Giornata libera.
L'ospedale stava funzionando (non alla grande, stava solo funzionando) e gli effetti dell'attacco di Chanta andavano normalizzandosi. I feriti erano stati tutti dimessi, rimaneva qualcuno in condizioni critiche per il quale si poteva fare troppo poco.
Certo,
in realtà, quella giornata libera mi era stata un po' appioppata. Nonne sentivo troppo la necessità, ma alla fine, dopo la settima sera di fila che rincasavo alle due di notte mio padre mi aveva affrontata, costringendomi ad ammettere che stavo esagerando.
Sì, lo sapevo. Ma lavorare mi impediva di pensare, perché pensare mi portava in posti orribili, nella mia testa. Da quando Hakuki era scomparso, o forse, si era fuso dentro me di certo avevo accettato molte cose della mia vita e del mio destino. Le paure e le incertezze si erano ridotte e ne ero uscita rafforzata. Tutta la storia dell'epidemia aveva avuto su di me l'effetto di rendermi forte, come non lo ero mai stata, ma persino il più inflessibile degli oggetti avevano un punto debole ed il mio era - tanto per dare ai lettori una sorpresa - Akira.
Dopo l'invasione le occasioni di vederci erano state più rare che mai. Una volta a settimana, forse, se uscivo prima da lavoro e quando ciò succedeva il tutto sembrava ridursi ad una banalità che mi irritava terribilmente. Sembrava che entrambi stessimo cercando di parlare pur di evitare l'ingombrante macigno che si era interposto tra di noi, perché entrambi temevamo ciò che sarebbe potuto accadere una volta iniziato a discutere del perché lui aveva ucciso Seinji Akuma.
Così, appunto, giornata libera.
Niente di meglio che una giornata libera per discutere di argomenti dei quali nessuno voleva discutere ma che, a quel punto, sembrava necessario affrontare.
La sera prima, mentre tornavo a casa - ad un orario decente - avevo fatto una deviazione verso il quartiere degli Hozuki ed ero andato da Akira.
Domani ho giornata libera, del tutto dissi
Riesci a liberarti anche tu? Ho bisogno di parlarti di una cosa e magari posso fare qui sigilli di cui mi hai parlato. Mi aveva chiesto un modo per portare le armi, più pratico di un enorme rotolo di richiamo che forniva l'Accademia, perché la sua
collezione stava diventando esageratamente ingombrante.
Ero certa che lui sarebbe riuscito a liberarsi. Probabilmente avrebbe semplicemente sbolognato il suo lavoro a Kensei o avrebbe inventato qualche scusa o magari semplicemente poteva farlo. Magari gli avrei messo un pizzico d'ansia quando avevo detto che "dovevamo parlare", ma era vero. Non avevo specificato alcun soggetto, ma lui poteva immaginarlo (davvero? Akira era sempre stato ottimo a fraintendere le situazioni).
L'avrei atteso a circa metà mattinata. Avevo lasciato la porta aperta, così sarebbe potuto entrare da solo e mi avrebbe trovata in cucina, con un outfit di tutto rispetto: pigiama autunnale
verde con fantasia di panda, la ciocca di capelli che mi ricadeva sull'occhio destro tirata indietro e tenuta da un fermaglio, intenta a leggere distrattamente una rivista senza senso. Non ero minimamente capace di godermi la libertà, lo si vedeva ad un miglio di distanza.