Una promessa dal passato

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  1. Jotaro Jaku
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    Una promessa dal passato


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    Nonostante avesse al suo fianco forse lo spadaccino più potente che avesse mai incontrato, Jotaro non era riuscito a evitare di comportarsi come suo solito, come aveva sempre fatto con ogni allievo che gli era passato davanti, trattandolo con sufficienza, come se la sua comprensione della situazione non fosse fondamentale. In quel momento si rese conto che probabilmente, questo suo modo di aver cresciuto i suoi allievi, era stato uno dei fallimenti che avevano generato la sua grande delusione nella nuova generazione. Per la prima volta dopo molto tempo, rispose, in maniera chiara, come quando era lui a essere interrogato, nella fredda e inospitale aula di Rengoku, tanto, troppo tempo fa.

    << Perdonami, Kamuro era il mio compagno. Era un combattente del tuo villaggio, e mio fratello tra la fila delle guardie di mio padre. Sotto il suo vessillo abbiamo servito, conquistato, e combattuto più battaglie di quelle che posso ricordare. Un fratello fidato, forse più del Mikawa, e io darei le spalle al colosso di Oto ogni giorno della settimana. Questo non bastò a rendermi più coscienzioso; ne causai la morte, assieme a quella di tutte le altre Ombre anni fa, davanti alle porte della perduta città di Shulva, che stupidamente cercammo di assaltare sotto richiesta del nostro capo illuminato. Di tutti i presenti riuscii a trascinare via solo il corpo di Kamuro, e dopo la morte di Ayato, raccolsi la sua Samehada e la depositai nella tomba che avevo creato per Kamuro, nella speranza restasse sepolta lì per sempre, sotto i ghiacci. >>

    Dopo una vita segnata dall'orgoglio per la strada che aveva percorso, Jotaro raccontava quegli avvenimenti come un padre deluso, incapace di rendere migliore la vita dei figli. Non era comunque Kamuro il ninja della sua era di cui stava parlando. Il fratello bonario della Nebbia era venuto dopo; era di un'altra era che il ronin stava parlando. Un'era precedente. Un periodo di cui, fortunatamente, i testimoni scarseggiavano, e se anche la storia venne si tramandata dai vincitori; sembravano ormai terminati pure questi ultimi. Prima di partire per il luogo oscuro, altre spiegazioni arrivarono ad Akira. Considerata l'entità di quello che stavano per fare, e dato che probabilmente non sarebbero affatto tornati assieme, gli doveva almeno la verità.

    CITAZIONE

    Stai per caso perdendo le speranze, Jotaro? Non tutto è perduto, c'è ancora chi combatte per qualcosa di giusto... Io combatto. Io combatterò.


    Jotaro si voltò verso Akira, e gli sorrise, come il fratello maggiore sorride al più piccolo, dopo averlo scoperto a commettere una marachella.

    << ...Ma tu non basterai. Come non basterò io. Come non basterà nessuna delle persone che erano alla riunione. >>

    Si chinò e strappò un filo d'erba piuttosto lungo dal manto erboso sul promontorio. Lo tenne tra le dita, e senza la minima fatica, semplicemente muovendo le mani, il filo si spezzò senza opporre resistenza. Quindi si chinò e strappò nuovamente dell'erba, ma stavolta una decina di steli. In fretta li intrecciò tra loro, come si intrecciano i fili di paglia per creare i cesti, quindi dette un nuovo strattone, ma stavolta l'intreccio di fili assorbì il colpo, e le mani di Jotaro che avevano provato a strappare i fili, vennero strattonate indietro, rendendo vano il tentativo. Quindi alzò le mani ad Akira, per mostrargli i fili intrecciati.

    << Questa doveva essere la riunione. Solo uniti vinceremo, ma non siamo uniti. Cantha, I Cremisi, le Organizzazioni sul continente, troppi nemici, io ho provato a formare una nuova generazione di ninja, ho sacrificato tutto quel che potevo, e per quanto io sia grato del tuo interesse per salvare il nostro mondo, tu non sei abbastanza. Nessuno di noi da solo lo è. >>

    Aveva ormai poggiato la pergamena a terra, e si stava preparando ad attivarla con l'ausilio della lanterna di Akira, quando aggiunse:

    << Molti anni fa, ero poco più che un ragazzino e avevo le mani sporche di sangue, così sporche che la lordura arrivava fino ai gomiti. Incontrai Gaara per la prima volta, e vedendo la mia sete di battaglia, mi sorrise soddisfatto. In quell'occasione mi spiegò che l'Accademia non si fonda sulla pace. La grande guerra finì perchè avevano finito gli avversari. Chi era rimasto era troppo stremato per opporsi. Per questo quando mi resi conto che l'Accademia era divenuta un despota tanto quanto un qualsiasi dittatore di Cantha, decisi, decidemmo, di fare qualcosa. >>

    Per la prima volta, Akira vide lo sguardo che per molti anni aveva avvampato negli occhi di Jotaro, lo sguardo che per il bene comune, aveva deciso di sotterrare sotto metri e metri di cenere fumante. Gli occhi gli divennero neri, con le iridi rosse come il sangue ribollente, una particolarità che si manifestava anche in Ayato, per chi ebbe la sfortuna di trovarsi davanti a lui in quei momenti, retaggio di chissà quali popoli perduti.

    << Sognammo, sognammo un mondo libero, senza bandiere, senza despoti, senza bisogno di seminare paura; Mataza Tsumuji, io, e ... Hayate Tamasizu. >>

    In quel momento la lanterna si illuminò, generando l'apertura della pergamena che aveva intrappolato Fyodor per anni, con la quale aveva provato ad eliminare senza successo Orochimaru molti decenni prima. Il rotolo esplose in una nube di sangue tale da oscurare il sole, e tutto divenne buio.



     
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