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The starting point of all achievement is desire.
«Non ci andrò. Dì lui che sono morta.»
«Siete già morta quattro volte questo mese, Ojou-sama.»
«…Quattro?»
«Così pare, mia Signora. Devo comunicare all’Hokage che la lieta novella della vostra rinascita combacia, ahimé, con la vostra altrettanto prematura scomparsa…oppure prendete questa missiva?»La capacità di Ritsuko Aoki di essere indisponente era unica e quando prendeva le parti di Raizen Ikigami, appoggiandone la posizione, lo era se possibile ancora di più. Di questo Shizuka Kobayashi non aveva alcun dubbio e ne ebbe la riprova mentre guardava fissamente la sua Kumori –colei che si presupponeva fosse stata concepita e messa al mondo per la sua salvezza e felicità– sventolare con flemma una lettera impomatata che puzzava di lavoro complicato già da quella distanza.
Portandosi una mano alla fronte la Principessa della Foglia sospirò sonoramente scuotendo la testa: a che serviva essere la più potente Erede del Paese del Fuoco se non poteva evitare i problemi? Perché era diventata Shinobi…?
Era già abbastanza complicato gestire l’economia sonante di Konoha senza doversi preoccupare di essere anche l’ombra dell’Hokage. Quel randagio brizzolato che le riservava sempre le sue scomodità, additandogliene il peso.
…Oh, ma l’avrebbe pagata. Eccome se l’avrebbe pagata.
“Io sono l’Hokage monello! Guardate come sono bello! Un vero fotomodello! Brillo al buio e piango diamanti, non sono certo un pivello!” [slogan da cambiare] …e intanto lei spazzava tutto quello che faceva. Per cosa poi? Nemmeno la gloria si beccava! Si rendeva conto che visto il suo appetito era meglio regalarle un kimono che invitarla a cena fuori, ma almeno qualche gentilezza, di tanto in tanto, poteva riservargliela…
MALEDETTO RAIZEN IKIGAMI!
[…]
«Ho così poca voglia di essere qui, Takumi, che quasi mi viene da piangere.» Piangere sangue, avrebbe puntualizzato, ma si astenne dal farlo.
«Shizuka, la tua indolenza sarà il motivo per cui mi ritirerò a vita civile.» Rispose l’altro, un ragazzo dai capelli a zazzera e una bandana che copriva lui metà del viso.
«Dovresti sentirti onorata di essere stata convocata.»Se Shizuka Kobayashi avesse dovuto parlare sinceramente avrebbe detto che una delle cose che proprio non capiva del mondo Shinobi era tutta quella faccenda dell’onore. Perché mai avrebbe dovuto sentirsi “onorata”? Era stata convocata perché si presupponeva si fosse spaccata il culo per essere lì. Era la migliore nel suo campo ed era diventata tale lavorando più sodo di chiunque altro. Quale onore? Faceva solo ciò che sentiva giusto fare. Punto e basta. Certo se non avesse voluto, non si sarebbe trovata lì. Tutte quelle merdate da bravi bambini l’avevano stancata da che era ancora in accademia… figurarsi quanto poteva tollerarle a quel punto.
«…Chi altro c’è?» Domandò piuttosto la Chunin, facendo roteare gli occhi al cielo. Un ticchettio seguiva i suoi passi.
«Beh, tanto per cominciare Uchiha Atasuk–…» Esordì gentilmente Takumi, sorridendo di quell’improvviso interessamento della Kobayashi. Il sorriso, però, durò molto poco.
«COS-…!» Strillò infatti Shizuka, fermandosi di botto e portandosi una mano al volto, sconvolta.
«C’E’ ATASUKE?! MA VOLETE FAR FALLIRE LA MISSIONE?! COME AVETE POTUTO CHIAMARLO! IO LO ODIO! BASTA!!! ME NE TORNO A CASA!» Gemette, accovacciandosi a terra e scoppiando in un piagnisteo senza posa.
…E il povero burocrate, con lo sguardo perso nel vuoto, non poté fare a meno di chiedersi come avesse potuto credere che quella donna si fosse
davvero interessata alla missione e avesse
davvero posto una domanda di riguardo, senza piuttosto attaccarsi a qualsiasi piccolezza pur di disertare.
«…Lo odi? Ma se siete amici da una vita?» L’apostrofò il Marukachi, comprimendosi le tempie con una mano. Gli doleva la testa.
«Siete pappa e ciccia.»
«Ehi!» Replicò immediatamente la ragazza, punta sul vivo, e portandosi istintivamente una mano alla pancia, abbaiò un pronto:
«Più pappa che ciccia.» che non poté che far subito comparire un vago sorrisetto sul viso del biondo dell’amministrazione, il quale, ben consapevole dell’eterna lotta dell’amica storica, non riuscì ad esimersi dallo sghignazzare.
«…Oh… hai messo su peso, Shizuka?» Domandò infatti l’uomo, sardonico, mentre qualcosa di fronte a lui si muoveva ad alta velocità, in controtempo rispetto al suo tentativo di mettersi a ridere.
Una parete dell’amministrazione cadde, quella mattina presto.
E Takumi Murakachi fu ricoverato in Ospedale.
Di nuovo.[…]
«Ullalà… ma si raccoglie tutta l’èlite della Foglia, oggi!»Shizuka Kobayashi non era la donna più bella di Konoha, ma senza alcun dubbio era la più attraente, e questo fu evidente quando, compiendo un primo passo nella sala della Convocazione, si impose con leggerezza sulla scena.
I lunghissimi capelli castani, lisci e setosi, scendevano in ampie volute ad accarezzare un fisico morbido e sinuoso –figlio di un’arte antica e dimenticata che tremava sotto l’appendice di “seduzione”– avvolto in un paio di pantaloni di pelle neri, a loro volta imprigionati in stivali di cuoio alti al ginocchio forniti di tacco, e in un bustino scuro, scollato su di un seno procace.
Era la bellezza antica di una bambola di porcellana, quella dell’Erede dell’Airone. L’eleganza senza tempo delle Principesse del passato. E si sarebbe per questo potuto dire che vi fosse dello splendore in lei... se non fosse stato per una cicatrice che dalla spalla sinistra attraversava il torace, sparendo poi tra i due seni. Un segno che non sarebbe stato mondato, simbolo di un errore cocente, ma di cui lei, invero. non sembrava curarsi.
Sistemandosi i guanti color della notte, e il coprispalle aderente, la donna salutò infatti allegramente tutti i presenti, increspando le carnose labbra cremisi in una smorfietta spensierata e fanciullesca, mentre i suoi profondi occhi verdi, magistralmente truccati, si socchiudevano nello scivolare a catturare i lineamenti di tutti i presenti, esitando su ognuno di questi appena un secondo: conosceva alcuni di vista, altri di nome, altri ancora non sapeva nemmeno che fossero vivi. In ogni caso tutti, nessuno escluso, indossavano i loro Mon in bella vista, suo contrario, che come al solito non aveva nemmeno il coprifronte. Né alcun simbolo che la identificasse come kunoichi della Foglia o come Erede del suo amato Clan Smeraldo.
Era un’ombra. Solo questo.
«Il mio amato Gakigure è tutto qui!» Esclamò, sorridendo divertita del suo ennesimo gioco di parole, mentre avanzava nella stanza.
«Ehi…!» Sussurrò la Chunin quando si trovò di fianco ad Atasuke, e così dicendo fece passare una mano sulla schiena del Capo dei Guardiani, di cui avrebbe stretto un poco la spalla, sorridendo, prima di proseguire fino a Raizen, di fronte al quale si inchinò profondamente.
«Hokage-sama.» Disse, mostrando i denti nell’ennesima smorfia.
«Ehilà!»Dire “Ehilà” all’Hokage, alle 3 del mattino e in un incontro segreto, non era proprio il modo migliore per iniziare una missione di quel tipo, ma Shizuka Kobayashi non aveva mai apprezzato la gerarchia né le formalità. E fu presto evidente da chi aveva preso.
Quale che fosse la situazione la Principessa riuscì persino a tacere mentre la missione veniva spiegata. In piedi ad un lato della scrivania, con un immancabile lecca lecca in bocca e la testa leggermente reclinata di lato, ascoltò sia l’interloquire di Raizen che le domande degli altri presenti. Alcune più lecite delle altre avrebbe detto, ma non era il momento discutere, lo sapeva, ragion per cui si limitò solo a lanciare un’occhiata esasperata all’Uchiha quando questo figheggiò come suo solito annunciando, del tutto senza senso, la presenza del suo team di marchettatori DOC. Non capiva la necessità di doversi sempre portare dietro quei chihuahua di razza. Sul serio.
«Io ho delle domande.» Intervenne quando tutti gli altri ebbero avuto le loro risposte. Togliendosi il dolciume di bocca, la ragazza alzò gli occhi in quelli di Raizen... e di punto in bianco ogni traccia dell’ironia di poco prima era scomparsa.
«Qual è la composizione delle squadre?» Chiese per prima cosa, gentilmente.
«Quanto tempo abbiamo davvero e qual è la situazione limitrofa ai target?» Incalzò, concisa, ben sapendo che la risposta ad ambo le domande non era così scontata quanto sembrava.
«Qual è la composizione chimica e medica dell’aperitivo?» Lanciò un’occhiata alla ragazzina che aveva fatto una domanda simile e sorrise. Non male per essere una pivella, ma non erano solo gli aspetti clinici che era giusto tenere in considerazione. Le fece comunque l’occhiolino, allegramente.
«Ma soprattutto…» Riprese a dire, riportando la sua attenzione sul Colosso. Facendo roteare lo stecco del suo lecca lecca in aria la donna piegò un poco la testa di lato, sorridendo.
«…sono autorizzati tutti i mezzi?» E quella domanda, come fu evidente, ne conteneva molte altre. Tutte desiderose di ricevere una risposta. Almeno si sperava.