OSPEDALE?!»
    «M-m-ma…»
    Balbettò Kokoro dal cuore infranto, sgranando gli occhi.
    «Doc, urli così forte che quelli del reparto di otorinolaringoiatria hanno riacquistato l’udito...» Mormorò in modo indolente il biondo, massaggiandosi la fronte. Era così tranquillo che dava la preoccupante idea di essere quasi abituato a quel trattamento. «Comunque, c’è un uomo che chiede di te all’entrata.»
    Per qualche ragione quell’affermazione bastò per frenare la Primario dal riprendere a tambureggiare il viso del povero Jonin, che massaggiandosi il collo con le lacrime agli occhi gemette con vocina strozzata. Sembrava dicesse qualcosa in merito all’iniziare una dieta.
    «È giovane?» Chiese gentilmente la donna, continuando a dare le spalle all’interlocutore.
    «Sì.»
    «È bello?»
    Domandò ancora, sciogliendosi i capelli dalla crocchia che li imprigionava e lasciando che questi ondeggiassero in ampie volute dietro la sua schiena.
    «Boh, così pare.»
    «…Quindi è l’uomo della mia vita?»
    Cinguettò la fanciulla, girandosi con un grande, affascinante e affabile sorriso verso il medico del corpo nin di pronto intervento. Ma questo, dopo essere rimasto a guardarla fissamente, inarcò un sopracciglio.
    «A-ah…la tua famiglia ha ricominciato con la storia del matrimonio, eh?» La Primario non rispose. «Deve essere dura avere ventuno anni ed essere zitella.» Una mano si alzò. Non era quella di lui. «È il destino delle Primario di Konoha, pare. Tutte di piacente aspetto, ma pure con problemi ad accasarsi ed un carattere davvero di mer–…»

    Sarebbe stato il suo secondo dente di porcellana.

    […]


    «I-i-io non parlerei così se fossi in voi…» Era indietreggiata appena l’aveva visto entrare. E si era nascosta sotto il bancone della reception appena lo aveva sentito parlare. «…n-non siete di Konoha, vero?»

    Ovviamente non lo era.
    Nessuno a Konoha andava in giro conciato in quel modo. E non parlava della maschera, purtroppo (forse la cosa più normale di quel tipo).
    Era chiaramente uno straniero. E probabilmente nemmeno tutto sano, se veniva nell’Ospedale del Fuoco dicendo stramberie sulla Principessa dell’Airone.
    Eppure…
    …c’era qualcosa di vivo, negli occhi di lui. In quelle due gemme preziose color della notte.
    Il suo volto era bello come quello di un sofista del passato, protagonista dei suoi amati racconti storici nella Biblioteca Centrale…e nemmeno la maschera ninja che egli indossava, che anzi dava lui un carisma misterioso tutto da scoprire, poteva togliere dalla mente della giovane infermiera la certezza che quell’uomo fosse speciale.

    Lo era. Lo sentiva.
    Sentiva che quell’uomo ne aveva bisogno.

    Aveva bisogno di aiuto.

    […]


    «È un tipo strano, eh?» Un ticchettio regolare scandiva un incedere rapido.
    «Shizuka…quando mai ti cerca gente normale?» Qualcuno rise sarcasticamente.
    «Gli Dei possano sollevarmi da questo destino…» Qualcun altro sospirò.
    «No, no, ferma!» Una voce si alzò, sorpresa. «Ma dove vai? Di qua! Ho detto alla reception!»

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    Un’esitazione.

    «Dove?»

    Una figura femminile che si fermava nel corridoio successivo a quello che si affacciava sull’atrio dell’Ospedale, voltandosi.

    «Qui.» Insistette una voce maschile. «Eccolo.» Un tipo biondo che alzava maleducatamente un dito e lo puntava su un giovane uomo che, piegato sul bancone della reception, probabilmente era intento a fissare una ragazzina dai capelli rossi e grandi occhiali tondi sul naso, che inginocchiata per terra teneva i suoi occhioni sognanti su di lui, dal basso. «Di qua, Shizuka!»

    Il passo deciso e sicuro di sé fu solo l’anticamera della figura che fece capolino un istante dopo da dietro l’angolo su cui il medico dalla faccia di bronzo si trovava.
    Lunghissimi capelli lisci e castani, un volto dalla bellezza antica e profondi occhi verdi che parlavano di una personalità forte e indomabile come la Tempesta che aveva ispirato il vezzeggiativo di chi li possedeva.

    «Grazie Atsushi.»

    Il fisico morbido e dalle forme generose proruppe nella visuale dello straniero. Impossibile il contrario, anche con il camice bianco addosso, la maglia morbida sulle spalle e i pantaloni di cotone leggero, c'era molto spazio per l'immaginazione.

    «Buongiorno.»

    Non era molto alta. E non poteva avere più di vent’anni.

    «Il mio nome è Shizuka Kobayashi, Primario di questo Ospedale.»

    Per qualche ragione aveva in mano un bastone dal pomello d’argento.
    Il pomello era a forma di testa d’anatra. Ed era ammaccato.

    «A chi devo l’onore…?»

    Sembrava una creatura disponibile e gentile. Ma il suo carattere fu evidente nel momento stesso in cui inarcò un sopracciglio e sorrise.
    Si sarebbe potuta forse dire addirittura affascinante… se la prima impressione non fosse stata quella di una donna piuttosto difficile da gestire.

    «Mi rendo conto che abbiate bisogno di aiuto, ma se cercate uno psichiatra, mi dispiace, non sono io che dovete richiedere.»

    Questo fu il primo incontro tra Shizuka e Febh.
    Molti raccontarono che quel giorno qualcosa, nel tessuto del creato, si ruppe.

     
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    Ospedale di Konoha


    Era realmente tantissimo tempo che non metteva piede in un ospedale, esclusa qualche visita ufficiale legata al suo ruolo di Amministratore, e certamente non ricordava la sensazione di attesa che si provava nel lasciare il proprio nome, chiedere qualcosa cortesemente a un perfetto sconosciuto ed attendere che questi trovasse il tempo e le opportunità per risolvere i propri problemi.
    Ma ora che lo aveva ricordato, aveva anche ricordato che aspettare era una delle cose più odiose che riuscisse ad immaginare. Ehi, ti senti mica poco bene? La tizia alla reception era arrossita e si era tirata indietro, finendo per inginocchiarsi e guardarlo dal basso, oltre il bancone. Comunque certo che non sono di Konoha. Ho stile, io! Disse con uno schiocco di dita, ancora del tutto inconsapevole di avere un becco finto addosso. E tu sei piuttosto strana...da noi le infermiere non hanno le gambe tanto cedevoli. Sbuffò. A dirla tutta ci vuole parecchio impegno a buttarle giù, persino per me. Dopotutto erano perlopiù abominii, a volte non propriamente vivi, cammuffati da infermiera. E comunque ti ho visto armeggiare con l'interfono e qui non arriva ancora nessuno...dici che devo aspettare molto? Da profondo cultore della psiche femminile ed esperto del comportamento del gentil sesso, non aveva minimamente compreso l'effetto che aveva scatenato in quella povera disgraziata autolesionista. Io non è che abbia molto tempo da perdere, e non vorrei mica mettermi a cercarla da solo...gli edifici non sembrano mai progettati in maniera sufficientemente robusta. Commentò quasi sovrappensiero e con assoluta innocenza, quella non voleva essere una minaccia ma solo una constatazione, anche se probabilmente sarebbe suonata molto diversamente ad orecchie poco allenate.

    Uuuh, caramelle e post-it! Posso prenderne un paio? Per guardare la sua interlocutrice si era sporto oltre il bancone, e dato che non le stava pretsando poi tanta attenzione gli era caduto l'occhio sulla postazione di lei dove campeggiavano diverse matite, un cestellino di caramelle all'anice ed un blocchetto giallo per prendere appunti, proprio accanto al telefono. Spinto dalla sua vena cleptomane stava per saccheggiare l'ospedale di quei piccoli tesori inutili quando sentì dei passi in avvicinamento, che catalizzarono il suo interesse. Uh? Ed eccola comparire. Bella, elegante nonostante indossasse un semplice camice da lavoro...quel genere di eleganza che certe persone possiederebbero anche con indosso una busta dell'immondezza stracciata, e poi quei capelli morbidi e gli occhi di un verde che prometteva misteri e segrete ricompense. Questo almeno agli occhi di una persona normale...purtroppo lei si stava avvicinando ad un cretino con un becco finto.

    Oh...ehm... Aveva un bastone e l'aria di chi è abituato a comandare, e parlò per prima, presentandosi con un tono professionale che avrebbe fatto raddrizzare più di una schiena. Kobayashi? Quel cognome nello specifico accese più di una lampadina nella stanza sbagliata, perchè una tremenda catena di ragionamento portò lo Yakushi a comprendere che aveva davanti esattamente la persona che cercava...e che probabilmente la vecchia Ogen aveva solo sbagliato il nome della sua vecchia amica. Il pensiero di una parentela non lo sfiorò nemmeno per sbaglio. Sarebbe stato ancora un pò intimidito se solo quella non avesse spezzato la sua aura da dama abbandonandosi a quella che certamente era una battuta infelice per chi pensava di essere là per motivi seri (e non era in grado di capire di essere vestito da idiota). Inizialmente Febh tacque, aggrottando appena le sopracciglia e fissandola per un lungo momento, quasi a memorizzare la sua intera figura ed assorbirne ogni aspetto. In realtà stava solo decidendo se prima presentarsi, se riferire il suo messaggio o se, da esperto della natura femminile, prima sciogliere un pò il ghiaccio con dei complimenti ad hoc, verso i quali nessuna donna può mai resistere.

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    Optò per la terza opzione.
    Va detto che la sua profonda conoscenza della natura femminile consisteva nella raccolta di due di picche più impressionante che la memoria d'uomo avesse mai registrato.

    Certo che te li porti bene gli anni che hai, compimenti! Mai vista una vegliarda tanto tonica! Annunciò entusiasta, tendendo una mano col pollice alzato in segno di approvazione. Ero convinto fossi un'inserviente attempata ma invece sei il Primario. Si vede che gli anni di esperienza pagano! Annuì con un sorriso rilassato. Ad ogni modo...sono le... Si guardò il polso destro, ma non possedeva un orologio nè lo aveva mai posseduto, quindi si guardò intorno un pò spaesato fino ad individuarne uno sul muro. Ah, ecco. Non era bravissimo a leggere le lancette quando non era concentrato quindi dopo un lunghissimo secondo di silenzio in cui si stava palemente sforzando di capire quale fosse l'ora tornò alla donna come se nulla fosse. A ben pensarci non è importante. Diciamo che hai venti minuti per preparare il campionario, poi sarà anche ora di andare, la Vecchia si sta un pò stufando.

    E quindi a braccia conserte rimase a guadarla con un certo atteggiamento di cortese attesa. Solo dopo un poco realizzò che magari non si era presentato e forse la tizia là davanti poteva non avere idea di cosa lui stesse parlando. Uhm...Oh! Non mi sono presentato, giusto! Battè un pugno sul palmo della mano aperta. Mi manda Ogen Yakushi, che dovrebbe averti mandato una lettera qualcosa come un mesetto fa dicendoti che doveva fare acquisti importanti e si fidava solo di un membro della famiglia come rappresentante, anche alla luce dei vecchi trascorsi. Probabilmente vi avrà pagato una fortuna un centinaio di anni fa, se la conosco. Ad ogni modo, il suo guardaroba ha avuto uno spiacevole incidente e vorrebbe rinnovare il tutto. Solo che non ha avuto risposta e non è una donna che ama ripetersi...quindi dato che sono venuto a vendere un paio di litri di veleno per interrogatori a quel pivello di Raizen, la vecchia mi ha detto di passare a prenderti e portarti a Oto, che le celebrazioni estive si avvicinano e le serve assolutamente qualcosa da mettersi.

    Quanto a me... Con una mossa estremamente teatrale si sistemò gli occhiali (finti e privi di lenti, per inciso) e nel farlo realizzò finalmente che quella cosa arancione nel suo campo visivo era il becco...e facendo finta di nulla se lo levò dimostrando un perfetto self-control nel non arrossire come il povero demente che era. ...io sono Febh Yakushi, Jonin di Oto ed Amministratore del Suono. Conquistatore di Goro-Ho, Investigatore dell'Albero Bianco, Maestro imbottigliatore di Morte...e per voi di Konoha sono anche il poveraccio che ha dovuto addestrare quel grosso bue che vi ritrovate come Hokage. Gettò via il becco con noncuranza, quasi volesse assolutamente fingere di non averlo mai avuto...e nel farlo continuò a tenere gli occhi piantati in quelli della splendida principessa di Konoha.Il tempo corre, comunque. Meglio che inizi a prepararti per il viaggio.

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    Si, stava volutamente ignorando la faccenda della maschera.
     
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    KONOHA HOSPITAL

    The very first requirement in a hospital is professionalism.




    Aveva sempre saputo che lavorare in ospedale era un incarico difficile e faticoso. Soprattutto faticoso.
    Era necessario molto auto-controllo…che lei non aveva.

    Era per questo che era diventata infermiera.
    Per imparare a correggere quel suo difetto.

    Capì che aveva fallito nell'intento quando udì quella domanda…
    …l’unica domanda che non pensava davvero di poter sentir uscire dalla bocca di un uomo tanto affascinante.

    “Dici che devo aspettare ancora molto?”



    In un attimo, la donna sentì tutto il sangue del suo corpo defluire al viso. E lei, accaldandosi, aprì la bocca, disperata.
    Oh no…stava davvero succedendo?!
    «I-io…non penso che sia giusto…» Gemette, stringendo le dita attorno al bancone sotto al quale si era rintanata. Batté le ginocchia le une contro le altre, tremando. «…n-non che io non v-voglia, ma…» Balbettò portandosi a quel punto le mani al petto. Evidentemente lo fece così forte che due bottoni della camicetta saltarono via. «…c-c-credo che dovremmo controllarci, almeno in pubb–…»

    “Io non è che abbia molto tempo da perdere.”



    C-cosa…?
    Cosa aveva appena detto quell’uomo dagli occhi profondi e dallo sguardo affascinante…?
    Non aveva tempo...da perdere?
    Stava forse dicendo che intendeva investire il suo tempo...su di lei?

    Oh no.
    Cosa poteva fare?!
    N-non poteva crederci!

    Portandosi le mani al viso, rosso acceso, la ragazza sentì qualcosa dentro di lei che si spaccava…e improvvisamente seppe. Seppe che non poteva opporsi. Che non avrebbe resistito oltre.
    Non poteva negare ciò che provava.

    Se lui la voleva, l’avrebbe avuta.

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    E così, quando la mano dell'uomo affascinante e misterioso scattò in avanti, abbassandosi verso il bancone sotto al quale lei ansimava in preda a sentimenti contesi tra colpa, eccitazione e desiderio, esitando per un attimo sulla ciotola delle caramelle, chiaramente un gesto per punirla di averlo fatto attendere tanto –inducendola così a credere che non l’avrebbe presa, o forse, al contrario, suggerendo possibili e stimolanti usi di quelle delizie su di lei–…la ragazza seppe che era giunto il momento.

    «E SIA! PRENDETEMI ALLORA! PRENDETEMI ADESSO!»

    E balzando in piedi si portò le mani a quello che rimaneva della sua camicetta, poi, senza esitazione, con un gemito di supplica che stava nascendole in gola, tentò di afferrare la mano dell’amministratore di Oto per condurla proprio sul suo molto scoperto decol–…

    «Chi diavolo ha messo la ninfomane alla reception?»



    A prescindere da come fosse andata la faccenda, l’ultima cosa che l'infermiera avrebbe ricordato era la voce di quella Dominatrix della sua datrice di lavoro…ah come le piaceva il suono sordo dei suoi eccitanti stivali di cuoio spesso che ticchettavano sul pavimento… quanto avrebbe voluto poter-…

    «Sedatela.»



    Non aveva nessun rimpianto.

    [...]



    Febh Yakushi (che poi, perché Oto doveva avere sempre questi nomi esotici?) non era proprio come se lo era immaginato.
    A prima vista sembrava un ragazzo di bell’aspetto... ma la “prima vista” con uno Yakushi era sempre un azzardo poco raccomandabile: se era infatti pur vero che appariva come un venticinquenne, poteva avere almeno cinque volte quell’età… e se era pur vero che appariva di bell’aspetto, il cervello non sembrava funzionargli molto bene. Come a tutti quelli di Oto, insomma.

    …E quel pensiero fu lo stesso, condiviso, che passò nella mente di tutti i presenti nella Grand Hall dell’Ospedale di Konohagakure no Sato quando una sola frase uscì di bocca al visitatore.
    Quella era l’unica cosa che non andava detta. Non a Shizuka Kobayashi. E non nel consueto periodo del mese in cui la sua famiglia faceva pressioni per vederla accasata.
    Era un errore da dilettanti, certo. Ma un errore fatale.

    “Certo che te li porti bene gli anni che hai, complimenti! Mai vista una vegliarda tanto tonica!”

    Silenzio.
    Nessuno si mosse.

    “Ero convinto fossi un’inserviente attempata, ma invece sei la Primario. Si vede che gli anni di esperienza pagano!”

    Sorridendo, Atsushi Kagure –rispettosamente fermo due passi dietro la schiena del suo Capo– annuì con cortesia dinanzi quelle che considerava sagge considerazioni. Con molta commozione guardò lo sconosciuto ragazzo moro, cui si inchinò brevemente, dopodiché però si voltò e a passo rapido e incalzante si diresse ad uno dei tavoli d’attesa della Sala. Con un gesto veloce della mano gettò a terra tutte le riviste mondane che vi si trovavano sopra, e sotto a quella pioggia di “Vanity Konoha”, “Kunoichi Moderna” e “Novella Infuocata”, capovolse il suddetto tavolo, dietro al quale si accovacciò, con le ginocchia strette al petto.
    Per qualche preoccupante ragioni molti imitarono il gesto, chi allontanandosi in un raggio di dieci metri, e chi uscendo proprio dalla Sala.

    Shizuka Kobayashi, invece, rimase immobile.
    Ferma di fronte a Febh Yakushi, la donna, dopo un primo momento di apparente esitazione, sorrise… ed era assolutamente bellissima, in quel momento. Dolce come una Dea misericordiosa e pia.
    Ma veloce come una donna. Una donna molto irritata e molto poco divina.

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    Alzando di scatto il bastone che teneva in mano, infatti, la Primario avrebbe tentato di battere il becco dell’anatra d’argento che troneggiava sul pomello sul cucuzzolo della testa del Jonin, evidentemente ignorando il fatto che questi –solo per il fatto di essere Amministratore– aveva abilità di certo superiori alle sue. I suoi occhi verdi saettarono, lampeggiando, e qualcuno disse in un secondo momento che in quelle iridi aveva potuto scorgere (seppur da distanza) un chiaro messaggio di morte.
    «Silenzio.» Ordinò, fulminea. Incredibile come avesse già eliminato ogni formalità. «Ho solo ventuno anni: sono ancora nel fiore della giovinezza. Non voglio sentirmi dare della “vegliarda” proprio da uno Yakushi.» Abbaiò, ferocemente. Per qualche ragione sentì una strana sensazione gravarle sul groppone, mentre la sua mente veniva affollata dall’ultima parola, una premonizione quasi, che sua madre le aveva urlato dietro quella mattina. Iniziava con la “Z” e finiva con la “A”, ma non era “Zucchina” dello sformato che le sarebbe piaciuto mangiare per cena… «Strano che tu non abbia imparato a rivolgerti alle donne in tutti i tuoi anni di apprendistato, Yakushi.» Osservò la dottoressa, mettendosi a quel punto a braccia conserte dopo essersi scostata con un gesto teatrale una ciocca di lunghi capelli castani dalla spalla. Alzò il mento in direzione dell’uomo, reclinando leggermente la testa di lato per poi sorridere sardonica. «…Ooooh, forse non hai mai avuto modo di scendere a patti con il gentil sesso, eh?» Stilettò dunque, impietosa. «A-ah…Brucia, eh? BRUCIA?» Ringhiò allora con orgoglio. E fu molto evidente, arrivati a quel punto, che quello era un confronto della peggior specie: due cretini che parlavano di nulla e pergiunta si offendevano da soli.
    [...] Viste le rispettive cariche di ciascuno, forse era arrivato il momento di chiedersi che diavolo stavano facendo i Kage dei Villaggi Accademici.

    Nonostante il primo incontro non fosse (forse) andato per il meglio (nonostante risultasse evidente una sorta di preoccupante affinità mentale orientata all'incomprensione e la stramberia), era chiaro che l’Amministratore di Oto non poteva essere cacciato ed era altrettanto chiaro che Shizuka avrebbe dovuto ascoltarlo. Cosa che fece con una certa perplessità nello sguardo.
    «Lettera?» Chiese infatti, dubbiosa. Esitò un instante, e alla fine parve realizzare. «Ah, ma certo, la missiva consegnata da quello strano fattorino… spero che i barbiturici che abbiamo somministrato lui per il suo problema di schizofrenia lo abbiano aiutato!» Esclamò con dolcezza la medico, congiungendo le mani in grembo. «In ogni caso, in merito a questa faccenda… temo che ci sia un equivoco: Mihoko Kobayashi –la destinataria della lettera in questione– è mia nonna paterna. Io sono Shizuka Kobayashi, sua nipote, unica Erede della Dinastia dell’Airone. La persona che volete, dunque, non sono io.» Osservò. Ricordare il testo della lettera la fece sorridere, costringendola a portare una mano di fronte alla bocca per nascondere il divertimento che poteva nascere in seno a chiunque nel capire quanto gli anni passassero lenti agli occhi di uomini immortali. «Non pensavo che un membro degli Yakushi sarebbe venuto personalmente, ad essere onesta. Avevo già avuto modo di parlare a mia nonna dell’accaduto e avevamo concordato insieme che–…» Ma a quel punto parve ricordarsi che si trovava nella Hall del suo Ospedale, e non nel suo ufficio. Visto e considerato che trovarsi nella più famosa struttura medica del continente non avrebbe già di per sé dovuto contemplare la presenza di ninfomani, schizofrenici, recidivi e corrotti, era meglio condurre l’Amministratore di Oto in un luogo un poco più “adeguato”. E offrire lui anche del tè, magari. Del resto le apparenze valevano molto nel rapporto tra Villaggi: se per prima non attuava quella verità, era inutile che insistesse a insegnarla a…
    «…quel grosso bue che mi ritrovo per Hokage.» Il sorriso di Shizuka Kobayashi si allargò nel ripetere quelle parole. Tanto da sembrare un girasole di fronte ai cocenti raggi estivi. «Vogliamo spostarci nel mio ufficio? Sarà questione di un attimo: invierò delle missive per le carovane di tessuti del mio Clan e preparerò le mie cose come rappresentante di Prima Linea dello stesso.» Propose, improvvisamente conciliante. «Credo che ci siano molte cose di cui possiamo parlare.» Fece presente. Era piuttosto curiosa la faccenda per la quale quell’uomo era il maestro del suo attuale maestro: se tanto le dava tanto, ora si spiegava molte cose. «In ogni caso non è possibile che io sia pronta in venti minuti.» Stroncò subito dopo, severamente. «Sarà mio piacere seguirti, ma dopo aver effettuato i doverosi preparativi e ovviamente dopo aver rispettato un po' di etichetta: non è di sempre ricevere la visita dell'Amministratore di Oto, messo speciale degli Yakushi. Nel rispetto tuo e del tuo Clan, è giusto che tutto sia perfetto.» Appuntò, stavolta con voce più gentile. Un po' perché iniziava a sentire gli sguardi della gente che le perforavano sulla schiena, un po' perché rammentò quello che Raizen le aveva detto l'ultima volta in merito all'educazione con i pezzi grossi del continente, e la minaccia che era seguita a quell'affermazione conteneva troppo spesso "prigioni" e "topi", tutto nella stessa frase. «Ci sono cose che devo sistemare, sono certa che capirai.»

    Una di queste, per esempio, era portarlo nell’ala opposta dell’Ospedale rispetto a quella dove si trovava il suo laboratorio. All’interno del quale Eiatsu Nai ancora dormiva un sonno indotto.

     
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    III
    Ospedale di Konoha


    Chino in avanti per prendere caramelle e post-it come il più pezzente tra gli accattoni, Febh si ritrovò in una frazione di secondo con la mano che stringeva qualcosa che decisamente non erano caramelle, ed anzi dalla consistenza ricordava parecchio di più un seno discretamente tornito, scaraventatogli addosso dall'infermiera travolta dalle passioni. Eeeeeh? Mentre una nube di vapore da svariati litri si levava nell'aria, lo Yakushi rimase completamente paralizzato, registrando appena l'intervento degli infermieri che trascinavano via la ninfomane...e fu solo il progressivo rumore dei tacchi in avvicinamento a riportarlo, almeno in parte, alla realtà.

    Questo quantomeno finchè non se ne uscì con quelli che a suo dire erano complimenti, finendo per trovarsi di fronte alla fredda furia di una donna. Era esattamente quel genere di sensazione che riusciva a bloccarlo, facendo leva sul suo innato zerbinismo che lo aveva visto strisciare miserabilmente senza alcuna ragione valida davanti a donne di polso che pure erano più deboli di lui su un piano prettamente fisico o persino politico. Eppure proprio come aveva strisciato davanti alla procace Nikaido o si era annichilito davanti all'autoritaria Ogen, ora stava quasi per cedere e farsi piccolo e miserabile davanti a Shizuka Kobayashi ed al suo sguardo assassino...almeno finchè lei non gli piantò il suo bastone sulla fronte con tanta forza da crepare il muro di un palazzo [Ferita]Ferita Leggera (Resistenza Nera+3 contro Forza Viola), anche se non tanto da creare più che un bernoccolo sulla zucca dell'Amministratore di Oto!

    La botta lo rimise rapidamente in carreggiata: la violenza era qualcosa che capiva in maniera molto più diretta e semplice dello sguardo adirato di una donna abituata a comandare. Poteva tollerare facilmente la punizione (al clan Yakushi le sale delle torture erano praticamente palestre) ma non l'aspettativa della stessa...una differenza sottile ma che chiariva tutto: lui era forte e sapeva di esserlo, e quando dalla minaccia potenziale si passava ai fatti, in linea di massima la soggezione andava completamente via, come quando aveva deciso di sfidare Nikaido e si era trovato capace di bloccarla sul posto con una mano sola o come quando aveva sfidato Ogen per avere un minimo di rispetto in più ed erano arrivati ad un pareggio (più o meno). Adesso che il primario di Konoha gli aveva spezzato un bastone sul cranio lui la aveva istintivamente levata dal piedistallo in cui metteva inconsciamente tutte le donne come lei, e poteva relazionarcisi nuovamente!

    Una volta uno psichiatra di passaggio provò a parlare con Febh di questi suoi strani processi mentali (era stato chiamato da Ogen per convincere il Jonin a diventare Kokage) ed avevano parlato per diversi giorni. Al momento il dottor Freudmaru, originario di Tetsu, è convinto di essere la reincarnazione del leggendario Juubi e vive nelle fogne di Oto collezionando teschi di ratto. Febh continua a dire, quando l'argomento viene tirato fuori, che non vede differenze significative tra il comportamento del dottore prima e dopo i colloqui. Al che molti annuiscono, sorridono e se ne vanno.
    In fretta.

    Digressioni a parte, anche se uno Yakushi sopporta ben di peggio, il nostro mentecatto aveva la lieve tendenza ad ingigantire le cose e quindi si esibì in un urlo di dolore assolutamente fedele a quanto ci si aspettava! AHIO!!!! Ma che sei matta? Cioè, a quel che ci si aspettava da qualcuno che non stramazzasse a terra morto dopo una botta del genere, che tuttavia non gli aveva nemmeno fatto piegare le ginocchia. Quella però gli intimò il silenzio, ed un nuovo breve istante di Zerbinosi si fece avanti mentre lei per qualche motivo annunciava di avere ventuno anni...e poi andò a conficcare uno spiedo rovente proprio là dove fa male, denigrando il poveraccio per le sue evidenti mancanze...solo che ormai lo aveva colpito, e quindi lui era più che libero di rispondere a tono, imporporandosi (per l'imbarazzo, non certo per collera) mentre batteva un piede a terra e sollevava l'indice, quasi stesse facendo chissà quale ramazina. Cos...EHI! Innanzitutto io di anni ne ho ventisei, e chiunque sia amica della vecchia Ogen può anche dire di avere quindici anni, ma sappiamo che non può essere altro che una tardona! Poi puntò la mano con due dita alzate, noncurante di aver appena pronunciato una frase che avrebbe potuto causare la morte di qualcuno. In SECONDO luogo, uno va a fare i complimenti ad una che ha un corpo da urlo nonostante sia attempata e questa va anche a picchiarlo! Ma pensa te che razza di gente gira per Konoha! Quindi mise su tre dita alzate. E TERZO, io con le donne ci so fare un sacco! Un sacchissimo! Mai avuto un giorno della mia vita senza donne! Venne interrotto dalle risate isteriche di una donna dai capelli rasati che lo indicava mentre si rotolava a terra, sganasciandosi dalle risate.

    Febh la guardò con una strana espressione, non tanto ferita quanto piuttosto a metà tra sorpresa e rassegnazione. Oh...di nuovo... Sussurrò appena mentre due infermieri accorrevano, nonostante i pericoli, per raccogliere quella paziente che era scappata dall'ala psichiatrica e che ovviamente non aveva riso dell'affermazione dell'Amministratore ma era semplicemente pazza. Certamente. Semplice coincidenza...che comunque contribuì a smorzare i toni fino a raggiungere un discorso un pelo più sensato, con lo Yakushi che specificava il limite di tempo e citava la lettera, solo per trovarsi di fronte ad un preciso chiarimento dell'equivoco! Quella Kobayashi NON era la Mihoko della lettera!

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    L'evidente illuminazione sul viso di Febh non ebbe un seguito in scuse o battute legate al più che evidente fraintendimento. Anzi, quel disgraziato fece del suo meglio per ignorare l'intera questione, fingendo di aver capito tutto alla perfezione sin dall'inizio. Era un vero esperto in quel particolare settore, tanto che cancellò rapidamente l'epifania sul suo volto sostituendola con un'espressione corrucciata/attenta, annuendo di quando in quando. Quella continuò a spiegare qualcosa, salvo poi interrompersi e decidere di spostare la conversazione altrove. Beh, non è che abbiamo molto tempo, ma suppongo si possa anche fare. Avrebbe commentato facendo spallucce, nel farsi condurre fino all'ufficio di lei, dove prese posto alla meglio dove gli venne indicato...ovviamente sedendosi come il peggior teppista di strada (nel suo ufficio LUI aveva un'amaca sulla quale passava il 90% del tempo) mentre lei offriva del thè. Se Shizuka Kobayashi pensava di dover seguire una qualche regola formale con quel povero cretino di Febh Yakushi stava prendendo una delle più grandi cantonate del secolo: Febh era formale solo se la cosa gli conveniva o se era particolarmente motivato.

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    Soppesò la tazza, aspettando a bere fino a che non si fosse freddato un poco (già una volta in passato si era ustionato malamente bevendolo tutto d'un botto...era anche vero che in quell'occasione era convinto di essere entrato in un bordello e invece aveva sbagliato edificio, finendo nella sala da the là accanto). Ecco, riguardo quella questione dei venti minuti...diciamo che posso anche tirare a un'ora. Massimo due, ma devo decisamente organizzare il rientro oggi, e tu dovrai venire con me, con il campionario o almeno qualcosa che ci somigli. Spiegò con un sorriso imbarazzato. In realtà sono arrivato tre giorni fa ma c'è stato qualche contrattempo quindi mi sono trovato a sistemare la cosa all'ultimo...quindi nella peggiore delle ipotesi devo comunque portarti a Oto anche senza nulla, e aspettare che arrivi il resto dopo.

    L'etichetta poi penso possiamo anche lasciarla da parte.
    Aggiunse facendo un cenno con la mano come a disperdere del fumo. Dopotutto sono già passato dal quel beota e lo ho persino portato in gita assieme a Kiyomi quindi tutte queste manfrine non servono. E poi di solito non ci bado a prescindere! E qui sta anche il motivo della mia fretta, diciamo...te la faccio breve! Secondo le analisi di un profeta cieco di Suna morto suicida nei mesi scorsi, quando Febh Yakushi pronunciava queste parole il rischio di fraintendimenti legati ai suoi riassunti aumentava del 700% e la quantità di caos nel mondo cresceva di svariati punti percentuale. Ho sbagliato un pò le dosi e preparato un pò troppo veleno per interrogatori, quindi ho pensato che visto che il demente sta sempre a fare mille domande a tutti senza rendersi conto di quanto è noioso gliene ho portato un pò da vendere. Ogen come lo ha saputo si è raccomandata di venire anche a prendere qualcuno dei Kobayashi per i suoi vestiti. Arrivato qui però, dopo un mezzo litigio con quell'Atasuke con la scopa nel didietro sono arrivato dal vostro boss, che però prima di parlare di affari mi ha fatto acconsentire al trasferimento di quella povera ragazza dal cuore spezzato, Kiyomi...è stata lasciata da un mezzo farabutto Otese, Devecoso, e ora ha voluto cambiare aria per trovare nuovamente la pace...fortuna che sembra molto legata a Raizen, anche se non capisco perchè abbia preferito vestirsi da gatta piuttosto che mettere il costumino da dinosauro che lui le ha regalato. In quel momento, un Hokage a caso avrebbe forse percepito un brivido lungo la schiena, con le orecchie che fischiavano e forse avrebbe persino starnutito senza alcun motivo. Ad ogni modo, dopo qualche accordo sulla vendita è finita che serviva una cosetta che si può trovare solo alla Corte di Kusa, il mercato nero itinerante a cui si può andare solo se invitati o accompagnati, e ce li ho portati. Là quel cretino di un Kage ha rischiato di crepare perchè anche se sapeva di essere allergico ha preso una sostanza particolare...e gli ho dovuto salvare la vita per l'ennesima volta. Poi siamo tornati ma con tutto il trambusto le ore sono volate e quindi ora mi ritrovo a dover ritornare a casa con quello che serviva a Ogen.

    Aveva bevuto lentamente la bevanda tra una frase e l'altra, poggiando poi la tazza vuota. In poche parole: oggi si parte, che tu sia pronta o no! Se hai proprio gente instabile qua ricoverata posso pensarci io in cinque secondi...per il resto, arrangiati nel tempo che rimane! E concluse con un sorriso incoraggiante che ben si mescolava a quel tono allegro da persona a cui non importa minimamente dei guai degli altri e che comunque fa quel che vuole, quando vuole e come vuole. Stava alla kunoichi adeguarsi o pagarne le conseguenze!

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    SISTEM OF DOWN

    Give me six hours to chop down a tree and I will spend the first four sharpening the axe.



    Era così un peccato: ventisei anni, amministratore e dunque shinobi potente, tutto sommato di bell’aspetto…
    …peccato. Peccato che fosse così psicolabile.

    «Prego Yakushi-sama, da questa parte.» Disse con gentilezza la Primario, aprendo la porta del suo studio. «Che tipologia di tè desideri?» Domandò mentre entrava. Poi, esitando un secondo, annuì. «Tè verde, penso sia un’ottima idea.» Insomma, aveva deciso lei.

    L’ufficio di Shizuka Kobayashi era una stanza grande, ma talmente piena di documenti da sembrare minuscola: la scrivania della ragazza, frontale rispetto alla porta, era ingombra di pile di fogli così come il lungo tavolo di legno massello alla sua sinistra, un tempo forse adibito alle riunioni del corpo ospedaliero, ma ormai ridotto a secondo ricovero di tomi medici, rotoli e archivi che sembravano troppo vecchi anche solo per rimanere integri. C’era anche una libreria, ingombra pure quella, e poi una serie di cose vagamente inspiegabili: un castello di carte alto come un bambino di sette anni e tenuto insieme da una dose cospicua di colla, una riproduzione in miniatura della grande muraglia del Paese dei Demoni, una vasca con dentro delle alghe marimo, e un orsacchiotto con una scodella di ramen vuoto in testa. Il tutto si trovava accanto ad una specie di poltrona a dondolo su cui una copertina rosa a coniglietti giaceva sopra ad un morbido cuscino di piume.
    «I miei pazienti più piccoli, sai, i bambini...» Commentò rapidamente, indicando all’ospite una delle due sedie vuote poste dall’altro capo della scrivania dietro cui lei si trovava. Dopo un attimo di silenzio in cui guardò fisso Febh in faccia, la ragazza riprese a parlare. «Mi dispiace per la confusione, purtroppo non c’è mai abbastanza posto per ciò che serve.» Si grattò la testa, sorridendo imbarazzata. Rimaneva un mistero come potessero servire la metà delle cianfrusaglie lì dentro.

    Quale che fosse il fatto, Shizuka si sarebbe messa a preparare il tè prendendo due splendide porcellane dipinte a mano e due scatole di legno laccato da cui estrasse delle foglie essiccate e dei biscotti, che dispose su un piccolo vassoio. Benché la preparazione fosse piuttosto insipida e ben lontana da quella tradizionale, come ci si poteva del resto aspettare da un ambito ospedaliero, la donna non mancò di disporre con ordine le tazze, i fazzoletti, i biscotti e gli zuccherini colorati tipici; suo malgrado tradendo un’educazione ben più che severa la quale, nemmeno in situazioni come quelle, sembrava abbandonarla.
    «Capisco le esigenze di tempo.» Rispose educatamente, quando l’interlocutore ebbe terminato di esporre lei i problemi riguardanti l’impellenza del suo arrivo ad Oto. Se avesse dovuto essere onesta, la sola idea di mettere da sola piede in quel Villaggio, in un momento come quello, la solleticava ben poco…ma non era solo una Shinobi, era la Principessa dei Kobayashi: le sue responsabilità non si limitavano alla vita sottobanco che conduceva per Konoha.
    Chiuse gli occhi, inspirando e trattenendo l’aria per qualche istante, poi, sollevando il vassoio, si voltò verso lo Yakushi, cui sorrise. Era bella, ma come poteva esserlo una vecchia storia, benché più affascinante che stuzzicante; una dote che non mancò di accentuare mentre ritornava alla scrivania, accanto alla quale si fermò.
    «Vorrei tuttavia puntualizzare qualche accortezza: capirai che se il tuo interesse è rispettare le tempistiche della tua tabella d’impegni, sicuramente di un certo spessore per un uomo nella tua posizione socio-politica, il mio è quello di rappresentare il mio Clan al meglio delle mie possibilità, potendo dunque dirmi all’altezza di accompagnare l’Amministratore del Suono in questo viaggio.» Disse, posando il vassoio sul ripiano in legno massello per poi portarsi una mano al generoso seno ed inchinarsi elegantemente al cospetto dello Yakushi. «L’invito che la Dinastia Yakushi rivolge per questa commissione commerciale la devo presumere destinata all’Erede dei Kobayashi, sbaglio forse?» Domandò quando si fosse riportata in eretta postura. «Ne consegue che io mi reco presso Oto come Principessa del Fuoco, non come Shinobi…beh, non che faccia molta differenza, giacché le mie abilità sono assai poco note ed apprezzabili.» Osservò con imbarazzo, congiungendo le mani in grembo con fare vagamente mortificato. «Secondo quanto etichetta e tradizione vuole, quindi, considererò me e il mio Clan come Ospiti della Stirpe Yakushi. È corretto?» Chiese con educazione, sorridendo. Rimase per un istante in sospeso, fissando i suoi profondi occhi verdi in quelli neri dell’interlocutore. «Per queste ragioni, da futura Capoclan, considererò la protezione e l’ospitalità della mia famiglia affidata alle sapienti mani della Stirpe degli Immortali: il nostro servizio, il migliore mai conosciuto, per l'accoglienza antica della Dinastia senza tempo.» Puntualizzò, adagiando il dito indice della mano sinistra sul tavolo, di fronte a Febh. Sorrise ancora una volta. «Sono queste le condizioni…ho capito bene, Febh Yakushi-sama?» E quella domanda ne conteneva in sé molte altre.

    Qualsiasi sgarro nei confronti dei Kobayashi sarebbe stato addossato agli Yakushi. Ogni mancanza o pericolo cui l’Airone sarebbe stato sottoposto, sarebbe risultato un’onta per gli Immortali. La protezione e la sicurezza di ogni membro del Fuoco era responsabilità unica ed immancabile di Ogen Yakushi e chi sotto di lei militava, come Febh, amministratore e dunque rappresentante politico del suo Villaggio.
    In poche parole fare uno sgarbo ai Kobayashi o cercare di metterli in pericolo in qualsiasi modo era un errore imperdonabile che sarebbe stato pagato molto più che caro da Oto...
    ...Nonostante tutto non vi era niente di ostentato o eccessivo in quella richiesta: era dopotutto solo la prassi che chiunque conosceva, persino Febh Yakushi.
    «Per la lieta collaborazione dei nostri Villaggi.» Avrebbe concluso la donna, quando ebbe avuto modo di trovare un punto d’incontro. «Ma bando alle formalità, giusto?»

    Quando quel piccolo excursus fosse terminato, e solo dopo aver trattato per la sua giusta causa, la ragazza si sarebbe un attimo inchinata in segno di scuse e aprendo la porta del suo ufficio che affacciava nel corridoio, avrebbe creato due Cloni. Questi, una volta liberatasi dalla nube che li avvolgeva, si sarebbero divisi, ciascuno diretto in un posto diverso: uno a Magione Kobayashi –per avvertire di tutta la circostanza corrente, organizzare le carovane utili al caso da far partire quanto prima, e avvertire la dislocazione Otese dell’Airone– e uno verso l’Ufficio dell’Hokage. Qui il Clone, atteso il momento propizio, sarebbe entrato bellamente dalla finestra, incurante della burocrazia di permessi vari avrebbe parlato a Raizen.
    Di cosa, solo alla Principessa e alla Volpe era dato saperlo.

    «Un’ora e mezzo sarà più che sufficiente: ci sposteremo io e te in anticipo, le carovane dei tessuti del mio Clan arriveranno in un secondo momento.» Disse, quando richiuse alle sue spalle la porta. «Mentre ne attenderemo l’arrivo potrei presentarmi ad Ogen Yakushi-sama, se tu fossi così gentile da introdurmi.» Un modo elegante per comprovare il suo treat e offrire i propri omaggi ad una delle donne più potenti delle Risaie. Educazione, etichetta e intelligenza: niente di più. «...Ma avremo modo di parlarne meglio in seguito, a breve i miei cloni porteranno quanto mi sarà utile per il nostro viaggio d’anticipo: così non risulterai in ritardo sulla tua tabella.» Fece presente, a quel punto ritornando al vassoio di tè e –tolte le foglie in effusione– riempire le porcellane. «E dunque, hai detto di essere il maestro del mio maestro, eh?» Chiese sorridendo. Era interessata, quantomeno perché aveva saputo di un solo “sensei” di Raizen, e si diceva che egli fosse stato il peggiore Shinobi di tutto il continente molti, molti anni prima… incontrarne uno che con ogni probabilità era anche peggio, e che soprattutto era vivo, non faceva che curare maggiormente la sua ferita interiore, che la vedeva allieva di un uomo dai metodi incomprensibili e dal carattere quantomai intrattabile (dramma che aveva reso anche lei, a sua volta, intollerabile. Gli Dei avessero avuto pietà del suo futuro allievo, qualora qualcuno fosse riuscito a sopravvivere ai suoi metodi).

    jpg
    Ci fu anche un’altra cosa che Shizuka Kobayashi trovò interessante: il racconto che Febh Yakushi le tracciò per filo e per segno.
    Per un attimo la Principessa tacque.

    Tacque. E sorrise.

    La sua espressione, gentile e accondiscendente, sembrava quella di una splendida Mononoke irradiata dalla benedizione del Cielo. E persino il tic nervoso che iniziò a pulsarle sopra l’occhio sinistro alla seconda volta in cui il nome di “Kiyomi” ricorreva troppo vicino a quello di “Raizen”, sembrava una lieta espressione della sua pia misericordia.
    «…oh, è così allora.» Disse con gentilezza la Principessa del Fuoco, prendendo una delle tazze di tè e posandola di fronte a Febh Yakushi. «Una permanenza ricca di avventure, Amministratore del Suono: una vera fortuna che ci fossi tu.»

    Per qualche misteriosa ragione, la tazza esplose.

    Calò il silenzio.

    «Accipicchia.» Disse la Kobayashi, sciogliendosi in un’espressione gelidamente mortificata. Senza fretta si apprestò a prendere un fazzoletto di cotone ricamato e accerchiata la scrivania ancora gocciolante, non ci avrebbe pensato un secondo a tamponare con dolcezza il viso di Febh Yakushi qualora questi glielo avesse permesso. «Non ci sono più le porcellane di una volta.» Commentò la donna, rammaricata. Asciugando con dovizia anche le ginocchia del Jonin. «Avrò modo di far chiudere quel ceramista. Odio quando ci sono cose sbagliate in quello che mi appartiene.» Aggiunse elegantemente. «Ti prego di bere il mio tè, Yakushi-sama.» Disse a quel punto, girandosi a prendere la seconda tazza. Questa rimase intera, ma stavolta il resto delle cose che si trovò accanto alle dita della kunoichi venne violentemente sbalzato lontano, inchiodandosi al muro o spaccando una finestra, per poi precipitare di sotto. E prendere in testa un poveretto di passaggio, tanto per dire. «Mi si è chiuso lo stomaco.»

    Intanto all’Amministrazione di Konoha qualcosa esplodeva violentemente.
    Per qualche misteriosa fortuna non era un muro, stavolta.
    Era una sedia.

    «Anzi, lascia stare Raizen!» Urlava una voce femminile mentre documenti e papiri schizzavano lontano in un trambusto generale e, al piano di sotto dell'edificio amministrativo, qualcuno sospirava mettendosi una mano al volto. «Faccio da sola!!» Un ruggito. «DEFICIENTE!»

    Tanto per dire, insomma.



    Edited by Arashi Hime - 8/6/2016, 01:19
     
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    Ritardi non ammessi

    Il Giorno dopo il mancato incontro con Diogene







    La settimana pattuita con Diogene passò, Raizen stesso si recò al punto di incontro prestabilito, seppur con le dovute precauzioni, ma di Diogene nemmeno l’ombra.
    Eppure la lettera era chiara, estremamente chiara: pareva che nulla avesse potuto bloccare il Colosso di Oto dall’andare a quell’incontro, per cui mesto tornò alla foglia, nel laboratorio di Shizuka.

    Abbiamo un problema.

    E dio degli inganni, solo una mente sufficientemente acuta poteva immaginare quanto potessero esser grandi i problemi se quel tirapiedi di Eiatsu fosse stato con loro ulteriormente.

    Quel tirapacchi non si è presentato, e siccome conosco bene i miei polli non mi terrò questa patata bollente in casa ulteriormente.
    Già sai che ricordi deve conservare, l’avevamo preparato alla fine dell’interrogatorio dopotutto.
    Procedi ad un risveglio normalissimo, poco più di una settimana di riposo totale nemmeno si noterà nel suo organismo.
    E poi è più che giustificata una simile permanenza.


    Guardò Shizuka per qualche secondo, probabilmente stordita da quella valanga di informazioni ammezzate così rapide da essere rintronanti.

    Tuttavia ci serve un piccolo spettacolino.
    Una volta vicini al risveglio chiamami, mi raccomando che sia in salute, anche se penso non abbia alcun problema di chakra o stamina giunti a questo punto.


    Il piano era semplice: restituire Eiatsu e farlo tornare ad Oto con le sue stesse gambe, niente di più semplice, dopotutto quale miglior modo di agire in una simile situazione se non quello?
    Quando fosse stato convocato da Shizuka per il risveglio di Eiatsu gli si sarebbe seduto davanti al letto, di modo che potessero guardarsi negli occhi se questo avesse alzato la parte del materasso corrispondente alla schiena.

    Ben svegliato… domanda pedante immagino ma… come ti senti?

    Era improbabile che si sentisse male, ma l’interessamento era d'obbligo[Recitazione] no?
    Dopotutto i due erano ancora in buoni rapporti.

    Mi hanno raccontato cosa è successo e onestamente mi domando cosa tu avessi in mente Eiatsu.
    Ti sei bevuto il cervello o cosa?
    Ti ha portato all’ospedale un totale sconosciuto ed ho dovuto montare più di una scusa perché si occupassero di te dei medici fidati, fortunatamente ti avevano ridotto male e non è stato troppo difficile.
    Ricordi cosa è successo dopo le botte?
    Cerco Diogene da non so quanto tempo e da che so io è sparito da un pezzo, per cui chi cazzo ti ha dato l’ordine?


    Lo guardò a lungo, senza far cedere lo sguardo nemmeno per un secondo, ora facendosi sospettoso.

    Vuoi per caso pestare i piedi all’organizzazione Eiatsu?
    Magari facendoti beccare per un piccolo errore mentre agivi per il suo bene?
    Così, se vincevi tu ne uscivi immacolato, se vinceva Gene ti tirava fuori da chissà quale prigione, buona idea.


    Alzò le sopracciglia lievemente meravigliato ed annuendo al contempo, come a complimentarsi.

    Non so quanto Diogene sia lontano, ma non penso che sia tanto felice di una simile scelta.

    I due erano soli e di certo la stanza non era attrezzata per ospitare porte nascoste, tutte le pareti erano occupate da prese, e tutte erano funzionanti in quanto permettevano ai macchinari di funzionare, nessuna doppia parete quindi, erano soltanto loro due.
     
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    Aprì gli occhi sicuro di trovarsi nella sua brandina nell'obitorio di Oto...sapete, come quando non vi ricordati di esservi addormentati ma il giorno dopo siete sicuri che tutto è al suo posto. Bhè, inutile dire che non era quello il caso: era in un luogo sconosciuto, svestito delle proprie armi e del proprio abbigliamento.

    Il corpo dell'eliminatone si irrigidì involontariamente, incapace di interpretare ciò che stava frullando nella sua mente: si guardò intorno con scatti decisi e rapidi e solo quando trovò il volto noto dell'Hokage riuscì a rilassare i muscoli. Ora che aveva trovato un livello minimo di tolleranza per la sua incolumità, cercò di fare ordine nei suoi ricordi per trovare una spiegazione alla sua presenza in quel luogo.

    L'Hokage parlò ma lui rimase in silenzio. Si guardò intorno cercando di schedulare i mille pensieri che aveva per la testa. Per farlo gli servivano però informazioni fondamentali, di un grado di importanza superiore rispetto a quelle poste dal Colosso.

    " Dove mi trovo? Che giorno è ? "

    Sebbene potesse infatti ipotizzare una risposta alla prima domanda (ma poteva tranquillamente trovarsi in un ospedale dall'altra parte del continente), per la seconda brancolava nel buio totale. Testò il suo corpo e, nonostante esso rispondesse agli stimoli era palesemente quello di una persona che era rimasta allettata da tempo; non aveva ferite ma i suoi muscoli erano intorpiditi, sicuramente inattivi da diversi giorni.

    L'ultima immagine a cui riuscì ad arrivare era quella di un grosso pesco e, ripensando al suo odore, riuscì a ricostruire la scena con precisione. Aveva scelto quel posto per attivare a distanza i suoi cadaveri, quelli messi nel bagno della sala da the. Era riuscito infatti ad allontanarsi dal concerto ed era quasi certo che nessuno lo avesse seguito; aveva fatto tutto con ordine, seguendo il piano. Ricordava il volto della ragazza che gli aveva portato la bevanda calda, l'acqua limpida del laghetto e l'erba tagliata del giardino.
    E poi...e poi...il nulla.

    Ora, mettetevi nei panni di un ninja addestrato, maniaco nei particolari al punto di registrare due volte le sue autopsie, che aveva fatto della segretezza il suo stile di vita e che aveva ben nota ogni sorta di diavoleria che si potesse compiere con il corpo e soprattutto il cervello umano.
    Come poteva sentirsi una persona del genere nel ritrovarsi a seguito di una missione un buco di giorni nei suoi ricordi?

    Ponderò attentamente l'unico dato che aveva a disposizione, ovvero le parole dell'altra persona nella stanza. Raizen sembrava preoccupato e evidentemente ne aveva motivo: l'Otese si era bevuto il cervello, era stato ridotto male e uno sconosciuto lo aveva portato in ospedale...quindi era stato aggredito! Una comune aggressione era da escludere, in quel quartiere poi; evidentemente era stato seguito...forse avevano trovato i suoi cadaveri e li avevano ricollegati a lui!
    Mentre ancora l'eliminatone stava cercando di ricollegare quelle preziose informazioni, il gigante cambiò repentinamente atteggiamento e prese a parlare del Mikawa. Istintivamente il ragazzo si guardò attorno con la chiara espressione del "sei matto a parlare qui di lui?"...ma Raizen continuò come a rassicurarlo che lì potessero discuterne liberamente. Aloysius era sparito, e questo se lo ricordava bene, ma perchè l'Hokage pensava stesse mettendo a rischio l'organizzazione? Si, poteva sospettare che Eiatsu fosse lì per combinarne una delle sue ma se parlava di pestare i piedi allora doveva aver trovato i suoi cadaveri, non vi erano altre spiegazioni. Se così era, allora le parole del jikurichi erano sensate: in effetti aveva preso iniziativa propria nell'attuare la sua missione, pochi membri della villa ne erano a conoscenza (*). Quindi se qualcuno lo aveva aggredito e Raizen si fosse ritrovato il corpo di Eiatsu in pessime condizioni tra le mani, se a quel punto il jonin avesse indagato trovando i cadaveri, allora la storia poteva essere veritiera.

    Tuttavia per far tornare tutto serviva capire chi lo avesse aggredito; fino ad allora per Eiatsu la verità era solo una: lui doveva giungere a Konoha per testare la fedeltà di Raizen e regalare a Diogene un significativo passo avanti per i suoi piani, mentre ora si ritrovava in ospedale, privato di molti ricordi. Eiatsu non era il tipo da saltare subito a conclusioni, non agiva d'impulso e alla base di ogni discussione metteva un dubbio da dover confutare, figuriamoci poi con il bersaglio test del sua missione. Il posto sembrava sicuro ma tra tecniche e microfoni non c'era da star sereni; non poteva parlare liberamente e di certo non lo avrebbe fatto.

    La verità era che il giovane era spaventato: era la prima volta che si trovava in quella situazione anomala. Aveva subito interrogatori e torture di vario genere ma sapere di avere una falla nelle sue difese era straziante. L'ansia lo assalì improvvisamente, probabilmente per la prima volta nella sua vita, e quelle parole uscirono spontanee dalla sua bocca:

    jpg

    " I miei sigilli...ho ancora i miei sigilli sul corpo? "

    Il castello di carta stava per cadere.



    CITAZIONE
    OT/ Spero di essermi immedesimanto in Eiatsu al 100% ;)
    (*) Quindi Eiatsu non sa che Diogenes in verità è tornato ed hanno organizzato la cosa insieme. / OT


    Edited by DioGeNe - 13/6/2016, 11:47
     
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