L'Era GlacialeFebh, Kato, Fudoh e Munisai, al freddo.

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    Salto in Alto


    L'Era Glaciale • Capitolo II

    Lo Yakushi sembrò non gradire il tono confidenziale di Munisai.
    Il rosso non era un tipo che amava particolarmente l'eccessiva formalità nel rivolgersi al suo prossimo, compresi suoi eventuali superiori. Non è che fosse estraneo all'etichetta e alle buone maniere, sapeva bene come ci si comportava in società e sapeva anche che molte persone, piuttosto che ambire alla concretezza della sostanza, erano morbosamente attaccate alle liturgie di una forma essenzialmente vuota. Come se il concedere rispetto si manifestasse sotto forma di un inchino o di un appellativo altisonante, come se il rispetto stesso spettasse in automatico a chi ricopriva una certa posizione nella società.
    Il ragazzo non la vedeva così, ai suoi occhi solo le azioni facevano acquisire o perdere rispetto, null'altro. In fondo siamo fatti tutti di carne e sangue, e lui adottava un approccio il più paritario possibile ogni volta che poteva. Grosso modo, quando aveva a che fare con qualcuno per la prima volta, andava molto a intuito. Cercava di capire come gli convenisse muoversi, o comunque che tipo di persona avesse di fronte.
    Ed il problema, in quella circostanza, era proprio il suo limite nel comprendere il superiore.
    Mentre, ad esempio, un Kato era facile da inquadrare e sapeva che egli avrebbe prediletto una certa formalità e deferenza nei suoi confronti, la stessa immediatezza di lettura era impossibile con un personaggio come Febh. Non gli era parso uno che badasse troppo ai convenevoli, anzi sembrava lui stesso uno dai modi molto spicci, bruschi, spesso anche gratuitamente offensivi. Per questo gli era venuto spontaneo dargli del tu malgrado la differenza di grado, ma forse aveva trascurato la sua vanità o comunque la volontà di tenere i propri sottoposti sotto schiaffo.

    A dirla tutta, il giovane non sapeva neanche se prendere il disappunto dell'altro troppo sul serio.
    La possibilità che, in realtà, stesse facendo solo scena e in realtà non gliene fregasse un tubo di come ci si rivolgeva a lui era tutt'altro che trascurabile, tuttavia Munisai decise che non era saggio mettere alla prova una semplice ipotesi con un soggetto così imprevedibile, quindi lo assecondò.
    Perdoni la sfacciataggine di poc'anzi, starò più attento in futuro disse, chinando brevemente il capo, mentre la bocca si piegava in maniera indecifrabile.
    Il tono non era esattamente contrito, diciamocelo, ma era sicuramente educato.

    Quando arrivò il Chunin della Foglia, lo Yakushi rivelò un nuovo aspetto di sé: il razzismo.
    Oddio, a onor del vero l'uomo perculava e maltrattava tutti democraticamente, non c'era scampo per nessuno, eppure, dopo aver ingiuriato il kiriano per la sua provenienza, dimostrò una chiara avversione per il nuovo arrivato, che chiaramente non aveva mai incontrato, per il solo fatto che fosse di Konoha.
    Il rosso non ci badò troppo.
    Si limitò a voltarsi verso il nuovo elemento del team, facendogli un mezzo sorriso.
    Io sono Munisai, Genin di Oto si presentò, lapidario.
    Il Jonin si era rifiutato di ripetersi e mettere al corrente anche Shin delle poche informazioni sulla missione, quindi in teoria sarebbe spettato al secondo per rango, ovvero allo Yotsuki, l'onere di fare un rapido briefing al ritardatario.
    Solo se ciò non si fosse verificato, Munisai, senza troppo entusiasmo, sarebbe intervenuto per mettere al corrente il compagno.
    Per farla breve, questa è principalmente una missione di protezione.
    Ci imbarcheremo su una nave mercantile e dovremo difenderne il carico e l'equipaggio da dei pirati che molto probabilmente tenteranno di abbordarla e saccheggiarla.
    E presumo che dovremo anche fare il culo ai suddetti pirati, così da porre fine definitivamente alle loro scorribande.


    Mentre il veliero si avvicinava alla banchina, il rosso subì in religioso silenzio le lamentele dello Yakushi riguardo l'incompetenza dei presenti, e nello stesso silenzio ma con il massimo interesse e attenzione ascoltò la spiegazione riguardante quegli specifici utilizzi del chakra.
    Si parlava di capacità e azioni quasi sovrannaturali rese possibili da un controllo raffinato e preciso dell'energia che albergava in ogni essere vivente, ma che solo i ninja erano in grado di sfruttarle al massimo del suo potenziale.
    Munisai aveva ovviamente letto di quel genere di applicazioni del chakra su dei rotoli nella biblioteca del Suono, magari ne era stato anche testimone una volta o due, tuttavia tentare di metterle in pratica senza una guida si era purtroppo rivelato infruttuoso. Malgrado quei concetti suonassero così dannatamente semplici, non si trattava di qualcosa che si potesse apprendere senza allenamenti mirati, ed il fatto che persino alcuni Chunin, quindi shinobi di una certa esperienza, avessero ancora delle lacune in quel campo ne era la riprova.
    Il ragazzo non poté che gioire, dunque, quando capì che il viaggio in mare sarebbe stato l'occasione per cominciare a lavorare su quelle sue mancanze che reputava odiose e inaccettabili. Proprio così, gioì e fu grato a Febh perché lo avrebbe aiutato a compiere un nuovo, importante passo in avanti sul suo cammino.
    Il povero fesso non sapeva cosa lo aspettava.

    [ ... ]


    Appena imbarcato sull'Era Glaciale non ebbe neanche il tempo di dare uno sguardo in giro e scambiare due parole con la ciurma che Febh affibbiò a lui e ai suoi compagni di sventure dei pesi da dover indossare. In men che non si dica si ritrovarono in quattro a spazzare e lucidare il ponte di coperta, che ovviamente era fatto di ghiaccio come la quasi totalità del veliero.
    Una cosa inutile come poche.
    Cosa poteva esserci mai da spazzare? E soprattutto, a cosa serviva lucidare il ghiaccio?
    Interrogativi che sarebbero rimasti perlopiù inevasi, almeno per il momento.

    Lavorando insieme il gruppetto riuscì a svolgere il compito senza troppi problemi, nonostante i pesi rendessero i movimenti più lenti e macchinosi, e portassero a stancarsi più velocemente. Il fatto era che, anche dopo finito, gli fu ordinato di ricominciare da capo, ancora e ancora, in un loop che durò delle ore.
    Munisai riuscì bene a nascondere la frustrazione che provava, e non tanto dovuta al dover sfacchinare in quel modo, quanto piuttosto al non vedere un senso in ciò che gli era stato detto di fare. Ma restò al suo posto e fece la sua parte senza fiatare, usando quel tempo almeno per pensare a come rendere più vivibile la sua permanenza su quella nave.
    Come già accennato, il rosso era abituato a climi estremamente rigidi, tuttavia nessuno gli aveva comunicato che avrebbe dovuto trascorrere due o tre giorni in un freezer galleggiante, altrimenti si sarebbe meglio equipaggiato per i freddo. Aveva un cappotto pesante, stivali robusti e calzini imbottiti, ma per il resto il suo abbigliamento non era niente di chissà che.
    Il piano era semplice e lineare: cercare di non morirci assiderato su quella bagnarola.

    Ecco, la prima cosa erano le calzature. Aveva subito notato come i membri dell'equipaggio avessero tutti degli stivali che sembravano permettere loro di spostarsi sul ghiaccio senza alcuna difficoltà.
    Ora, non era ben chiaro se ciò fosse dovuto a come erano progettati, tipo con dei tacchetti di metallo per migliorare la presa sulla superficie, oppure ci fosse dietro qualche trattamento con il chakra, fatto sta che averne un paio avrebbe facilitato di molto la vita al ragazzo, dato che non era capace di aderire a quel pavimento tutt'altro che sicuro. Certo, c'erano delle pedane di legno su cui poteva camminare tranquillamente, ma queste non ricoprivano ogni parte della nave, e avere la massima libertà d'azione sarebbe stato auspicabile, specialmente se ci fosse stato da combattere.
    Fu così che alla prima pausa concessa da Febh, probabilmente quella serale, Munisai avrebbe avvicinato un ragazzo piuttosto giovane, che si sarebbe rivelato essere il mozzo, chiedendogli se poteva procurargli un paio di quegli stivali. Non era proprio facile che ce ne fosse un paio in più e della misura adatta, tuttavia valeva la pena di fare un tentativo. In fin dei conti, come non avrebbe mancato di fargli capire, sarebbe stato solo nel loro interesse che ogni membro della loro scorta fosse nelle migliori condizioni per poter agire al momento del bisogno.

    Oltre a questo, era fondamentale tenersi caldi in ogni modo.
    Ogni forma di riscaldamento era bandito sul veliero, per ovvi motivi, quindi non restava che coprirsi bene e tenersi attivi. Beh, a quell'ultimo aspetto pensava Febh. Fin troppo.
    Mangiare pasti nutrienti e caldi. Zuppe, minestre. Il cuoco di bordo sicuramente sapeva cosa fare al riguardo.
    Magari farsi un bicchierino o due col primo ufficiale, che si sa, una bevanda alcolica di qualità riesce a scaldare sia il corpo che lo spirito.

    Ma il problema più grosso era forse il dormire.
    Finché si era svegli, in movimento, il freddo lo si poteva sopportare. Uno ci faceva l'abitudine a un certo punto.
    Ma appisolarsi a temperature sotto lo zero? Senza una fonte di calore decente?
    Quando il giovane ebbe l'opportunità di visitare i dormitori scoprì che anche i giacigli erano scolpiti nel ghiaccio. C'erano anche delle coperte, certo, ma restavano comunque più bare che letti. Quel dannato Shinretsu aveva chiaramente qualche rotella fuori posto.
    Fu così che, sempre nella sua ora di libertà, Munisai si sarebbe procurato una cima o comunque del cordame, che su una nave non era mai difficile da reperire e in abbondanza, e in quattro e quattr'otto si sarebbe fatto un'amaca di fortuna, intrecciando e annodando abile e veloce le funi a propria disposizione. In caso di necessità avrebbe anche potuto sfruttare della corda che aveva con sé, ma probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno.
    Al momento di andare a riposare, l'avrebbe messa in sospensione, ben lontana dal pavimento gelato, ci avrebbe buttato sopra le coperte e ci si sarebbe avvolto dentro come un bruco nel suo bozzolo. Questo avrebbe dovuto garantire la minore dispersione di calore possibile e permettergli di dormire decentemente, almeno fino alla impietosa sveglia dello Yakushi.

    Tutto ciò sarebbe avvenuto, ma più avanti.
    Adesso riportiamo indietro l'orologio e torniamo ai nostri quattro disgraziati alle prese con le più inutili pulizie della storia.


    Erano ormai quattro ore che andava avanti quella solfa e tutti erano parecchio stanchi, Munisai forse più di altri. Finalmente il Jonin giudicò che poteva bastare così, liberò tutti dai pesi e li divise.
    L'addestramento poteva avere inizio. Forse.

    Munisai fu accompagnato verso la parte posteriore della nave, di fronte al castello di poppa. C'era un cerchio disegnato sul pavimento, il ragazzo vi entrò.
    Non dico di stare a piedi nudi sul ghiaccio ma puoi tenere le calze, sono generoso, lo so. Comunque con il freddo sarà difficile concentrarsi, ma quello che ti serve è impastare chakra nei piedi, una piccola quantità ma con cadenza costante, continuamente. Sentirai come se fossi attaccato al ghiaccio, e non per le ustioni, ma aumentando la frequenza d'impasto e leggermente la quantità ti sentirai come respinto. Quello che devi fare è riuscire a coordinare la lieve spinta con il tuo salto per guadagnare un paio di metri. Questo senza sfracellarti sul muro, se riesci.
    Esalando uno sbuffo di vapore acqueo, Munisai non fece altro che rivolgere lo sguardo al superiore facendo un cenno secco con la testa in segno d'intesa, dopodiché, sia che Febh fosse restato a osservarlo sia che fosse andato via, il ragazzo si sarebbe messo all'opera senza pensare ad altro.
    La prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata rimuovere la cotta di maglia. Non tanto per il peso, irrisorio, quanto piuttosto perché vestire una camicia di metallo a quelle temperature non era il massimo in termini di efficienza termica. Poi, si tolse stivali e calzini. Accettare la concessione dello Yakushi di tenere questi ultimi, infatti, sarebbe stato abbastanza controproducente. Una volta che si fossero bagnati a contatto col ghiaccio, tenerci i piedi dentro sarebbe stato molto peggio che stare scalzo. Dunque se non poteva indossare gli stivali, sarebbe stato direttamente a piedi nudi.
    Guardò in alto verso il cassero. In realtà saltando e alzando le braccia ci si sarebbe potuto aggrappare e issare sopra, la sua statura di sicuro lo aiutava. Ma il punto non era quello, l'obiettivo era atterrarci con i piedi sopra e quella era un'altezza ben al di là delle sue possibilità.
    Senza pensare troppo, fece subito un tentativo. Saltò più in alto che poteva e, come previsto, alzando le braccia riuscì ad aggrapparsi, ma la superficie era scivolosa e subito le mani persero la presa facendolo cadere rovinosamente a terra. Di schiena. E il ponte di ghiaccio era impietoso, rigido come il marmo.
    Si rimise in piedi imprecando a mezza voce, cercando a quel punto di seguire le indicazioni ricevute.
    Tentò di concentrare una piccola quantità di chakra sotto la pianta dei piedi, mentre a intervalli regolari provava a staccare i piedi da terra per vedere se stesse funzionando. Basarsi sulla sensibilità era praticamente impossibile, le estremità inferiori l'avevano in gran parte persa.
    Nel corso di quell'allenamento il rosso fu costretto a delle pause frequenti per dare tregua ai propri piedi, premendone le palme contro le cosce e stringendone le dita tra le mani per rinfondervi calore, mentre stava disteso sulla schiena. Una accortezza che, con un po' di fortuna, avrebbe evitato l'insorgere di lesioni da congelamento.
    Ma l'esercizio doveva andare avanti nonostante le avversità.
    Poggiando le mani sulle gambe e restando immobile, chiuse gli occhi visualizzando nella mente l'immagine dei propri piedi che emettevano in continuazione una sostanza viscosa, che si espandeva poco a poco sulla superficie su cui poggiavano e penetrava nelle sue profondità.
    Un flusso costante dalla frequenza stabile, appena accennato, ma perpetuo. Era come se il suo corpo respirasse senza l'ausilio dei polmoni, come se dalle sue estremità uscisse un alito costante d'energia diretta verso il basso che gli impediva di sprofondare in quel sarcofago di ghiaccio.
    Dopo svariati tentativi sentì che qualcosa stava cambiando, forse iniziava a funzionare. I piedi cominciarono a staccarsi a fatica da terra, ma il controllo era tutt'altro che preciso. A volte gli capitò accidentalmente di espellere troppo chakra, il che ebbe come curioso risultato il farlo sdrucciolare sul ghiaccio come un pattinatore ubriaco.
    Tuttavia era sul controllo della repulsione che doveva concentrarsi, e su quel benedetto salto.
    I suoi muscoli erano sia indolenziti per la fatica del precedente lavoro che scossi dal freddo, e lo scorrere del tempo non migliorava certo le sue condizioni psicofisiche, ed in particolar modo lo stato dei suoi piedi.
    Quindi non si affinò troppo sulla adesione al terreno. Semplicemente, non appena si accorse che il chakra fluiva più o meno correttamente, cercò di aumentare la frequenza e diminuire l'intervallo di emissione, aumentando leggermente la quantità di chakra impiegato e tentando di espellerlo in un colpo solo dopo averlo accumulato. In effetti era l'azione opposta alla precedente.

    I primi tentativi, senza ancora rischiare il balzo, si tradussero nelle cadute più rovinose. Quella spinta improvvisa e priva di controllo rendeva lo stare in equilibrio sulla già precaria superficie una mera utopia. Qualche livido non glielo avrebbe tolto nessuno per la fine di quella storia.
    Quando il chakra era troppo poco non succedeva niente, o si limitava ad aderire, quando era eccessivo invece riceveva una spinta esagerata e irregolare che lo sbalzava bruscamente facendolo finire a terra, ma ci si divertiva davvero quando perdeva il controllo sulla direzione del flusso. Se esso non era perfettamente perpendicolare al piano d'appoggio, infatti, il poveretto finiva sparato in avanti, o indietro, o chissà dove, con risultati disastrosi.

    Svariate botte e innumerevoli tentativi fallimentari più tardi, sembrò finalmente cominciare a venirne a capo.
    L'effetto di spinta era più contenuto, più controllabile. Più focalizzato, soprattutto. Capì che la chiave era la costanza nel dosare l'impasto e il tempismo nel rilascio dell'energia. Non era tanto una questione di sprigionare potenza in maniera esplosiva, quanto piuttosto di imbrigliarla, liberarla sapientemente dopo averla accumulata in un punto preciso. Ora non restava che associare la spinta con il salto.
    Non fu proprio una passeggiata di salute, e quel fottutissimo pavimento di ghiaccio rendeva tutto molto più difficile, sia in termini di stabilità nello spiccare il balzo, sia al momento dell'atterraggio, che due volte su tre si traduceva nell'ennesima caduta. Questo portò Munisai a sperimentare ancora con l'adesione nel tentativo di limitare i danni, ma i risultati furono solo sporadicamente positivi, e comunque era qualcosa di assolutamente secondario.
    Fece appello a tutta la sua tenacia e a ogni grammo di concentrazione che gli era rimasto, tutto rivolto a completare quell'esercizio. Aveva il fiato corto, era stremato, pieno di sudori freddi, ma cos'altro poteva fare se non insistere? E al diavolo le cadute, tanto era già tutto ammaccato.
    Lui continuò a provare, e un salto dopo l'altro cominciò a guadagnare centimetri.
    Certo, andò anche a spalmarsi sul muro alcune volte, e in particolare una facciata sarebbe stata memorabile se solo qualcuno fosse stato presente ad apprezzare il lato comico delle fatiche del rosso, ma lui continuava e imperterrito conquistava altezza. Fino a quando la sua capacità di coordinare un controllo ineccepibile del chakra e il comando impartito ai muscoli non fu perfetta.

    Piegando le gambe e abbassando il baricentro, sentì il chakra formicolargli sotto ai piedi per qualche istante prima che, nel momento in cui questi stavano per staccarsi dall'algido ponte, una spinta decisa arrivò dal basso incrementando la prestazione del gesto atletico.
    Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva cominciato l'addestramento, aveva completamente perso la cognizione del tempo, ma finalmente riuscì nell'impresa, atterrando sul castello di poppa. Oddio, appena mise piede sulla nuova stazione scivolò cadendo rumorosamente di schiena, ma il giovane nemmeno parve accorgersene. In un batter d'occhio fu in piedi e si mise a correre giù per le scale che lo avrebbero ricondotto al punto di partenza, un ghigno esaltato dipinto sul volto.
    Doveva accertarsi che non fosse stato un colpo di fortuna.

    Non lo era stato. Riprovò l'azione alcune volte ancora, e ogni tentativo si trasformò in un successo.
    HAHAHAHAHAHAHAHA!
    La risata del ragazzone, piena di soddisfazione e in parte di sollievo, probabilmente si sarebbe sentita per mezza nave.



    Non metto consumi, danni, cazzi e mazzi perché non saprei bene come gestire la cosa, i tempi che se ne vanno e il resto. A seconda delle tue indicazioni, aggiungerò alla tabella riassuntiva dal prossimo turno se è il caso.

     
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41 replies since 25/9/2018, 22:09   842 views
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