L'Ombra del GiganteAkira-Sanjuro

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  1. Jotaro Jaku
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    L'ombra del gigante


    Viaggio romantico



    Era una mattina come tante altre, il sole non era ancora sorto, ovvero non era ancora trapassato tra le nebbie che avvolgevano la valle paludosa dove sorgeva Kiri, ma qualcuno era già in piedi, intento a fare i bagagli. Gassan aveva quasi terminato di confezionare la borsa di Sanjuro, mentre questi ancora scrutava il futuro controllando la disposizione dei fagioli che lui stesso aveva lanciato nel piatto, pratica comune tra li sciamani, per prevedere i segni del tempo che doveva ancora arrivare. Aveva avuto una notte agitata lo sciamano, qualcosa aveva disturbato il suo sonno, come se qualcuno stesse cercando di conversare con lui attraverso l'attività onirica, o almeno questo era quello che pensava Gassan, da buon bastone. Il Kiriano albino quindi posizionò la maschera da viaggio sul capo, con il buon Toru che non aveva mai smesso di dimenarsi su di essa, e afferrato Gassan, prese il sacchetto che il fido alleato aveva preparato per lui, e dopo averlo caricato su una spalla, lasciò la catapecchia nella palude, superando il tendone da circo che aveva adibito a ufficio privato del consigliere. Sanjuro si diresse quindi in amministrazione.

    Nel palazzo della burocrazia di Kiri, Sanjuro avvisò uno degli addetti che sarebbe partito per una missione segreta, e in caso di bisogno, Itai avrebbe trovato un fascicolo della missione in questione nella sua scrivania, in uno dei cassetti. Ovviamente diceva il vero, e il Kage avrebbe trovato un fascicolo, ma semplicemente si trattava di una cartelletta di carta gialla umida, con al suo interno delle alghe secche, un occhio di capra e un disegno della mano destra di Sanjuro, che lo sciamano aveva effettuato ricalcando i contorni nella sua mano, utilizzando dei pastelli. In caso di ulteriori richieste, il consigliere avrebbe semplicemente osservato l'orizzonte, in quel caso la parete dietro l'addetto in questione, pronunciando parole incomprensibili, non distinguibili dai suoni di sofferenza del gabbiano che portava in testa.
    Abbandonando il palazzo del potere della Nebbia, con il suo fido bastone e un sacchetto da immigrato sulla spalla, Sanjuro si diresse nell'unico posto a Kiri, dove poteva sentirti a casa, se non si contava la palude. E il negozio di caramelle, e l'estetista, e lo studio dell'esperto di rimozione verruche.
    Casa di Akira.
    Non fu chiaro se aveva oltrepassato volontariamente la sicurezza del quartiere Hozuki, o se furono i membri del clan stesso a lasciarlo passare a quell'ora nel timore di beccarsi chissà qualche malattia sessuale o la diarrea, a ostacolarlo, fatto sta che alle 6.15 del mattino si trovava davanti alla porta di casa di Akira.
    Bussò la prima volta lo sciamano, senza ottenere risposta, quindi bussò una seconda volta. Nuovamente non ottenne risposta.
    Quindi, preoccupato che il ritardo del ragazzo nel rispondere potesse provocare uno scompenso nell'equilibrio alimentare di ciò che era rimasto della popolazione dei Dodo, Sanjuro manipolò l'acqua nell'impianto della casa, avvicinando una mano ad uno dei tubi che arrivavano dall'acquedotto, e iniziò a ghiacciare parte dell'impianto. Circa 30 secondi dopo, i giunti iniziarono a scoppiare per la pressione, trasformando la casa in un campo minato su cui un Otese ubriaco giocava a paintball. A quel punto, con i tubi in frantumi e l'acqua che stava allagando buona parte della dimora, Sanjuro riprese a bussare, fino a che Akira non fosse comparso alla porta, o da una finestra.

    A quel punto, quando il ninja fosse stato finalmente pronto a mostrarsi, Sanjuro gli avrebbe rivolto poche criptiche parole, il cui senso probabilmente non avrebbe avuto significato per nessuno, tranne per uno shinobi esperto come Akira che ormai aveva avuto a che fare con lo sciamano più di una volta. Oltretutto, vennero pronunciate in maniera estremamente seria.

    Andiamo, missione segreta, porta un limone.

    Non disse altro. Semplicemente si girò e iniziò ad incamminarsi, con i tombini accanto alla casa di Akira che avevano preso a saltare per aria. Il misticismo era palpabile nell'aria come una torta al cioccolato che veniva tagliata da un uomo la cui fame era stata plasmata da una cavalcata a pelo di pecora per 72 ore.
    Uscendo dal quartiere Hozuki, Sanjuro aveva lasciato un bigliettino a uno dei piantoni, con i codici bancari per addebitare i danni al Mizukage. Non era chiaro come ne fosse venuto in possesso, ma dopo la festa per il nuovo anno doveva aveva praticamente ipotecato il villaggio, Sanjuro aveva sempre lasciato in giro coordinate bancarie che avrebbero generato fatture all'indirizzo di Itai, che il Kage non se ne fosse accorto o che non controllasse minimamente la sua situazione finanziaria, era un altro paio di maniche.
    La destinazione era il porto, l'imbarcazione, fin troppo nota ad Akira.



     
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