Una promessa dal passato

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  1. Jotaro Jaku
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    Di nuovo assieme


    Il lanciere e l'erede



    [Akira]

    CITAZIONE

    Tu... Conosci Hayate?
    Jotaro, per favore, basta enigmi. Che cavolo significa che tu sei già stato qui? Sei morto e resuscitato, vorresti dirmi?
    In che modo questo Mataza dovrebbe esserci utile? O meglio... Esserti utile... E non mi farò ingannare da questo posto... Non...


    Jotaro avrebbe risposto alle domande di Akira, ma senza mai rallentare o bloccare il passo. Come una guida di montagna che narra la storia della valle mentre accompagna i viaggiatori, ma non rallenta, conscio che sulle pendici ghiacciate, ogni istante perso può essere fatale. L'accademia Akira è più vecchia di te. I ninja sono ancora più antichi. Prima che tu ti arruolassi, altri ninja solcavano la tua stessa terra, altre storie, altri poteri. Ci sono racconti che si sono persi nel tempo. Come ho aizzato per anni Kiri e Oto ad azzannarsi a vicenda, perchè producessero una nuova generazione du guerrieri, dopo che la calma piatta aveva reso tutti grassi e pigri. Come un traditore di Oto si sia seduto sulla poltrona più alta della foglia per anni, o come il Mikawa abbia salvato la vita al vostro vecchio Mizukage, impedendomi di ucciderlo in un momento di poca lucidità. Hayate è uno di questi racconti. Era un uomo un tempo, un uomo come te e come me. E noi vagavamo assieme, combattevamo e soffrivamo assieme, come fai tu con i tuoi compagni.

    Quindi per la prima volta dall'inizio della spiegazione si fermò un istante e si voltò indietro verso Akira, con sguardo serio. Aveva visto molto dei ninja che oggi dominavano i racconti più leggendari, quando erano ancora degli apprendisti che a malapena riuscivano ad arrampicarsi sugli alberi.

    Il mio passato e il tuo presente, è tutto collegato. Domani sarai tu il prossimo Hayate ?

    E continuò a fissarlo, come per avere una risposta, ma anche per ammonirlo. Chiunque poteva essere Hayate. Oggi Akira era uno spadaccino di Kiri, aveva un'amata nel villaggio, un rivale spadaccino, e un mentore particolare, ma sarebbe bastato poco. Una scelta sbagliata, la morte di una persona cara, un punto di vista, e tra dieci anni, o venti anni, avrebbe potuto essere lui il prossimo Hayate, e seminare morte in giro come si semina un campo. Poi Akira sbiancò, anche lui aveva iniziato a vedere.
    A quel punto aggiunse un dettaglio sull'altra cosa chiesta da Akira, anche se dubitava che il ragazzo lo stesse sempre ascoltando.

    Non penserai davvero che sia sopravvissuto al Gelo... Poi Akira scomparve, ma Jotaro non se ne accorse, e continuò a camminare sempre rivolto in avanti, convinto di avere dietro il suo accompagnatore. Percorse altri metri prima di spiegargli nuovamente che Mataza poteva aiutarlo a trovare Hayate, ma i dettagli si persero nelle nebbie eterne del Bonshuno.
    Ogni volta che rimetteva piede in quel posto era sempre uguale, eppure cambiava qualcosa. La prima volta che era morto, Rengoku lo aveva ucciso, a Oto, davanti a molti altri. Non seppe mai se quella dimostrazione fosse stata architettata con Amano per renderlo più forte, ma si trovò nel Bonshuno; era giovane, inesperto, spaventato. Era un ninja da pochissimo tempo, appena fuggito da Suna dopo aver ucciso il suo padre adottivo, e alla ricerca del suo vero era finito al Suono, dove era divenuto un ninja, e poco dopo era stato massacrato. La lama interna nel braccio della sua maestra lo aveva decapitato nell'arena del villaggio, facendolo cadere a terra come un sacco di patate.
    La cosa gli tornò in mente in quel momento. Aveva vagato nel Bonshuno in preda al terrore, prima che suo nonno lo riportasse nel mondo senza mai spiegargli il perchè.
    Era successo di nuovo. Molte altre volte. Al punto che gli spiriti di quel luogo aveva preso ad ignorarlo, come fosse una costante presenza distorta.

    [Mataza]

    Indra era particolarmente loquace. A Jotaro questo non piaceva, lo preferiva silenzioso. Anche perchè più parlava più tornava ad essere un mortale, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti. Hayate era necessario, doveva capirlo, qualunque cosa fosse quell'entità a Cantha, non si sarebbe fermata, e qualunque aiuto sarebbe stato necessario, anche quello di Hayate, e l'Antico sapeva bene che l'Uomo misterioso era ben più pericoloso dell'Immortale. In tutta la sua grande saggezza, Indra non aveva mai proposto a Jotaro, quando si trovava a Cantha, di distruggere QUEL nemico, perchè sapeva di non esserne in grado.
    Solo adesso, davanti a uno dei ninja che Jotaro aveva sempre ritenuto tra i più abissalmente potenti, il ronin si rese conto che tutti loro non erano che mosche, e che l'imperatore di giada li avrebbe tutti schiacciati. Per questo non rispose alle provocazioni, nè si oppose, lasciò che le parole gli scorressero addosso come pioggia.
    Una cosa però era giusta. Ogni volta che Jotaro apriva la porta che lo separava da Indra e poi la richiudeva, qualcosa dell'Antico gli restava attaccata addosso, era sempre meno spaventato, sempre meno suscettibile, stava diventando qualcosa di diverso, qualcosa che cercava di allontanare, ma prima o poi avrebbe dovuto farci i conti.

    Quando Indra utilizzò la Razzia Mentale sull'anima di Mataza, Jotaro venne pervaso da molte sensazioni, poche piacevoli. Il processo potrebbe essere paragonato al voler leggere un intero libro in pochi secondi. La quantità di dettagli, di emozioni, di ricordi che entrarono nella sua mente amalgamandosi ai propri fu così esagerata che gli sembrò di crollare sulle ginocchia, nonostante Febh avrebbe potuto vederlo sempre in piedi. Non era tutto, c'era qualcosa di più, non erano solo ricordi, c'era anche l'esperienza collegata ad essi, come se fosse stato lui stesso, in persona, a viverli. Vide il viaggio di Mataza, era solo. Vide come Ayato e i suoi lo avevano ostracizzato dopo la sconfitta, per la sola colpa di aver voluto mantenere alta la testa. Non lo cercò mai, troppo legato al padre era Jotaro. Non ci provò nemmeno, sapeva che il compagno non avrebbe mai preso la sua parte all'epoca; ma sarebbe davvero stato così ? Ormai non aveva troppo senso chiederglielo. Vide luoghi, persone, armi. Gli sembrò una vita infinita. Vide il Bonshuno, vide Amesoko. C'erano altri laggiù, altri che durante le sue varie visite, non aveva mai incontrato. Si rese conto, Jotaro, che il grande drago era sempre stato sopra di lui, ogni volta che si trovava laggiù, invisibile. Sapeva che l'uomo era un esterno, non vi aveva mai avuto contatto, ma lo teneva d'occhio. Gli Uzumaki erano laggiù, i più grandi sigillatori mai esistiti, e pochi come lui comprendevano la superiorità di simili arti.
    Non aveva mai incontrato veri esperti in quelle capacità, troppe si erano perse nel tempo, troppi pochi maestri, troppi pochi allievi dotati per apprendere, e i sigilli degli Uzumaki si erano persi nelle pieghe del tempo. Forse quella visita poteva dare un ulteriore frutto. Erano frammenti, non certezze, ma avrebbe potuto trovare quello che serviva ad Hayate.
    Poi lo vide, Hayate, arrivare, come se fossi lui sul patibolo, con il grande drago che lo osservava dall'altro mentre l'Immortale straziava ciò che restava di lui, per un tempo infinito. Aveva sperimentato molto Jotaro nella sua vita, ma mai niente di simile. Questa esperienza non sarebbe trascorsa senza effetti.

    Qualcosa dentro di lui si ruppe in quel momento.
    Poi vide se stesso, arrivare come uno spettro, faccia a faccia con se stesso, mettersi una mano sul volto, e tutto diventare scuro.

    A quel punto tutto cessò, Jotaro era fermo a fissare un punto vuoto davanti a sè, dove poco prima c'era l'anima di Mataza. Con la coda dell'occhio poteva percepire Febh che si allontanava lentamente. E Hayate parlare al vento. Era sicuro di aver sentito Indra ridere, ma forse era lui che rideva. Quella parte di lui che aveva accolto Jashin, che aveva sventrato quello studente di Oto quando assieme a lui e Diogene erano usciti dal villaggio, così, senza un reale motivo. Quella parte di lui che si era lanciata alla cieca contro Itai e Shiltar per ucciderli, nonostante non ne avesse il motivo. Per un momento vide la scia di morti che si era lasciato alle spalle, sempre per quello che riteneva uno scopo, e si perse le parole di Hayate.

    Sotto lo sguardo di quella luna infausta, Jotaro protese una mano verso Hayate. Il suo palmo prese a gonfiarsi verso l'altro, poi la pelle prese la forma di un piccolo rotolo che cresceva, sembrava luminoso, fino a che, dopo qualche istante, oltre alla forma prese anche il colore di un rotolo, sembrava ornato, quindi si staccò completamente dalla pelle della mano, increspando la carne come una goccia che cade nell'acqua calma. La mano afferrò il rotolo, e lo porse ad Hayate.
    Non ricordava quando o come, ma l'Antico gli aveva insegnato a scriverne una, o forse era stato direttamente lui a farlo, ma quella era proprio una piccola, remota pergamena come quelle che cercava Hayate, questa però era particolare, conteneva ricordi. Quando Hayate l'avesse aperta, e letta, avrebbe ottenuto le informazioni che cercava da Mataza, tutto ciò che poteva essere ottenuto.

    La mia parte.

    [Febh?]

    Quando l'incontro con l'Immortale avesse raggiunto il suo completamento, Jotaro si sarebbe volto verso Febh, che sembrava sempre più sconvolto. Lui non sapeva bene cosa dirgli, non era più suo compito rassicurarlo, da molto tempo; ma il comportamento del ragazzo era singolare, seppur comprensibile. Lui stesso era stato in preda al terrore la prima volta che aveva messo piede in quella valle, ma era giovane, inesperto. Febh non era così.

    Perdona tutto questo. Abbiamo finito.

    Si sentiva inadeguato. Non aveva idea di come rassicurare lo Yakushi, perchè non sapeva bene nemmeno gestire se stesso al momento. Però qualcosa lo riportò al momento presente. Qualcosa che non aveva mai visto prima di quel momento. La luna inondava di luce il luogo dove si trovavano, ma al limitare del cerchio di chiarore, le ombre si erano fatte sempre più vicine, e al momento lo erano abbastanza da essere visibili. E non sembravano affatto affabili.
    Non erano diffuse tutte attorno a loro però, solo..vicino a Febh. Jotaro non notò questo dettaglio immediatamente, agì più che altro d'istinto.

    Non so perchè sei qui, ma se queste cose ce l'hanno con noi, penso sia il caso di muoversi. Dobbiamo trovare Akira, e non solo lui. Che tradotto significava, dobbiamo andare a prendere il passaggio verso casa, durante il tragitto possiamo fermarci un momento a fare due chiacchiere con antichi ninja. Ad essere sinceri non sapeva se Febh lo avrebbe seguito, ma tra lui e le ombre, non era sicuro di essere il più spaventoso.
    Voleva andarsene era ovvio, ma non voleva nemmeno perdere l'occasione di saperne di più sui sigilli degli Uzumaki. Per tutta la vita aveva studiato le arti dei sigilli, ed era arrivato al punto di non potersi servire di normali metodi di apprendimento, doveva attingere dove poteva. Persino all'inferno se necessario.
    Però sarebbe stato rapidamente chiaro che quelle creature non li avrebbero lasciati andare con troppa facilità. Non so quanto di Febh sia rimasto in te, ma se non vuoi restare qui seguimi, posso farti tornare a Oto, non abbiamo molto tempo. Lo diceva per lui più che altro. Non sapeva da quanto era morto, ma le anime avevano un tempo limite laggiù, oltre il quale non avrebbero potuto tornare indietro. Che fosse quello il motivo per il quale lui non riusciva a restarci? Essendo stato creato come contenitore per le reliquie, non aveva un'anima, per quello forse il Bonshuno lo aveva risputato ogni volta?

    [Akira]

    Intanto lo spadaccino dai capelli azzurri non si era mosso di un passo. Lui era convinto del contrario, ma in realtà il terrore lo aveva leggermente pietrificato, e si trovava immobile nel punto esatto dove aveva perso di vista Jotaro e Febh. Le nebbie attorno a lui lo stavano cingendo lentamente, come un serpente che ingoia senza fretta una preda. Più restava immobile in quello che pensava essere il cratere del Gelo, più la sua paura cresceva, e più questa cresceva, più il suo corpo rallentava, nonostante volesse imporre il movimento. I fumi del bonshuno erano divenuti di un verde molto oscuro, e lo avevano quasi del tutto avvolto, quando due figure apparvero nella sua testa, davanti a lui. Erano sfocate, non era in grado di riconoscerle. Se qualcuno avesse potuto osservarlo, avrebbe notato come Akira fosse con la bocca e gli occhi spalancati, illuminati di verde smeraldo e con la bocca che emetteva il medesimo fumo, era ormai quasi stato catturato dalle nebbie, e stava protendendo una mano in avanti, come per raggiungere le figure che gli si stagliavano davanti. Una delle due sembrava un uomo sulla quarantina, forse più vecchio, vestito da ninja, così come l'altra figura, vestita in maniera simile, ma dei vistosi capelli azzurri come i suoi. Nonostante cercasse di visualizzarli però, le immagini restavano sfuocate, e in ogni caso non riusciva a collegare niente nelle sue emozioni, a quelle due figure. Le quali si erano quasi del tutto avvicinate, e ormai erano quasi arrivate a toccarlo, ancora per poco e avrebbe potuto afferrare la mano della donna.

    Quando furono abbastanza vicini da quasi sfiorarsi, Akira avrebbe avuto finalmente una chiara visuale. La donna non era una donna, era una figura oscura, con gli occhi vuoti e una leggera nebbia verdastra che usciva dalle orbite incavate, e nel momento in cui le avrebbe toccato la mano sarebbe stato troppo tardi.



    Eppure non fu annichilito, asservito al Bonshuno. Quelle che fino a poco prima erano le sue vene e le sue arterie, iniziarono a brillare del color dell'oro, sempre più lucente, al punto da accecare gli occhi vuoti di quello spettro che aveva assunto le sembianze di qualcosa che si nascondeva recondito nei ricordi dello spadaccino. I due spiriti urlarono e si dimenarono mentre Akira brillava di pura luce, e in quel momento, una figura di nebbia apparve da dietro gli spettri, e li colpì con un fendente orizzontale, attraversandoli e facendoli dissolvere come fumo. La figura era anch'essa fatta di nebbie, ma era chiara, sebbene fosse evanescente. Un uomo alto, longilineo, dalla forma sottile ed elegante, sembrava quasi una statua di marmo. Aveva lunghi capelli bianchi e niente di più, non avrebbe potuto scorgerne i lineamenti, sembrava però uno spirito protettivo. La figura gli si inchinò davanti e prese a camminare lentamente, invitandolo a seguirlo. Akira avrebbe percepito una tranquilla familiarità in sua compagnia.



     
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