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Sulla griglia di partenza
Aveva intenzione di allontanarsi, di sparire per un po’, come faceva solitamente.
Nonostante tutto pareva che il suo istinto conoscesse Shizuka meglio di quanto non lo fosse la sua parte cosciente.
Vide il ceffone arrivare, e senza smettere di sorridere indietreggiò, evitandolo. Probabilmente dopo quel gesto il viso di Raizen o quantomeno il suo sorriso erano diventati un po’ più sinceri, dopotutto quella reazione stava a significare che qualcosa aveva smosso per generare un simile risentimento.
Ora non esageriamo eh, un cazzotto passa pure, ma un altro ceffone no.
Sentenziò senza la volontà di interromperla prendendo di petto l’intera sfuriata, ma senza rifletterla, anzi, assorbendola quasi con piacere. Nonostante dovesse essere un rimprovero, uno sfogo per qualcosa di negativo che lui stava per fare l’unica cosa che riusciva a percepirne era limpida e per nulla celata: interesse.
Non arretrò, non avanzò, non mosse un muscolo fino a che non gli venne tesa la mano, momento in cui distese la gamba destra, senza troppa fretta muovendo un passo volontariamente lento che si concluse con un piccolo scatto che portò Raizen ad aumentare lievemente la velocità rispetto a quel primo movimento mentre con passo morbido girava intorno all’allieva.
Una sottilissima risata animava la sua cassa toracica che tuttavia si smorzava una volta arrivando al viso, riuscendo a sollevare solamente gli spigoli della bocca in un malizioso sorriso.
L’ha detto. Ho sentito pure io.
Si è sentito fin quaggiù.
La squadrava senza parlare mentre, passando alla sua destra, poi alle sue spalle si fermò alla sua sinistra, calandosi lievemente verso il suo orecchio.
Non so cosa tu crede di aver detto, ma son più che sicuro di aver sentito “amarci”.
Ora, non che io sia intraprendente come te che corri subito al nocciolo della situazione ma dopo una piccola ispezione direi che l’affare si può sicuramente fare.
Sussurrava, con una voce baritonale che era costretto a tenere al guinzaglio per renderla burrosa quanto bastava da essere suadente, con un piccolo accenno di dolcezza.
Una ricetta perfetta.
Mi piace come sei cresciuta non c’è dubbio.
Dopo quelle parole una sonora pacca sulle natiche avrebbe quasi alzato di peso Shizuka mentre la mano di Raizen, grande abbastanza per non accontentarsi di una sola natica, vi impattava con una briosità che aveva ben poco di amici e parecchio di libidinoso.
Si sarebbe ritratto subito dopo alzando le mani in segno di scuse nel caso molto probabile in cui la sua chioccia gli si fosse ritorta contro, pronto ad evitare qualsiasi rivalsa fisica.
Ei ei ei!
Calma calma!
Ma mica sono io quello che ha frainteso, eh!
Ci sento benissimo, vorrei dirtelo!
Continuando a mantenere una volto innocente avrebbe continuato a parlare, seppur per sua stessa volontà si notasse quanto gli occhi fossero maliziosi.
Poi, se crescendo hai imparato a far parlare il tuo cuore prima del tuo cervello e non controllare cosa ti esce di bocca non è mica colpa mia.
Ma sai.
Fece una piccola smorfia di accondiscendenza.
Io sono un tipo a cui piace l’azione, in questo genere di cose vado dritto al punto, solo che al contrario tuo poi non pretendo di fermarmi alle sole parole.
La risata fino a quel momento sopita avrebbe iniziato a galoppargli nel petto, scoppiando fragorosa e sincera per qualche secondo, fino a sfogare l’ilarità di quel momento.
Scherzi a parte.
Sempre che di scherzi si possa parlare, ma posso concedertelo, senza tuttavia dimenticarlo.
Riprese sciorinando l’ultima frase rapidamente, come un monito scritto in caratteri microscopici a fondo del bugiardino di un farmaco.
Vai stimolata continuamente, devo ammettere che non sempre ne sono cosciente e spesso agisco semplicemente per tutelare me stesso in una maniera o nell’altra.
Non so se qualcosa dentro di me sa come farti funzionare, oppure sei tu che arrivata ad un certo limite funzioni come piace a me.
Sta di fatto che arrivati a quel punto siamo sincronizzati.
Prese la mano di Shizuka, con la certezza di chi decideva come e quando fare le cose.
IO decido quando prenderti la mano.
Assicurò la presa, facendo scivolare le proprie dita tra quelle della principessa Kobayashi, con la gentilezza di chi era consapevole delle proprie dimensioni e non volesse arrecar danno con esse.
Niente trucchi, se proprio ti da noia userai la trasformazione, andremo dritti a prendere da mangiare.
L’unico posto in cui ti accompagnerò per un make up sarà l’ospedale per toglierti di dosso quella traccia di aratro che hai tra i seni.
Comunque, direi della carne e del pesce alla griglia con qualche raviolo alla piastra, così potremmo portarli via, non ho voglia di stare in un ristorante, ma da quando hai schiodato le labbra ho un buco allo stomaco.
Credo sia un contorto meccanismo di difesa della mia mente.Avrebbero seguito la stretta tabella di marcia e dimezzate le proviste alimentari di uno dei negozietti più saporiti della via principale di Konoha, Raizen avrebbe composto un singolo sigillo, attivando quello che probabilmente era un richiamo inverso.
In un tempo inferiore all’istante si ritrovarono al buio, l’unica tenue fonte di luce erano dei tizzoni soffocati dalla cenere e poco distanti da essi un qualcosa di semisferico che dal colore pareva essere incandescente.
Casa.
La parola accese sul soffitto un pugno di lanterne in carta di riso, legate disordinatamente ad altezze differenti, un lavoro raffazzonato di un uomo che badava poco all’ordine e molto alla praticità. L’effetto finale non era però sgradevole, la calda luce scendeva dalle lanterne illuminando uniformemente la pura roccia marrone dentro cui quello spazio era ricavato, il soffitto annerito dal fumo invece contribuiva a far apparire le piccole lanterne come cubetti di luce sospesi nel nulla.
La luce rivelò che i tizzoni stavano dentro ad una fessura tra due enormi massi, probabilmente quello che in una residenza così raffinata poteva definirsi camino, mentre la semisfera incandescente pareva essere una forgia, affiancata da un piccolo rivolo d’acqua deviato in quel punto attraverso un metodo che non era possibile dedurre ad una prima occhiata.
Oddio, non proprio casa, diciamo che è il mio laboratorio e a volte ci passo la notte per comodità.
Ed infatti si poteva notare un materasso ed un cuscino abbandonati su una rete senza nessun tipo di lenzuola a coprirli, un piccolo gesto permise a Raizen di nascondere un quadernetto sotto a degli strumenti di lavoro, un libretto decisamente troppo prezioso per mostrarlo agli occhi di chiunque.
Inizia pure a prendere qualcosa da mangiare, immagino che mentre guardi tu riesca a muovere la bocca per masticare.
Seguito a sua volta il consiglio con un gesto della testa indicò l’uscita a Shizuka, un buco nero tra le pareti in pietra, abbastanza grande da essere paragonato ad un cancello.
All’esterno della grotta, se così poteva chiamarsi quella grossa stanza ricavata da due massi franati l’uno sull’altro, ve ne stava un terzo, in salita che gli faceva da rampa d’accesso, al suo apice si stendeva uno dei pochi spazzi liberi dagli alberi dei territori della foglia, una prateria mossa da più di un riflesso metallico.
In tutto il tempo che non ci siamo visti ho fatto anche questo.
Tese la mano verso l’aperto, indicando un punto indistinto, se messo a fuoco il terreno si sarebbe potuto notare che quei bagliori erano spade, una miriade di spade, dalle più svariate forme e dimensioni, qualcuno conficcata nel terreno più dell’altra, quasi come fossero delle croci.. -
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Nella rupe del Re
Nel profondo
Restò fermo aspettando la reazione Shizuka, non sapeva bene cosa aspettarsi da quella sua allieva diventata grande. Il primo rossore era inevitabile per chiunque, una reazione normale per qualsiasi ragazza. Il curioso venne dopo, oltre le scherzose minacce non accadde null’altro, il che nel viso del Colosso avviò una particolare sequenza di inusuali ma piccole reazioni. Dapprima il disordinato sopracciglio si alzò impercettibilmente con un piccolo scatto e mentre l’angolo delle labbra faceva la stessa cosa gli sfuggì una risata a denti stretti.
Decise di calcare ulteriormente la mano sull’episodio, giusto per ricordare alla donzelletta chi portava i pantaloni.
Chiami la polizia?
E che gli racconti mentre sei ancora rossa e sorridente come una scolaretta che ha ricevuto i complimenti per il miglior compito della classe?
Perché si, nonostante il gesto non fosse propriamente la cosa più gradita che gli fosse stata fatta negli ultimi mesi sorrideva, ma a Raizen importava poco di quanto contrariata potesse essere, poteva passare sopra a quel piccolo particolare.
Che dopo aver detto ad uno di “ritornare ad amarci” questo ti palpa mentre tu gli parli delle dimensioni del suo pacco?
Lasciatelo dire, a seconda dei poliziotti metterebbero in carcere te per il bene del pudore pubblico.
Sbuffò ironico, a sottolineare quanto poco credibile sarebbe stata.
Tra l’altro ne parli sempre come se già l’avessi visto, vediamo di rimediare così almeno non parli a sproposito.
E senza aggiungere altro calò la mano sinistra alla cintola, armeggiando qualche istante per afferrare l’orlo dei pantaloni e allargarlo, tuffandoci poi la mano destra che nello stesso lasso di tempo afferrò qualcosa dalle imprecisate dimensioni. Voleva realmente farlo?
Quanto Shizuka fosse cresciuta non era possibile saperlo, bisognava testare la sua bravura con queste cose, pareva aver detto che si fosse esercitata dopotutto. Prima di estrarlo però aspettò qualche istante, puntandolo sui pantaloni mentre annuiva arricciando le labbra.
Te la sei cercata.
Tirò fuori la mano rivelando ciò con cui aveva armeggiato durante quei pochi secondi: un kunai, che si preoccupò di fargli roteare davanti al viso trattenendolo per l’anello dell’impugnatura.
Non ci avrai mica sperato vero?
Chiese con tono malizioso, mentre l’arma continuava a roteare spezzando di quando in quando la visione del viso malizioso del Randagio.
Se vuoi saperne qualcosa prova a chiedere in giro ad Otafuku, su questo genere di cose li son bene informate, ti vedo troppo curiosa, almeno ora sai dove chiedere.
Ma ora basta, al contrario di qualcun’altra non mi piace vantarmi di questo genere di cose.
Quando poi il discorso tornò sulle forme della kunoichi gli occhi sgranati di Raizen parlarono chiaro: si stava abbondantemente sottovalutando.
Solo carne? Solo carne?!?
E pretendi di essere credibile quando mi dici che sono io a non essere pronto?
So più io di quelle… quelle… lasciamo perdere, ho una mia decenza.
Al parlare della sua esigenza la reazione non fu del tutto immediata, in un primo momento non sapeva cosa rispondere, lasciando così passare dei secondi di silenzio mentre avanzava per la strada.
Ovvio che sono esigente.
Poteva solo confermare l’ovvio e magari aggiungere qualche piccola attenuante per cercare di giustificare il suo zelo e le sue pretese.
Già ti ho detto che pretendo il meglio dalle persone che mi stanno accanto, sono cose direttamente proporzionali, minore la distanza maggiori le pretese.
E sappi che le tue parole ti mettono sempre più a rischio, dire che siamo sempre sincronizzati fa pensare molto velocemente ad un noi.
Ma hei! Fai tutto te eh! Io mi limito a fartelo notare, quella intraprendente sei tu!
Tra un commento e l’altro i due riuscirono a spostarsi verso il centro, posto in cui probabilmente la sua allieva si accorse di quanto veritiere furono le parole del maestro, un evento che le reazioni si Shizuka, forse inconsce, non permettevano di passare inosservato, e di sicuro il Nostro non avrebbe permesso che ciò avvenisse.
Non era una sensazione sgradevole la mano di lei sulla sua, per quanto parlasse di mitici calli e mani esercitate ai compiti più duri propri dei ninja restavano sempre le mani di una donna, delicate come natura voleva.
Non vorrei essere petulante eh, e non vorrei neanche insinuare cose, ma mi stai stringendo così forte la mano che non mi stupirei se te la mettessi da un momento all’altro dentro la scollatura.
Per quanto ironico fosse nel parlare aveva notato in quel gesto ben più che l’ennesima opportunità per una nuova battuta, per un nuovo scherzo. Notava che lentamente le sue parole facevano breccia in lei grazie alle persone che in un modo o nell’altro fino a pochi minuti prima l’avevano tenuta chiusa all’interno del suo bozzolo di apatia, anche se la colpa non si poteva imputare a loro.
Fu felice di far parte di quel momento, ma non aveva altro modo per trasmetterlo se non ricambiando quella stretta che dopotutto non chiedeva null’altro.Quando furono in vista della distesa di spade non potè non sorridere al commento di Kirisame, così aveva deciso di soprannominarla, in contrasto a come lei amava definirsi: tempesta.
In realtà io stesso lo chiamo così, dopotutto assomiglia terribilmente ad un cimitero: piatto, desolato, e con tante cose che puntano al cielo.
Definizione un po’ magra di cimitero, ma sufficiente.
Non è solo un cimitero però, al suo interno ogni lama ha una storia, un suo utilizzo ed un suo perchè.
Sono il mio esercizio come armaiolo e come guerriero, tra di esse non ve ne compare una che io non sappia maneggiare alla perfezione. Ognuna di esse è affilata come il freddo secco del nord, infatti nessuna è stata piantata a terra, le ho semplicemente lanciate da quassù, si sono conficcate col loro peso.
E stai attenta a come maneggi quei poppatoi, con questa hai bruciato due possibilità, alla terza ti faccio vedere come si usano per davvero.
Minacciò gonfiando con poca convinzione uno stato d’animo inesistente per far apparire le sue parole infastidite ed iraconde.
Faresti meglio a non sfidarmi, il terzo lo reputo un invito… e non lascio mai avanzi nel piatto.
Lo aggiunse con un tono sufficientemente distaccato da far apparire l’ammonimento come la più scontata delle ipotesi.
Sedette sull’orlo del basso strapiombo, con il sacchetto di cibo posato tra le gambe e dopo aver guardato varie volte il sacchetto e la bocca di Shizuka avrebbe allargato un sorriso sornione.
Attenta a cosa peschi, il terzo potrebbe nascondersi in qualsiasi gesto!
E non voglio commentare il talento che promuovi con tutta quella roba in bocca.
Senza perdere il sorriso la guardò per qualche secondo, e solo dopo aver ripulito il volto da quell’espressione così faticosa si voltò verso la radura, i fili d’erba agitati dal tenue vento si muovevano placidi, mentre le lame stavano, inamovibili e gelide.
Gli indicò ancora una volta un posto a sedere immaginario accanto a se.
Sincronizzati… già ti parlai di cosa penso degli amici.
Non vorrei ripetermi.
Ma a quale occasione si riferissero quelle parole non era dato sapere e pareva, dalla rapidità con cui Raizen permise a quelle parole e quel pensiero di scorrere via col vento, che non sarebbe di certo stato lui a ricordarlo.
E se pure gli venisse domandato, per il momento, non sarebbe giunta alcuna risposta a dare spiegazioni, c'erano ancora angoli oltre i quali stava l'inesplorato.
Non ho mai portato nessuno qui… tu cosa hai fatto in tutto questo tempo?
Non mentiva, una volta ogni tanto non lo faceva, mai nessuno era stato in quel luogo, soltanto la memoria di centinaia di fabbri sigillata dentro un quadernetto gli aveva fatto compagnia tra quelle sconnesse mura di nuda pietra.
In quel luogo, così tranquillo e silenzioso, si poteva percepire più di quanto Raizen fosse in grado di spiegare di se stesso. Quella terra, quelle rocce, quella placida distesa d’erba, quel “tutto” che aveva scelto per se stesso e modificato solo in quei piccoli particolari che lo rendevano adatto ad ospitare la vita di un essere umano erano stati ammaestrati con una gentilezza che li aveva resi la metafora del loro inatteso inquilino.
Mutevole nei suoi strati più esterni era capace di piegarsi al più debole dei venti conservando sotto un coriaceo strato di roccia un ardore impossibile da scorgere fino a che l’impetuoso vento non si fosse del tutto placato.
Voleva comunicarlo? Aspettava che si notasse? Sarebbe stato notato?
Non ci aveva minimamente pensato, Shizuka era li per ora bastava.
Rilassò la schiena stendendosi sulla nuda roccia per guardare il cielo, non era la prima volta che lo faceva in presenza della kunoichi, ma poter parlare senza necessariamente guardarla negli occhi in quel momento lo rilassava.
Voi umani avete un corpo troppo piccolo.
Constatò il demone, riferendosi a qualcosa che solo il legame che lo legava a Raizen poteva rivelare.. -
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Freni d'emergenza
Quando Shizuka cominciò con le solite insinuazioni Raizen sollevò gli occhi al cielo in un primo momento, per poi tornare sui suoi, ricambiandola con la stessa identica espressione.
Piacermi? Tu?
Qualcosa di simile ad una risata scosse le sue spalle per qualche istante.
Con quel traliccio che ti va dalla spalla al bacino direi proprio di no.
Toccarlo sarebbe piacevole come mettere la mano nell’acido.
C’era qualcosa di particolare in quella risposta, un misto di ironia e risentimento, pareva fosse realmente infastidito dalla cocciutaggine della Principessa che gli impediva di rimuovere quello sfregio. Ma era intuibile solo dalla voce, il suo viso, ora cosciente dei “grandi” sensei che istruivano Shizuka, aveva assunto una smorfia di pieno disgusto.
Credimi, ho abbastanza soldi da poterti dire che le migliori allieve della tua… come l’hai chiamata, mama?
Che ad esser precisi manco so che voglia dire, ma immagino sia molto vicino a magnaccio… per intrattenermi non hanno usato la bocca.
Ma c’è da dire che altre loro labbra hanno argomenti più che soddisfacenti.
E vieni a dire a me delle malattie?
Il massimo che potrei fare è farti completare la collezione a questo punto.
Ma sappi che al giorno d’oggi ci si può facilmente proteggere, sono più pulito di un verginello in una teca di vetro, e se non lo fossi la qualità dei servizi offerti dalla famosa Sayuri sarebbero a dir poco scadenti.
Parlare aveva smosso qualcosa in lui, disagio forse.
Rivolgersi in quella maniera ad una donna qualsiasi, rispondendo per le rime, non gli avrebbe dato alcun genere di fastidio mosso come era da ciò che credeva essere la realtà. E proprio credere che ciò che immaginava fosse la realtà lo metteva a disagio, mettere Shizuka in una di quelle situazioni che ben più di una manciata di volte aveva vissuto gli faceva muovere una fastidiosa creatura nello stomaco che gli procurava una lieve e spiacevole nausea.
Shizuka che fa quel lavoro?
Davvero?
Davvero cocco, e da come se ne vanta… beh, non vorrei ferirti andando oltre, sarebbe troppo semplice.
La volpe ridacchiò sommessamente, canzonando il Colosso.Si voltò a guardare Shizuka, disteso com’era lei gli dava le spalle, mostrandogli una silhouette che ormai aveva dimenticato le fattezze da bambina, allargando i fianchi e ammorbidendo il corpo dove serviva. Sporgendosi lievemente poteva persino notare il seno, di scorcio.
Non era la prima volta che la guardava, eppure gli pareva che prima di quel momento non l’avesse mai guardata seriamente, scoprì che non ricordava troppo bene i suoi lineamenti e quasi gli sembrava di guardare una sconosciuta. Gli capitava a volte.
A provocare quegli episodi non era tanto un cambiamento reale nella persona che guardava quanto più una sua presa di coscienza rispetto ad essa, una volta rimase a guardare qualche minuto il vecchietto che gli serviva il ramen. Quando si rese conto che qualcosa di così buono non l’aveva mai mangiato da nessun’altra parte, e che quel vecchio curvo sui fornelli più per l’età che per necessità, doveva faticare ben più del dovuto per portare a casa la pagnotta restò in silenzio.
Ne analizzò il volto come un bambino curioso, spostandosi di quando in quando per vederne i lati nascosti, scrutandone la più misera ruga: pieghe nella pelle di un volto antico, originate da una vita di espressioni che non riuscivano più a sparire del tutto, ma che al contempo ne accentuavano ogni più minuscola variazione d’animo, trasformando semplici sorrisi in espressioni capaci di trasmettere agli altri la propria pace interiore.
È così che stava guardando Shizuka, non per qualche tipo di abilità particolare, ma pareva che gli occhi di Raizen in quel momento potessero andare ben oltre la pelle, oltre le cicatrici, oltre quelle infinitesimali imperfezioni del corpo umano.
La scoprì di nuovo, la comprese nuovamente, e vedere come si muoveva, la sicurezza con cui parlava dei suoi affari se non sporchi certamente poco candidi, le espressioni che gli rivolgeva… gli erano estranee, e come aveva solo intuito all’inizio della loro interazione non gli piacevano affatto.
Solo quando venne paragonato ad Atasuke scosse lievemente la testa ammiccando con gli occhi più di una volta, destato dal suo orgoglio tornò ad osservarla senza quello sguardo innocente quanto assetato di conoscenza.
Paragonami di nuovo a quell’ effeminato avanzo di sacca porta palle e ti svito la testa dalle spalle.
In Raizen si poteva identificare esclusivamente una cosa profondamente in linea con lo spirito marziale che la carriera ninja inculcava alla maggior parte degli shinobi: l’animo. Era quasi impossibile infatti impietosirlo, infastidirlo o scuoterlo abbastanza forte da distoglierlo da un bersaglio, facendogli perdere il freno della lingua e delle mani.
Tra quelle poche azioni o parole ci stava tutta la gamma in grado di insinuare che lui non fosse unico ed originale in tutto e per tutto, ma soprattutto che lui potesse avere in comune una sola singola cellula del suo corpo con qualcuno che reputava inferiore.
Intesi?
Concluse con tono severo.
Comunque grazie per il braccio, ma purtroppo se vuoi sorprendermi ti tocca fare di più, se ricordi fin dal nostro primo incontro ti avevo detto che questa sarebbe stata la tua strada.
Sorrise orgoglioso, e al contempo soddisfatto della sua lungimiranza, e lo fece sinceramente.
Qualche istante dopo invece la mano della principessa iniziò a scivolarle sul petto, e senza fermarsi calò sull’addome. Il labbro del Colosso dubbioso si inclinò verso il basso mentre gli occhi si sbarravano in un espressione di stupore. Poteva essere marziale quanto voleva ma in situazioni simili, per quanto in combattimento riuscisse a controllarsi, il suo cervello prendeva una curiosa tangente ascendente a quarantacinque gradi. Ma naturale, per quanto curiosa.
Non so cosa ti abbiano insegnato in quel bordello, ma mi sono decisamente stufato di avvertirti, se non spegni quella manina entro un paio di secondi ti ci faccio fare pratica.
Donna avvisata, mezzo svestita. Ricordatelo.
L’avviso parve venir recepito, era sull’orlo, mai avrebbe fatto spargere la voce che il Colosso di Konoha si tirasse indietro dopo che una donna l’avesse solleticato a quel modo.
Certo è che sarebbe stato altrettanto disonorevole se fosse stato bollato come maniaco sessuale.
Quella li fruga troppo, te lo dico io.
Fece un sospiro liberatorio, mordendosi il labbro qualche secondo prima di parlare.
No, è inutile, non posso farci nulla!
Sta cosa non mi va giù neanche se ce la mando a spinte.
Si alzò di scatto.
Mi sono impegnato!
Ah se l’ho fatto porco mondo!
Ho fatto di tutto per farti capire il modo migliore per fare sto lavoro, e maledetto Izanagi te mi diventi una puttana d’alto borgo, che tra gambe e bocca non so cosa tenga più aperto!
Vomito quelle parole quasi stizzito, offeso, mentre una scia di rabbia gli fece venire un lieve fiatone.
Basta essere fini di cervello!
E non devi impiegare 4 mesi a far fare l’alzabandiera ad un ciccione sfigato per fargli dire quattro stronzate!
Era interessato, preoccupato. C’erano poche cose di cui non avrebbe voluto rendere partecipe Shizuka nella sua carriera da ninja, una di quelle era l’arte della seduzione, anche perché fondamentalmente la reputava inutilmente lunga e dispendiosa ed in un certo senso degradante, quantomeno per lei.
E magari nel mentre uno senza quei due poppatoi da dieci e lode ha fatto la stessa cosa senza sporcarsi, letteralmente, le mani.
E tua madre poi? Che cazzo dice?
Gli va tutto bene?
Sempre tutta tirata che sembra abbia una fabbrica di scope su per il culo e manda la figlia nell’angolo peggiore del mondo ad apprendere le peggiori stronzate.
Battè un piede a terra con una foga tale che la Kunoichi avrebbe potuto chiaramente distinguere un lieve tremore sotto i suoi piedi.
Fatti beccare UNA sola volta ad applicare uno degli insegnamenti di quella vecchia maiala e ti assicuro che la tua missione di infiltrazione la trasformo nella più grande distesa di desolazione dell’intero continente, sarà così triste che ci dedicheranno un giorno nei calendari per ricordarlo ed una di quelle strane ricorrenze tutte lacrime ed empatia.
Mentre parlava avrebbe colpito la mano di Shizuka, privandola del sacchetto delle cibarie e con una rapidità che aveva del bestiale se lo svuotò dentro alla bocca. Dopo un gesto che parve essergli costato qualche muscolo della mascella per masticare l’importante quantità di cibo avrebbe rivolto alla neo chunin una smorfia simile ad un ringhio, come se rimarcasse la propria potestà sull’ultimo boccone.
Vedi...
Ricominciò dopo aver inghiottito il gigantesco boccone frazionandolo più di una volta.
A vedere Raizen, il rude Colosso della foglia, disordinato per quanto pulito, con quella perenne area di incuria dovuta alla barba sfatta e a dei capelli che per quanto belli pareva non avessero mai conosciuto le redini di un pettine. Si sarebbe detto che non fosse nient’altro che un uomo le cui buone maniere erano state a malapena sbozzate dalle esperienze di vita, come un falegname che con qualche colpo di roncola pretende di fare una scultura, eppure nella sua mente una donna degna di tale aggettivo che fosse o meno una kunoichi, aveva un posto in cui stare, e di certo non era otafuku.
Volendo vederla da un altro punto di vista lo si poteva definire onore, o più comunemente una mentalità forse arretrata.
…
Provò a parlare, ma era evidente che ancora il suo discorso necessitasse di una certa elaborazione, dopotutto non era avvezzo a dare la pappa pronta al prossimo.
Sei una cogliona.
Si, decisamente il modo migliore per iniziare. Certo.
Appurato questo passiamo a cose più serie.
Tu, Shizuka, non mi piaci.
Realmente. E lasciamo da parte facili discorsi e battutine sul tuo corpo che ormai iniziano ad annoiarmi, veniamo a te, a quello che mi permetterebbe di avvicinarmi a te:
La tua testolina, e quello che ci porti dentro.
Perchè il resto bene o male, si trova ovunque.
Interloquì mentre gesticolando mimava una sfera tra le mani.
Io non sopporto il tuo carattere, il tuo nuovo carattere, è tremendamente odioso ed hai sempre la spocchia sulla faccia come se camminassi ad un metro non da terra, ma sopra chiunque, per essere sicura che qualcuno più alto del normale non arrivi a pareggiare con te.
Guarda, non me ne sto andando, non sto sparendo, non ti lascio con quattro palmi di naso, ti sopporto e cerco addirittura di spiegarmi, ho cercato di farti comprendere fino ad ora.
Eppure, per quanto io sia serio con te non ottengo che battutine del cazzo.
Smettila di fare la stronza, o ti butto giù da questa roccia a calci in culo.
Non mentivo poco fa quando ti dicevo che PRIMA mi piacevi, ma al momento, cacchio al momento mi sto sforzando di non riportarti a casa tua dentro un cestino e abbandonarti sulla soglia con le istruzioni su come rimontarti.
Stava in piedi davanti a lei, parlava nuovamente, come un treno in corsa.
Sto parlando così tanto che mi sembro una checca pur di farti entrare in testa che sono interessato a ritrovare un’ UNICA cosa. L’essere umano dietro quello stretto bustino che non mi stupisco ti abbia consigliato la tua… come cazzo si chiamava… mama, ecco.
Non ti sto parlando come maestro, come superiore, come ninja, niente di tutto questo.
Sto cercando di dirti che in un qualsiasi rapporto umano uno stronzo va bene, ma due sono troppi. E qui la stronza di troppo sei tu.
Avanti, basta che ti guardi un attimo attorno, sono grande grosso e con una faccia del cazzo, tu sei piccola ed eri gentile e non sei neanche troppo male, secondo te chi è nato per essere cosa?!?
Domandò mentre allargava le mani sottolineando la retoricità di quella domanda.
È per questo che non mi è facile essere la persona che vuoi!
Non riesco a dire tutto ad una persona simile anche perché non sai essere stronza, lasciatelo dire.
Perché io sarò pure stronzo, ma quando serve riesco a fare una lavanda gastrica a qualsiasi depresso in giro per questo continente.
E seppure sei in grado di farlo, beh, non ti riesce con me, decisamente.
Posso sopportarti durante una missione, posso annuire quando parli, sorridere a qualche battuta… ma se ti va bene essere una figura di sfondo, prego, fai pure.
Ma non venire a piagnucolare se ti tratto come tale.
Pareva aver vomitato tutte le cattive impressioni che aveva sulla ragazza, ponendola nuovamente dinnanzi ad una scelta di cui non era troppo sicuro di voler sentire il risultato.
Ti ho chiesto cosa hai fatto in due anni non per sapere quanto sei progredita, ma semplicemente per sapere come è andata avanti la tua vita.
Anche per cercare di capire cosa di preciso ti avesse cambiato, fare leva su quella saldatura mal fatta e rimuoverla.
Quella piccola confessione venne pronunciata a ridosso di quel discorso così fastidiosamente accusatorio che molto probabilmente Shizuka, stronza com’era diventata, non avrebbe colto la distanza che separava quelle frasi, quelle piccole sfumature a cui non pareva minimamente avvezza.
Sembrava soltanto che ascoltasse di sfuggita ciò che Raizen diceva.
Io VEDO quanto quell’esperienza ti abbia segnato, ed è ancora così vivida che non mi permetti di interagire con essa, ma c’è di sicuro qualcosa nel suo processo digestivo che ha fatto male alla persona che apprezzavo.
Per cui cosa vuoi da me?
Perché sei qui?
Chiedi tutto, pretendi tutto, ma non mi stai dando NIENTE.
Come aveva detto non era fuggito, ma Shizuka avrebbe retto quel carico di pesanti parole senza infrangere quell’equilibrio che iniziava a diventare fragile?
Ad una attenta analisi in realtà era arrivata ben oltre i limiti concessi a qualsiasi essere pensante, poteva vantarsi di aver ottenuto un eccellente risultato nel cammino che l’avrebbe portata a conoscere quella figura che amava definire sensei, ma per quanto i risultati fossero ottimi la strada era un ponte sospeso nel vuoto, esile e scricchiolante.
Attraversarlo richiedeva essere silenziosi come la neve, e leggeri come l’aria.
Ogni difesa di Raizen era abbassata, non era presente alcun ostacolo, l’unico problema erano gli errori che lei poteva commettere pretendendo di addentrarsi così affondo nel Colosso per occupare un posto riservato ad un'unica persona in un’intera vita. Per quanto potesse essere permissivo non poteva scoprire se stesso senza ricevere lo stesso trattamento, forse una piccola deformazione professionale, ma fino a quel momento della sua vita lo aveva aiutato, ed era convinto che quello non era il momento in cui avrebbe smesso.. -
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Lo spiraglio
Ascoltò Shizuka senza emettere neanche un suono, acquietandosi mano a mano che lei descriveva completamente ciò che aveva solamente accennato in precedenza.
Mh, sarà meglio.
Sentenziò a discorso ultimato, convinto delle parole di Shizuka.
Gli si avvicinò nuovamente quando iniziò a tremare, a piccoli passi, cercando di capire ad ogni avvicinamento cosa gli stesse succedendo, furono i sussurri a svelargli l’arcano.
Disarmato. Così si poteva definire Raizen mentre osservava quella scena, del tutto indeciso sul da farsi si piazzò quindi davanti a Shizuka, sedendosi di fronte a le per poi raccogliere le gambe.
Ei…?
Chiamò senza ottenere risposta, era evidente che si fosse calata fin troppo affondo in chissà quale turbinio di ricordi. Era difficile ammetterlo, ma Shizuka era provata da quell’evento ben più di quanto lui fosse in grado di porvi rimedio. E non era esclusivamente un autogratificazione quella di poterla aiutare, voleva farlo perché non era in grado di vederla soffrire oltre, di vederla soffrire ancora.
A rifletterci bene l’aveva vista ben poche volte libera dal fardello della sofferenza.
Si fece più vicino e tese la mano verso il viso di lei, cercando di risvegliarla col contatto di un piccolo buffetto.
È passato ormai.
Non sapeva che altro dire e si limito a quello, tirandola verso di se permettendole di piangere senza essere vista, nascondendola nel suo petto.
Non ho mai saputo che cosa volesse dire amicizia, e non ho intenzione di imparare adesso ad utilizzare un termine tanto sopravvalutato.
Andrà bene essere ciò che siamo, Raizen per Shizuka e –poveraisterica- per Raizen.
Anche se non vedo l’utilità di esserlo se continui ad affermare di voler fare tutto da sola.
Si chinò affettuosamente su di lei, come mai aveva fatto lisciandole i capelli con la destrorsa mentre la sinistra premeva il piccolo pulcino contro di se.
Sai, non ho abbandonato mai ne te ne Kuroro.
Confessò a bassa voce, nonostante non fosse necessario lo faceva quasi per istinto.
Le frase che stava per dire in realtà meritava di essere solamente pensata, ma ormai era un segreto che teneva da troppo tempo. L’unica cosa che lo frenava dal dirlo in quel momento era lo stato di Shizuka: come avrebbe reagito?
Bene? Male?
Voleva vedere quanto importante per lei sarebbe stato quel piccolissimo spiraglio, messo li per caso, per cui si limitò solamente a citarne il nome, non aggiungendo altro.. -
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Teatro
Ed il nome bastò a Shizuka per aggrapparsi ad esso come un simbionti, pronto a pungere direttamente il midollo spinale e prosciugare la vita dell’ospite come l’essere gretto e strisciante che era, senza dare alla sua preda l’opportunità di conoscere cosa l’avesse ucciso.
Il Colosso non poteva sapere cosa Shizuka pensasse realmente in quel momento, ma sapeva come si mentiva, e mentire ad un bugiardo era sempre difficile, specialmente se fino a quel momento gli si era offerto il proprio cuore.
Dopo aver visto l’organo pulsare di sincerità davanti ai suoi occhi non poteva non notare lo scrigno che ora lo precludeva al suo sguardo, aveva compreso che la Principessa era cambiata però in quel momento tornò improvvisamente a reagire come avrebbe fatto qualche tempo prima, un comportamento del tutto in contrasto con la convinzione che ostentava fino a qualche secondo prima.
Convinzione che Raizen stesso non poteva che stare a guardare, impotente davanti ad essa, per quanto errata la trovasse.
Quell’appellativo, “onii-chan” ora era troppo distante da lei perché lo usasse con quella naturalezza in quel momento, si era mostrata quasi incapace di comprendere cosa comportasse un simile suffisso, era caduta preda della sua stessa sincerità.
Dopotutto non si può cambiare il personaggio da interpretare se la recita è già in corso, questo aveva imbrogliato Shizuka, cercare di cambiare volto troppo repentinamente senza concedere la minima sfumatura, era anche vero che non poteva sapere che sarebbe stata messa alla prova in quel modo, ma la vita è imprevedibile no?
Perché vuoi sapere dov’è?
La voce baritona del Colosso ne fece vibrare il petto un’inflessibile tono accusatorio ne permeava ogni singola lettera, lei focalizzata sulla sua crescita e sui colori vividi delle sue ali da farfalla ancora flaccide poteva forse averlo dimenticato, ma entrambi avevano un ruolo e a Raizen ora spettava quello del mentore.
Porse quella domanda sia per reale curiosità sia per sapere fin dove si sarebbe spinta lei con la recita o con quella sua nuova personalità.
Erano ancora vicini, estremamente vicini, ed entrambi potevano sentire la bestia nascosta all’interno dell’altro levare il capo minaccioso, fu faticoso, ma riuscì ad imporre la propria mano sul capo della sua ammansendola e costringendola a terra, attento a non farsi divorare da essa. Per quanto quella parola, “onii-chan” pronunciata con la sudicia bocca di una bugiarda gli avesse fatto aggricciare la pelle in un moto di indistinto disprezzo non era ancora abbastanza per sfamare la bestia, ancora troppo debole per un Raizen che cercava di maturare lasciando indietro parte del suo irruento carattere.. -
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Scelte
A quel punto non restava che tirare il pesce nella barca.
Rispose al sorriso, seppur non in maniera del tutto naturale, forse un particolare riflesso neuronale lo portò ad imitare la sua allieve.
Ci hai provato, lo so.
E, ti pregherei di non rifarlo, posso sopportare una sfida o tu che cerchi di dimostrarmi quanto sei cresciuta.
Ma decisamente non transigo sulle prese per culo.
Sospirò, preparandosi ad affrontare un discorso che non reputava affatto semplice.
Tu non gli torcerai neanche un capello finchè avrò fiato in corpo.
Kuroro non ha alcuna colpa, se non quella di anelare una libertà più grande di quella concessagli dal vostro clan di schizzoidi.
Potresti prenderlo a cazzotti per un anno intero, riducendogli la faccia in poltiglia ma solo perché ti ha rubato le pinzette per le sopracciglia.
Se invece è per i mali che dici ti abbia causato… beh mi dispiace ma come non ho mai accettato il trattamento che hanno riservato a te non posso accettare i risultati di ciò che loro credano sia un crimine.
Perché non lo è stato.
Inchiodò il suo sguardo in quello di Shizuka, non era arrabbiato, ma la sua sicurezza e la sua decisione erano in grado di addensare persino l’aria che intercorreva tra i due creando un muro che nessuno avrebbe mai potuto scalfire.
L’amministrazione non è coinvolta in tutto questo, il tuo clan si.
Cent’anni fa venivano perdonati criminali che dopo sono diventati leggende, non vedo perché tuo fratello, il cui unico errore è stato quello di non dirvi dov’è andato debba essere incriminato di qualcosa.
Non è un traditore e non lo è mai stato, è un uomo libero un konohaniano che abita fuori dalle sue mura, e non mi risulta sia un crimine.
Ma voglio ripetertelo, tuo fratello ha fatto una scelta, e non era sbagliata. Era una scelta, punto e basta, non l’ha fatto con malizia, il suo unico proposito era allontanarsi da voi, probabilmente da quello stesso clan che vi ha maltrattati per tutto questo tempo, non trasformare lui in un aguzzino, è vittima quanto e più di te di questi eventi.
Cosa pensavano? Di poterlo ingabbiare qui dentro? Di metterlo a catena? E per cosa poi? Non ha leso NESSUNO con le sue azioni.
Vuoi davvero accusare LUI?
Si alzò mentre si massaggiava la fronte.
Forza, si torna a casa, direi che è necessario raccattare qualche coccio.
Le intenzioni del Colosso potevano forse non essere ben chiare a Shizuka, anche se lui riponeva ben poca fiducia in tale particolare, ma non gliene parlò a breve gli avrebbe dato risposte o certezze con le sue stesse azioni.
Tornare a villa Kobayashi seguito da una donna e non da uno scoiattolino impaurito gli dava un certo orgoglio che gli permise di guardare Ritsuko con una malcelata supponenza, che accentuò con un sorriso.
Non vorrei disturbarti oltre, per cui se non ti spiace aspetto qui qualcuno dei tuoi colleghi, se invece posso disturbarti direi che devi mettere su una riunione di famiglia.
Mi serve Heiko, mi serve Toshiro, e mi serve anche qualcuno dei pezzenti con gli occhi a rotelle che condividano con loro almeno un quarto del sangue.
Per quanto le parole fossero sgarbate e prive della minima educazione il tono era tranquillo, come se quello fosse il suo modo abituale di rivolgersi al prossimo. E di fatto era proprio così.
Che l’avessero fatto aspettare sulla soglia della porta o dentro una delle stanze della magione non avrebbe fatto storie, avrebbe atteso che tutti i rampolli fossero pronti ad accoglierlo.
Non sapeva se avrebbe portato rivoluzione o soltanto malumori, ma aveva un cesto carico di “doni” e li avrebbe consegnati, a costo di fare visita a quelle persone casa per casa. Radunarle era però la via più comoda, avrebbero condiviso l’uno le reazioni dell’altro e si sarebbero arricchiti di esse e probabilmente avrebbero reso a Raizen meno noiosa tutta quella manfrina.. -
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Scarafaggi
Guardò Shizuka compassionevole, sorridendogli.
Povera tapina, potrai saperne di politica, ed ho qualche riserva pure su questo, ma di sicuro sai molto poco di avidità e ingegno umano.
Anche se a giudicare da come te ne vanti non sembra nemmeno che tu venga da una famiglia di zingari che vende straccetti per le quattro nazioni.
Cuciti la bocca, e abbi la cura d’utilizzare il filo più resistente che la tua famiglia possa trovarti.
Si voltò stizzito, incamminandosi in silenzio fino ad arrivare alla villa dove venne consumata una di quelle scenette che generalmente si sarebbe impegnato a canzonare, ma per buona creanza e forse un minimo di empatia tacque.
Puoi alzarti.
Commentò quando il ragazzo dei Kobayashi gli si inchinò ai piedi.
I salamelecchi da rampolli sono imbarazzanti e al momento stai sfiorando il limite dell’omosessualità.
Ma ti ringrazio.
Aggiunse l’ultima parte con un sorriso bonario, dopotutto non poteva essere grato di uno dei rarissimi segni di gratitudine che gli venivano rivolti.
Non poteva che assistere inerme anche alla giusta sfuriata di Toshiro, pensando che lui si sarebbe concesso almeno un ceffone, anche due. Shizuka ogni tanto aveva bisogno di un approccio più fisico per comprendere ciò che parole non riuscivano a farle comprendere.
Otou SAMA?
E lei si fa chiamare così?!?
Era vero che il Colosso era all’oscuro delle più basilari regole che scandivano quel noioso mondo nobiliare, ma un titolo onorifico al proprio padre era decisamente fuori da ogni sua più raffinata fantasia.
Non so cosa vi dica il vostro cervello-sama, ma è certo che abbiate annegato qualche rotella in una tazzina di sakè.
Sollevò gli occhi al cielo lasciando cadere il discorso mentre scuoteva la testa debolmente, gli sarebbe piaciuto criticare più aspramente, ma non lo trovava il momento più adatto. Si consolò per cui della magra ed infondata convinzione che i problemi di tutto quel clan derivavano dalla distanza posta inconsciamente da quei titoli onorifici che molto probabilmente annullava quella limpida confidenza che ci sarebbe dovuta essere tra dei genitori ed una figlia.
In quel momento Shizuka gli parve quasi un cavallo imbrigliato mentre veniva educato al trotto, era quasi triste per lei.
Riprese parola solo quando interpellato, attendendo mentre si dondolava tra il tacco e la punta dei piedi.
Le do ancora del lei, Toshiro-sama, perché vanta parecchi anni in più rispetto a me, ma la prego, inizi a ripagarmi dandomi del tu, avrà notato che sono insofferente all’etichetta.
Disse con un sorriso di cortesia che non mancava di sincerità.
Direi comunque che avremmo bisogno di tutto ciò che ho richiesto, perché si, è decisamente necessario.
Si fece condurre nella sala ad aspettare che arrivassero le figure da lui richieste, aspettando di venir raggiunto dagli altri e declinando ogni richiesta di dialogo con una semplice stretta di labbra ed un chiaro segno del dito indice.
Ne parleremo a suo tempo.
Avrebbe aggiunto per cortesia di non rivolgersi al prossimo esclusivamente con i movimenti del corpo, adatti ad una bestia da soma più che ad un uomo, per quanto grezzo potesse essere.
Una volta riempita la sala, avrebbe sospirato, cercando un modo per iniziare una delle più gravose discussioni della sua vita. Fallendo miseramente.
Vi starete giustamente chiedendo perché vi ho portato qui, e la risposta è semplice, ma non giungerà rapidamente, prima è necessario un preambolo.
Non voglio mettere bocca riguardo l’educazione che date ai vostri figli.
Disse guardando Heiko e Toshiro, seppur non in maniera severa.
O ai vostri nipoti.
Spostò lo sguardo sui rappresentanti del clan Uchiha.
Non questa volta almeno.
Questa volta la situazione è molto più seria di una povera ragazza che viene rinchiusa chissà dove lontano dal suo paese e dalle persone a cui vuole bene.
È da qui che partiremo: per quale ragione Shizuka era li?
Ho continuato a chiedermelo per parecchio tempo senza riuscire a darmi una risposta totalmente sensata, fino a quando il caso non mi ha portato a unire più pezzi del puzzle, o meglio a guadagnarne di nuovi.
Si spostava lentamente, avanti e indietro, troppo silenzioso nonostante la mole per non apparire minaccioso, le lievi ombre della stanza quasi parevano inghiottirlo per fargli la cortesia di celare un’arma mal riposta mentre vi passava accanto, ed i suoi piedi pareva poggiassero nel nulla, nonostante il tipico pavimento in legno dovesse produrre una gradevole nota propria di quel materiale quando era stagionato e curato al punto giusto.
Tuttavia Raizen Ikigami, nonostante ciò che le regole naturali imponessero, si muoveva come uno spettro, un predatore silenzioso che per avvicinarsi alla sua preda non faceva che parlare.
Il punto focale dei malanni di questa famiglia è Kuroro, e vi chiedo perdono se rievoco spiacevoli ricordi, ma sono qui perché venero la verità, ed un simile gioco di parole ha il suo peso nello spirito di un uomo.
Da quando il ragazzo è scomparso questa famiglia è caduta in una spirale di caos difficilmente immaginabile, comprensibile si potrebbe pensare, è sparito il primogenito della famiglia dopotutto.
Ma realmente è giustificabile tutto ciò che è accaduto dopo il dolore?
Qualcuno avrebbe potuto dire che evitava gli sguardi degli Uchiha temendone il peso, ma se quel qualcuno fosse stato malizioso avrebbe compreso che in realtà li evitava proprio perché erano occhi da Uchiha.
Nuovamente sarebbe stata comprensibile una madre che cerca il proprio figlio, ma… cosa c’entrano gli Uchiha in tutto questo?
Azzeriamo la situazione.
Un genin, si allontana dal proprio villaggio, e sottolineiamo che è libero di farlo soprattutto se i suoi occhi non portano ancora lo scarlatto tipico del loro clan, e potrebbe farlo anche in quel caso a meno di non divulgare le sue conoscenze, certo.
Ma è avvenuto questo?
No. Da qui è fuggito unicamente un neogenin con a malapena le capacità per non farsi divorare dalla prima bestia che passa.
O almeno questo ha detto l’amministrazione, così come ogni singolo precedente caso di allontanamento da parte di un ninja, altrimenti, come sarebbe possibile che il Mizukage attuale abbia proprio origini konohaniane?
L’imbuto si stringe.
Ammise in tono quasi marziale.
E ve lo spiego subito.
Quando l’amministrazione reputa un ninja reo di tradimento manda autonomamente degli shinobi sulle sue tracce, poco gli importa di avvertire clan, famigliari o chi per loro. Agisce in quanto ha i poteri e le giustificazioni per farlo.
E lo fa con shinobi addetti e specializzati.
Cosa vuol dire?
Che NON manda solamente esponenti del clan Uchiha ad inseguirlo, soprattutto non un gruppo di jonin, visto il ninja inesperto con cui si ha a che fare.
C’è quindi un incongruenza, l’amministrazione non reputa Kuroro un traditore, giustamente, ed altrettanto giustamente non manda degli shinobi a perseguitare un giovane ragazzo anche perché ci sarebbe ben poca coerenza nel mandare degli shinobi a perseguitare un innocente che non fa altro che esercitare un suo diritto: quello alla LIBERTA’.
Sottolineò l’ultima parola con un tono che lasciava trapelare un tocco d’ira.
Ma supponiamo, irrealisticamente, di non sapere che l’amministrazione dichiara Kuroro un traditore, perché manderebbe esclusivamente degli Uchiha sulle sue tracce e non i suddetti shinobi specializzati?
Si avvicinò al tavolo estremamente serio.
Cosa Diavolo ci facevano gli Uchiha alle costole di quel ragazzo?
Cosa Diavolo interessa agli Uchiha di questo clan?
E di quali accordi si necessita per non dare la libertà a quella donna…
Disse indicando Heiko.
Di amare chi più ne reputa degno… O ai suoi figli?
Ed indicò Shizuka.
Perché gli Uchiha si sono presi la libertà di far apparire un innocente il peggiore dei traditori?
E non pensate che non siano affari di un Jonin della Foglia.
Avrebbe ringhiato, potendo, ma il suo sguardo fiammeggiante era sufficiente a far comprendere quanto peso avesse quella domanda. Nel SUO villaggio non aveva spazio per nidi di scarafaggi coperti da una sudicia coperta.. -
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