Sangue e Sabbia

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  1. Kei Hajime
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    Tutto quello su cui avevo lavorato era perso. Il soggetto 13 era sparito, forse morto nella migliore delle ipotesi. Attorno a me vi erano i corpi dilaniati dei mercenari. Un branco di incapaci. Eppure io ero vivo. Salvo per miracolo. E se solo vi era una possibilità, anche una su un milione, che il ragazzo fosse ancora in vita, io l'avrei continuato a cercare. Non potevo permettermi di perdere tutti quei preziosi dati.




    Prima il laboratorio, poi questo. Non me ne va bene una. Devo solamente recuperare un sacco di carne andato a male e per qualche ragione non riesco nell'intento. Sempre lui, sempre quello sporco traditore. Se solo non mi avesse impedito di riprendere quello che ci appartiene di diritto a quest'ora sarei di nuovo nella base. Ma la pagherà. Può starne certo. Presto o tardi la mia furia cadrà su di lui ponendo fine alla sua misera vita.
    Comunque sia ho già mandato i miei a perlustrare la zona. In breve tempo conoscerò la posizione dell'obiettivo. I miei avvoltoi sono già all'opera.





    Sangue e Sabbia




    Cominciò tutto con il vuoto. E' questa la parola che meglio descrive ciò che provai quando gli occhi si riaprirono e il seme della coscienza li pervase di nuovo. Percepii lentamente il rovente e ruvido tocco di miriadi di granelli lungo le dita, il quale si trasformò in un formicolio che si propagò lungo il braccio e che pervase tutto il mio corpo. Sì, senza alcun dubbio, ero vivo. Alzai una mano e la sabbia scivolò lungo il palmo come una scintillante cascata d'oro. O meglio, una scintillante cascata rossa. Quella non era sabbia normale. Era mischiata con qualcos'altro. Il mio sguardo volle osare. Valicare il limite posto alla conoscenza di ciò che mi circondava rappresentato dal mio palmo, messo tra i raggi del sole e gli occhi, ancora troppo deboli per affrontarli. Ciò che vidi fu la più semplice spiegazione potesse esserci sul perché quella sabbia fosse cremisi, cremisi come il sangue: un immenso deserto senza anima, dune svettanti erose dal vento e lì, a due passi da me, la carcassa di un animale attorniata da avvoltoi, dalla quale sgorgava, goccia dopo goccia, il fluido che una volta gli dava vita e che, unendosi coi granelli della sabbia, rendeva quest'ultima di quel particolare colorito. La cosa strana fu che tali visioni non suscitarono in me nessuna reazione paragonabile a quella che il contatto delle dita con la superficie scabra della rena riuscì a provocarmi. Cosa avrei dovuto provare? Paura? Disgusto? Bè, non ne avevo. Nulla. Non sentivo nulla. "Vuoto". Ancora una volta questa parola calza a pennello. Alzarsi in piedi non fu facile. Ci vollero parecchi minuti prima che il mio corpo decidesse di obbedire di nuovo ai miei comandi e, mentre tentavo di riacquistare la padronanza dei movimenti, sembrava che gli avvolti stessero per dimenticare la differenza tra me e le spoglie dell'animale. Fissai l'iride inespressivo dei volatili. Quello sguardo avrebbe potuto benissimo essere il mio.

    Così, senza accorgermene mi destai. Il sole cocente sopra la testa. Il vento che mi sputava contro la sua furia. E lì, in mezzo al nulla, dopo essermi accertato di esistere ancora e aver riacquistato la mobilità, trovarono posto in me domande fondamentali. Avevo come la sensazione di essere andato a dormire il giorno addietro, conscio di chi fossi e cosa volessi, ed essermi svegliato la mattina successiva senza ricordare più alcunché di me. Chi ero e cosa stessi facendo erano questioni che solo adesso cominciavano a toccarmi, ma a cui in realtà davo quasi nessuna importanza. Non avvertivo preoccupazione, ansia, non avevo paura, non mi scalfiva l'incertezza. Era come se ogni emozione in me si fermasse un attimo prima di diventare effettivamente tale. L'utilità muoveva i miei passi e, infatti, ciò che mi interessava al momento era uscire da quella tempesta e trovare un riparo. Fu allora che lo sentii. Un flebile lamento che proveniva da poca distanza rispetto alla mia posizione. Era quasi impercettibile in confronto con il rumore della tormenta. Mi avvicinai. Tuttavia più mi avvicinavo, più mi sembrava di affondare nella sabbia. Il tempo di accorgermi che il mio corpo sprofondava ed ecco che una mano mi afferrò per una manica. Mi liberai violentemente dalla stretta e aggrappandomi ad un macigno in qualche modo fui in grado di tornare coi piedi sulla terra ferma. Intorno a me non c'era nessuno. La stretta che sentii mentre affondavo doveva provenire dall'interno delle sabbie stesse. E la conferma di ciò non tardò ad arrivare. In mezzo a quella tormenta, aguzzando la vista, scorsi una mano che spasmodicamente si apriva e chiudeva, mentre, inesorabili, le sabbie la inghiottivano. Tenendo bene a mente il confine tra terreno solido e terreno paludoso, aiutandomi con un ramo abbastanza lungo trovato sul momento, mi sdraiai per terra, cercai di allungarmi quanto potevo e porsi il ramo a quell'essere. Cominciai a tirare e lentamente dal terreno spuntò fuori un braccio, poi una testa ed infine un busto. Il malcapitato era in pessime condizioni, ricoperto di ghiaia, ma respirava ancora. Era poco più che un bambino. A quel punto gli ero abbastanza vicino da poter gettare via il ramo e recuperarlo tendendolo per il suo vestito. Quando riuscii a tirarlo fuori completamente, lo afferrai per la maglietta e lo guardai in volto. L'unica forza che gli impediva di ricadere in quel vortice era la stretta della mia presa. Era stremato, arso dal calore e disidratato. Ciononostante volle comunicarmi qualcosa, sforzandosi di aprire bocca e sputacchiando granelli di sabbia:

    G-g-grazie

    Notai solo in quel momento che dal collo gli pendeva una medaglietta. Kei Hajime. Era questo il nome impressovi sopra, il suo nome. Gliela strappai di dosso con la mano libera e nello stesso momento mollai la presa con l'altra. Apaticamente il ragazzo ricadde al centro del mulinello di sabbia e scomparve di nuovo di lì a qualche istante. Me ne andai, come nulla fosse. Avevo condannato a morte certa una vita. Ma non m'importava. Non avevo rimorsi o quant'altro. Vi era finito da solo in quel tranello mortale e da solo vi era rimasto. Importava solo quella targhetta. Quel nome. Quello non sarebbe morto, avrebbe continuato a vivere con me. Kei Hajime. Se solo avessi provato una qualsivoglia emozione mi sarebbe piaciuto. Ne sono certo.
     
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  2. Cougar™
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    ~ Il ladro di strumenti...



    Cosa ci fa un pazzo nel deserto? Probabilmente bisognerebbe chiederlo a lui, ma quanto si potrebbe credere alla risposta? Eppure, senza apparente motivo, eccolo lì, fra le onde del deserto. Da lontano potrebbe sembrare un miraggio, ma avvicinandosi si capisce che , purtroppo, non lo è. Chioma nera selvaggia lasciata libera di seguire i movimenti del vento, orecchie coperte dalle immancabili cuffie e completo da chunin della sabbia. Non servirebbe avvicinarsi oltre per capire quale sia il motivo di questa inusuale sosta fra le dune, la sua voce , trasportata dal vento, ci raggiungerebbe anche a decine di metri di distanza. Sì, il ninja sta cantando. E se spendessimo abbastanza tempo ad osservarlo potremmo notare che non è impegnato solo in questa attività, ma ,distese le braccia, sembra anche stia ballando.

    È difficile ballare. Davvero. Sopratutto se si sta cantando nel contempo. È un'operazione davvero complicata. Stendere il braccio, aprire la mano, poi chiuderla nuovamente a pugno e portarla prima al petto e poi in cielo, aprirla di nuovo e farla discendere a cascata di fronte al volto. Sì mi piace. Decisamente un ottimo passo. A proposito! Anche le gambe devono ballare! Passo a destra, piede sinistro a incrociare dietro la gamba destra, spostare il peso e giravolta! Sì, decisamente. Era impossibile mettersi a provare in mezzo alla città, troppo rumore e troppa gente che si lamenta delle bancarelle che distruggi. Sì, distruggi. Beh perché non starete mica pensando che stia ballando da solo in mezzo al deserto? Non sono mica pazzo. Mi sto allenando, mi pare ovvio! Io e gli amici della città degli uomini di carta. E loro rispondono solo quando ballo.

    Sembra assurdo, ma l'esperienza a insegnato a Hito molto più di quanto sembra. Stesa la mano e chiusa a pugno una spina di carta grande metà di una persona appare infatti ai suoi comandi, nella direzione indicata dal braccio. E quei passi, anche se casuali, sono accompagnati dalla repentina comparsa, e successiva sparizione, di altre spine delle stesse dimensioni tutto intorno a lui. E quelle sferzate di vento che ogni tanto lo colpiscono non sono altro che il modo in cui il deserto stesso partecipa a quella strana danza, portando lontano la sua voce. Ed è proprio in questo modo che i versi del chunin sunese avrebbero raggiunto il ragazzino poco lontano. Chissà, forse sentendo la voce di qualcuno si sarebbe avvicinato, anche se non si definirebbe normale qualcuno che canta nel deserto. Ma, d'altronde, è di Hito che parliamo e con lui la normalità c'entra poco. Di certo, se il chunin avesse sentito il ragazzo avvicinarsi avrebbe fatto ricorso ad una delle sue arti ninja, l'Afa Terrestre, per percepirne presenza e direzione. Lui invece, se avesse seguito la canzone che il vento portava, avrebbe sentito, una volta avvicinatosi, questo motivo:

    アシンゲリナス モキロオ
    テェスメッォオフウィネアンドチイッポペルフメ
    フォルアスミェテェイカンシャレテェニグット
    イットゴエスオンアンドオンアンドオン~


    Penserete che sia pazzo, ma questa canzone piace davvero al popolo della carta. Ogni volta che la canto sento i movimenti più fluidi e li vedo che mi accompagnano con più energia ed entusiasmo. Evidentemente anche a loro piace la musica, non solo a me. Ma a chi non piace la musica? Al noioso credo, altrimenti non sarebbe così noioso. Scommetto che al Tanuki invece la musica piace, mentre credo che l'Amministratrice non la apprezzi. Anche il kage ama la musica! Ne sono sicuro, l'ho sentito cantare spesso all'uscita dei bar del villaggio. Anche se non è molto intonato e spesso si mangia le parole. Ma balla! Ha tutto un ballo ondeggiante basato sul cadere e rialzarsi. Uno spettacolo straordinario. Dovremmo fare un duetto! Sì, mi sembra una magnifica idea, ci vedo già sul palco, lui con il suo barcollamento e io con le mie mosse coordinate con il popolo della carta. Una meraviglia. È proprio vero: Suna è sicuramente il villaggio più misicale del mondo. Altro che quelli del villaggio dei musicisti con la nota nel coprifronte. Si scaldano per nulla e non suonano mai, chissà cos'è che li fa essere così arrabbiati. Magari non hanno strumenti. Effettivamente non li ho mai visti suonare. E questo spiegherebbe tutto! Magari gli han rubato tutto e loro non han più nulla con cui suonare! Per quello sono sempre tristi o arrabbiati. Di certo è così. Ma li aiuterò io, troverò il ladro di strumenti!


    Per la corretta visualizzazione dei post
    Font del contenuto
    Font dei titoli
    Non preoccuparti del pezzettino in jappo, non è importante, è solo una canzoncina.


    Edited by Cougar™ - 17/4/2012, 00:55
     
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  3. Kei Hajime
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    Sangue e Sabbia

    N e w b o r n




    Il deserto: è la prima cosa che ricordo se chiudo gli occhi. Gli occhi: l'ultimo particolare che vidi di Kei Hajime prima che scomparisse per sempre nel profondo della terra. La terra: ero ancora sulla terra e non ne sapevo il motivo. Così come non sapevo il motivo per cui il vento fischiava. Sembra strano, ma se dovessi descrivere cosa provassi in quei momenti, non riuscirei più a raccontare alcunché. Preferisco concentrarmi su quello che invece i miei sensi banalmente percepirono. E la sensazione fisica che prevalse all'improvviso fu l'udito. L'udito, perché la tormenta era forte. L'udito, perché l'aria aveva un suono. Un fischio. L'udito perché quel fischio, quel ronzio, quel lontano brusio, quei versi senza meta divennero ben presto, dapprima, dei suoni articolati, poi rimbombi di parole ed infine melodia. Che ci fosse qualcuno oltre me in quel luogo desolato dimenticato dal mondo? Come è facile immaginare, come è triste pensare, in quei momenti, non mi importava di nulla, se non per il fatto che, se non avessi voluto seriamente finire come la carcassa divorata dagli avvoltoi, avrei dovuto in qualche modo dirigermi verso quei versi. Forse non avevo emozioni, non provavo empatia, non avevo scopi, ma un istinto di sopravvivenza, quello, sì, ce l'avevo, eccome.


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    Avanzava lentamente, solitaria, una figura stramba nel mezzo di una sabbiosa landa desolata. E, avanzando, essa ballava. Dall'altra parte, invece, avanzava più cautamente una figura che sembrava essere uscita da una catena di montaggio a causa della meccanicità dei suoi gesti, della sua andatura. Ovviamente, sempre nel mezzo della stessa sabbiosa landa desolata: ero io, Kei Hajime; quel Kei Hajime, cioè, che nacque dalla morte del suo omonimo. Mi dirigevo verso quel tipo a dir poco particolare con passo deciso e sicuro, incurante di non farmi notare. Qualcun altro, forse, si sarebbe sorpreso di vedere un tizio, solo, che balla e canta nel deserto. Qualcun altro, forse, avrebbe provato curiosità, avrebbe voluto scoprire chi fosse, dove andasse, cosa ci facesse nel deserto a cantare e a ballare circondato da delle spine di carta. Esatto spine di carta. Sembrava come se il tipo le creasse e riuscisse a muoverle con una semplicità disarmante, senza nemmeno doverle toccare. Un arte particolare a me sconosciuto. Come del resto ogni altro tipo d'arte, se così la potevamo chiamare. Comunque sia la cosa importa era che alla fine non ero solo. C'era qualcun altro. Non io. Non Kei Hajime, possessore, per un diritto ricevuto col sangue, del nome che portava, della cui proprietà era testimonianza una medaglietta che gli penzolava dal collo, sulla quale erano impressi i kanji che lo definivano. In due parole: ancora io. Io, io e solo io. Esistevo. Era l'unica cosa che avesse un valore. La prova era quella targhetta e non mi avrebbe certo smentito il deserto, o il vento, o la sabbia o quel tizio che cantava e ballava e creava carta dal nulla. No. Per questo mi diressi con fare deciso verso di lui. Non importava nemmeno che quando il ragazzo si accorse di me, stranamente, cominciai a provare un gran caldo. E' normale nel deserto. Ma il caldo che sentii fu più intenso di quello che avevo percepito fino a quel momento. Iniziai a sudare e la vista mi divenne meno definita. Ciononostante, arrivai di fronte a lui e, senza esitazioni, complimenti o presentazioni, parlai. Furono le prime parole che pronunciai, le prime parole che ricordo uscire dalla mia bocca. Fredde. Apatiche. L'espressione del mio viso come persa nel vuoto.


    Il villaggio più vicino.

    Nient'altro. Sentire il suono della mia voce per un attimo mi fece riflettere. Ero come un bambino che emette il suo primo gemito. Ero appena nato. Io, Kei Hajime, ero appena nato e non me ne resi nemmeno conto. Ma presto l'avrei capito. Molto presto.
     
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  4. Cougar™
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    ~ Esci da questo corpo...



    Di certo Hito aveva percepito lo straniero prima ch'egli parlasse, ma aveva atteso diligentemente fosse lui a parlargli. Nel mentre aveva continuato la sua danza, facendo attenzione a non creare spine sul percorso che l'ospite stava compiendo per raggiungere la sua posizione. L'olfatto, aumentato grazie al suo jutsu preferito, gli garantiva una percezione precisa della situazione attorno a lui. Lentamente, supponendo che l'ospite gli volesse rivolgere parola, si tolse le cuffie, sfruttando i momenti vuoti del suo tempo. Il vento sembrava essersi placato, così come la sua voce, tutt'intorno sembrava che al rumore, alla musica, al canto, si fosse sostituita l'attesa. Ma quest'effetto, quest'impressione, non durò che alcuni istanti, finché infatti il ragazzino, giunto in prossimità di Hito, non parlò.

    - Il villaggio più vicino. -
    - La so! Quello della Sabbia. Che ho vinto? -



    Perché di sicuro ho vinto. Di certo come indovinello non era difficile ma hey, doveva essere uno spiritello del deserto alle prime armi. E poi chi sono io per giudicare? Beh, chi sono io lo so, ma non so cosa faccia Hito per giudicare. Deve essere un risultato interessante. Hitopergiudicare penso. O forse pergiudicareHito. Deve essere così! Allora questo spiritello a forma di ragazzino mi vuole giudicare! Quindi deve esserci un premio, avevo ragione. Eh no, a me non la si fa. Ci ho proprio visto giusto. Eppure non sembra troppo "spirituale" per essere uno spirito. Che poi si dice spirituale o spiritoso? Di certo se spiritoso vuol dire anche divertente significa che questi spiriti devono essere dei gran burloni. Quindi probabilmente lo spirito sta usando questo ragazzino per farmi uno scherzo! Allora non c'è un premio! Dannati spiriti, sempre pronti a illudere noi poveri ninja con i loro enigmi senza premio! Ah, ma questo l'ho fregato, libererò io questo ragazzino dal malvagio spirito che alberga dentro di lui.
    Lo sguardo del ninja si fissò improvvisamente sul ragazzino e con un rapido balzo Hito si fece più vicino. D'improvviso sembrava che Kei destasse una curiosità esagerata sul pazzo. Con una rapidità disarmante, il chunin diede qualche pacca rassicurante sul capo del giovane, mentre i suoi occhi non smettevano di scorrere lungo tutta la sua figura, concentrandosi ora sulle mani, ora sulla cintura, infine sulle scarpe, e poi di nuovo all'inverso. La mano scese quindi dalla testa verso la guancia, dove diede un leggero pizzicotto al ragazzino.
    È davvero solido! Non è uno spirito! Povero ragazzino! Lo spirito ne ha preso il possesso per farmi questo scherzo, ma io non ci casco! Lo libererò! In un attimo le braccia del chunin si mossero per afferrare le spalle di Kei e, con molta gentilezza, Hito prese a scuoterlo.

    - ESCI DA QUESTO CORPO!! -


     
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  5. Kei Hajime
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    Sangue e Sabbia

    Quel che a volte vien dal cielo




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    Ed infine giunsi davanti agli occhi dello sconosciuto danzatore. E cantatore. Nelle mie parole non volli aggiungere altro se non l'indicazione che mi serviva. Non volli e molto probabilmente non avrei nemmeno potuto. Fu la reazione del mio interlocutore che mi stupì, a dire il vero, e che, fossi stato un tantino più "ordinario", mi avrebbe fatto addirittura sussultare: prese la mia richiesta come un assurdo indovinello e cominciò un ragionamento sragionato che lo portò alla conclusione che dentro di me abitasse una specie di spirito. Come si sbagliava. Era già tanto se un residuo di volontà pratica era rimasto all'interno della mia coscienza, figuriamoci uno spirito. Continuò blaterando di premi non assegnati e del volermi liberare dalla creatura che secondo lui albergava dentro di me. Poi il suo sguardo si fissò sulla mia persona. Mi diede qualche pacca sul capo, in un modo talmente rapido che quasi non mi accorsi del suo movimento. Concluse il tutto con un leggero pizzico sulla guancia. Io rimasi impassibile, fermo, immobile. Una statua. Fui una statua anche quand'egli, dopo essersi meravigliato ed aver constatato - da ciò che fui in grado di capire - che io fossi effettivamente fatto di carne ed ossa, cominciò molto gentilmente a scuotermi tentando una sorta di esorcismo. Era una scena sicuramente esilarante che agli occhi di chiunque altro fosse stato un attimo meno particolare di noi due avrebbe forse provocato delle abbondanti risate. Io non ridevo. Pensavo invece. La mia mente correva. Come aveva fatto questo tizio a muoversi con tanta rapidità? Erano tutti gesti banali, ma in qualche modo sapevo, basandomi su come era scattato per scuotermi e darmi quel pizzico, che se avesse voluto quel ragazzo avrebbe potuto mettermi al tappeto in un secondo. Anche mentre cercava di "liberarmi" dalla spirituale presenza sentivo che difficilmente io, invece, avrei potuto liberarmi dalla sua morsa. Fu così che nel bel mezzo di quella scena, dopo essere rimasto paralizzato e con sguardo perso in un punto oltre la schiena dell'individuo per tutto il tempo, improvvisamente le mie labbra emisero di nuovo parole.

    Portami lì. Portami in quel villaggio.

    Un uccello può volare molto silenziosamente. Un volatile può non farsi vedere, se vuole. Evidentemente andò proprio così, perché mentre proferivo parola, udii dall'alto un pulpare. Sì, perché, come finii per scoprire mio malgrado molto tempo dopo quest'episodio, gli avvoltoi pulpano. Alzai gli occhi. Due avvoltoi volavano in tondo sopra le nostre teste. Pensai che fossero in cerca di qualche altra carcassa. Chissà quante ce n'erano d'altro canto in quel deserto. Ad un tratto tuttavia, uno di loro fece qualcosa di molto strano. Planò in picchiata, dirigendosi proprio verso di noi, mentre l'altro nel frattempo si allontanò. Più si avvicinava, in vero, più capivo il suo reale obbiettivo: il mio interlocutore. Il tizio strambo. Era diretto proprio contro di lui, a tutta velocità. E' strano, ma, invece che pensare a qualcosa di utile, l'unica domanda che mi frullò in mente fu: chissà se, senza sandali, sotto i piedi i granelli di sabbia fanno lo stesso effetto che sulle dita?

    L'avvoltoio è da considerarsi energia gialla ed è solo ai fini della narrazione. Spero non ti dispiaccia l'aggiunta di un po' di pepe alla giocata.

     
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  6. Cougar™
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    ~ Una ricetta da leccarsi le labbra...



    La scena tragicomica andò avanti per un po'. Il ragazzino veniva scosso, il pazzo lo scuoteva. In in tutto quel vorticare le parole uscivano mal frullate, come un discorso fatto mentre i denti battono per il freddo. Ma di certo i due non avevano freddo e di certo, nel deserto, le basse temperature erano l'ultimo dei loro problemi. Quando finalmente Hito capì che quei rumori non erano prodotti dagli scossoni del ragazzo, che nella sua testa stava pericolosamente prendendo l'aspetto di una persona-maracas, ma da un'affermazione che cercava di fargli arrivare integra, decise di smettere di maltrattarlo. Non che gli stessa davvero facendo male, ma di sicuro era stato di modi un poco bruschi. Così lo rimise per terra, durante lo scuotimento lo aveva sollevato di qualche centimetro, e si ripulì il vestito dalla sabbia con entrambe le mani, come qualcuno che apre la porta in pigiama e si ritrova davanti il Kage in persona. Si rassettò dicevamo, e poi alzò lo sguardo verso il suo interlocutore. Certo, se non si considerava il fatto che stava ballando da solo in pieno deserto e che subito dopo aveva tentato di esorcizzarlo, beh, era un bel ragazzo. Pelle cotta dalle giornate trascorse al sole e occhi verdi attenti e vivaci, abbastanza grandi da attirare l'attenzione dell'interlocutore, ma non abbastanza da somigliare ad un pesce; lineamenti affilati, stemperati da delle guance rotonde e dalle fossette tipiche di chi sorride spesso. Il tutto incorniciato da una chioma ribelle del color dell'inchiostro che sembrava scagliata con forza sul suo capo, tanto era disordinata e dispersa. Mentre osservava il ragazzo un soffio di vento caldo, reso ancora più pesante dalla tecnica del sunese, si insinuò fra i giovani, scombinando i loro vestiti e infastidendo la loro vista con piccoli granelli di sabbia. Appena la folata su passata il pazzo, che sembrava essersi disinteressato del ragazzo, disse con tono gioviale.

    - Come mai vuoi andare a Suna? Ti sei perso? Non vorrai mica diventare una spia! Ah, e se lo sei già... il casino con l'archivio non l'ho fatto io! O meglio, l'ho fatto io... ma non l'ho fatto io. Capisci cosa intendo vero?- a quel punto strizzò l'occhio, con l'aria complice di uno che la sa lunga - Comunque, mio giovane spione, se vuoi diventare un ninja spia ne dovrai fare di strada! Ma direi che se hai scoperto il mio nascondiglio di addestramento nel deserto, e sai pure la storia dell'archivio, devi essere uno forte. Uno con le palle. E anche le racchette. Altrimenti come giochi poi? -

    Probabilmente il giovane avrebbe continuato nel suo delirio per un bel po' se un avvoltoio non avesse deciso che quelle due figure solitarie nel deserto erano troppo succulente per essere lasciate a marcire sotto il sole. Così ruotò appena le ali, in modo da prendere un moto discensionale e volteggiargli attorno, fino al momento propizio in cui attaccare. Momento che non tardò a venire, proprio mentre il sunese si perdeva a raccontare al ragazzino delle regole assurde su un gioco con racchette e palline. Un pulpare acuto e poi eccolo chiudere le immense ali e gettarsi in picchiata verso Hito. Non poteva sapere però che l'area in cui il giovane aveva effettuato la tecnica per aumentare la temperatura aveva anche la funzione rendere impossibile non venir notati dal suo fine olfatto. E così il naso del sunese percepì un odore esterno, l'informazione passò al cervello che costrinse gli occhi a sollevarsi, e la mano con loro. Dal suolo ai piedi dei due ragazzi emerse, con velocità fulminea, un secondo avvoltoio, questa volta composto interamente di carta piegata. Questa copia dell'uccello si diresse a tutta velocità verso l'originale, trafiggendolo proprio nell'istante in cui il predatore realizzava che quelle due prede forse non erano così succulente e che forse non valevano la sua vita. Ma non si può tornare indietro e purtroppo per lui alle volte la vita non è fatta di solo vivere. Così in un attimo colui che doveva predare divenne preda, e giacque cadavere in modo che altri potessero cibarsi di lui, letteralmente.

    - Evviva! Ho preso un avvoltoio! Proprio l'ingrediente che mi serviva! Ci verrà uno stufato buonissimo... o era una zuppa? Sì insomma, arrosto di avvoltoio per tutti! Hey, ragazzo spia-perduto, ti va di venire a pranzo a casa mia a Suna? Conosco una ricetta con l'avvoltoio da leccarsi i baffi. Anche se tu di baffi non ne hai. E io non ho gatti da prestarti per farti leccare i loro baffi. Quindi diciamo che è una ricetta da leccarsi le labbra!-
     
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  7. Kei Hajime
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    Come? Uno dei miei sottoposti è caduto. Cosa? L'obbiettivo è stato localizzato nei pressi di Suna e a quanto pare… si è trovato un protettore. Deve essere qualcuno con buone capacità di combattimento se è riuscito a mettere al tappeto uno dei miei avvoltoi, sicuramente uno shinobi della Sabbia. Ci mancava solo questa, non bastava quel traditore che ci sta mettendo i bastoni trai piedi, ora anche un villaggio ninja rischia di entrare in gioco, maledizione! Ripensandoci, tuttavia, la cosa si potrebbe fare interessante. Almeno adesso sappiamo dove è diretto e con chi avremo a che fare. Forse questo fatto potrebbe non essere un male in fondo, anzi, potremmo avere la possibilità di prendere due piccioni con una fava se sfruttiamo bene le nostre carte. Sarà meglio informare il quartier generale. Aspettaci, numero 7, veniamo a prenderti.





    Sangue e Sabbia

    Non ho ragioni. Non ho niente.




    Suna? Cos'era? Forse un altro modo di chiamare il villaggio a me più vicino. Ad ogni modo per nessuna ragione in particolare volevo andare nel Villaggio della Sabbia, come del resto per nessuna ragione in particolare mi trovavo lì davanti al danzatore del deserto e per nessuna ragione in particolare mi sembrava di esistere. Esistevo. Questo era almeno un punto certo. C'ero, respiravo, avvertivo sensazioni lungo il mio corpo, sentivo il vento ed il caldo. Sì; tutto ciò ormai era da un pò che lo avevo assodato. L'unica pecca era che forse, risvegliandomi in mezzo a quel nulla poco tempo prima del mio incontro col cantautore delle sabbie, qualcosa dentro la mia testolina era rimasta addormentata o non si era accesa del tutto. Quindi parlai, dando voce ai miei pensieri:

    Non ho ragioni. Non ho niente.

    E di certo non ero una spia, non conoscevo nulla dell'archivio, non avevo racchette nè la minima idea di cosa fosse la parola "ninja". Insomma oltre a non avere niente, sembrava che non sapessi niente. Mentre rimuginavo e rispondevo, piovve dal cielo un affare tutto penne e becco pronto a scagliarsi contro il giovane che era di fronte a me. Strano… se non fosse che quest'ultimo sollevò la mano e quasi istantaneamente accadde qualcosa che fece sembrare la stranezza di un volatile che di colpo si lancia contro due individui ben distanti ordinaria amministrazione. Emerse una figura dal terreno. I granelli di sabbia danzarono sotto i nostri piedi e diedero origine ad una piccola apertura spostandosi ai lati di un non so chè che piano piano uscì dalle profondità per prendere la forma infine di un secondo avvoltoio, non certo fatto di carne e sangue, ma di pura cellulosa, il quale partì come un razzo in direzione contraria a quella dell'uccello piombato dal cielo. Bastò un secondo a trafiggerlo e farlo cadere a terra inerme e privo di vita. Ovviamente, intendo l'animale, non la sua copia cartacea.

    Ci sono giorni in cui le sorprese non finiscono mai e i primi ricordi che ho fanno parte sicuramente di uno di questi. Tutto quello che scorgevo attorno a me era una continua scoperta. Non solo. Tutto le percezioni che ora sono per me, per voi, così normali, allora erano delle novità incessanti. Cos'erano per esempio questi ultimi, nuovi segnali che mi arrivavano in diretta dallo stomaco? Brontolava e si muoveva. Lentamente le oscillazioni della mia muscolatura gastrica mi causarono un aumento della salivazione e prima di accorgermene ero con l'acqua in bocca. Avevo fame. Molta fame. Fu così che non mi feci ripetere due volte l'invito del giovane, pazzo, individuo dalle capacità straordinarie. Mossi leggermente il capo in segno d'assenso e quando lui si fosse mosso verso casa sua, solo in quel momento lo avrei seguito, con in groppa l'avvoltoio stecchito. Cercando i suoi occhi, in modo che capisse che facevo sul serio, volli sapere ancora un'informazione.

    Dimmi come hai fatto.

    Come ero capitato in questo mondo poco interessava, ormai c'ero, e, visto che il mio istinto mi costringeva a sopravvivere, non potevo farmi sfuggire l'occasione di apprendere quelle arti segrete.

     
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  8. Cougar™
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    ~ Come ti chiami...



    I due, uccisa la minaccia e chiarita la destinazione, i mossero a passo lento verso la loro destinazione ultima: Suna. Il pazzo, ormai convinto di essersi fatto un nuovo amico, sciolse la tecnica che modificava così pesantemente la temperatura attorno a loro. L'afa si fece meno oppressiva e delle sporadiche folate di vento concedevano ai due un minimo sollievo durante la traversata. Il ragazzino disse di non avere motivazioni ed Hito non insistette. In fondo qualsiasi motivo era valido per andare a Suna e chiunque, potendo decidere fra il villaggio e il deserto di sicuro avrebbe optato per il primo. Ma il ragazzino, incuriosito delle abilità del ninja, gli chiese come avesse fatto a creare quell'arma mortale dalla semplice sabbia. Hito, fermatosi qualche attimo ad osservarlo, rispose semplicemente

    - È semplice, devi solo imparare a ballare con la città degli uomini di carta! Altri a Suna sanno farlo, è una cosa che il villaggio ti può insegnare, ma ci vuole tempo per imparare. E ci vuole senso del ritmo. Altrimenti si finisce come il mio amico Yayamay Soshi, che è tutto scorpione e non si ricorda nemmeno come si balla con quella sua coda e le sue chele sproporzionate. Anche lui credo abbia imparato a scorpionare a Suna. Si possono imparare tante cose, se si trova chi te le insegna!

    Una spiegazione bizzarra, certo, ma esaustiva. Quindi, sorridendo al giovane, riprese a camminare per sentieri invisibili fra le dune del deserto, finché all'orizzonte non si scorsero delle mura. O meglio, probabilmente al ragazzino sarebbero sembrate solo altre dune più grandi, ma, una volta avvicinatosi, avrebbe visto oltre le apparenze, notando le guardie mimetizzate e le vie d'entrata. Era arrivato a Suna. A questo punto non si sarebbe più potuto tirare indietro.

    - Siamo arrivati, benvenuto a Suna! Io, beh, vado a vedere se c'è il noioso di guardia, così gli tiro i capelli un paio di volte. Tu intanto chiama qualcuno e presentati, così ti fanno entrare. Se poi quando sei dentro hai ancora fame vieni a trovarmi a casa, sapranno dirti dov'è! Ah, a proposito... com'è che ti chiami? -


    Scusa il post corto... ma non sapevo che scriverci XD Comunque benvenuto a Suna! Ora se vuoi posta alle mura per l'entrata ufficiale e ci siamo! :zxc: In caso poi qui c'è la mia casa :riot:
     
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7 replies since 9/4/2012, 17:40   197 views
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